C’è in questi giorni un certo fermento che attraversa il mondo dell’informazione nella rete, un fermento causato da una delibera che l’Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni italiana, si appresta a breve a varare.
Si tratta di una serie di provvedimenti che l’Agcom sta per attuare nel nome della difesa del copyright, una delibera con la quale l’Autorità delle comunicazioni potrà oscurare i siti di informazione senza “processo”.
In pratica, la questione è la seguente: se in un sito o in un blog viene pubblicato del materiale protetto da copyright (ad esempio un filmato rai o mediaset), la “parte lesa” ne richiederà la rimozione al gestore del sito/ blog, e questi avrà due giorni di tempo per intervenire togliendo il materiale incriminato.
Se entro questi due giorni il gestore non risponde, la “parte lesa” potrà rivolgersi direttamente all’Agcom, e questa contatterà direttamente il responsabile del sito/blog.
Da questo momento il gestore avrà cinque giorni di tempo per dare risposta, e se questo non avviene l’Agcom potrà oscurare il sito.
Leggendo il provvedimento, c’ è chi ha parlato di “morte del web italiano” e chi grida alla censura, mentre una grande mobilitazione nel mondo della rete ha già prodotto oltre 130.000 mail di protesta spedite direttamente al garante.
Personalmente, ma questa è una reazione strettamente personale, anche se questa norma venisse varata in questi termini, non mi preoccuperei molto.
Al contrario, se, per un motivo o per l’altro, un giorno questo blog dovesse essere “censurato” oppure, meglio ancora, “oscurato”, la sensazione di orgoglio che ne proverei sarebbe infinitamente maggiore rispetto alla delusione per aver perso un luogo di espressione a cui sono comunque molto affezionato.
Perché la questione è proprio questa.
Le varie mobilitazioni, il gridare alla morte del web, l’indignazione contro la censura, pur essendo reazioni del tutto comprensibili, ed in un certo modo anche giustificate, celano in realtà una necessità ancora più grande, che purtroppo resterà insoddisfatta: il bisogno di un nemico.
La mobilitazione contro il decreto dell’Agcom in fondo è solo un piccolo evento, una preoccupazione temporanea che però è sintomo di una questione molto più grande.
Chi sulla rete pensa di fare “controinformazione”, chi dedica del tempo nel descrivere e denunciare questa o quella fonte di potere, vorrebbe, in cuor suo, avere nel suo piccolo un ruolo attivo nello “scardinamento” del sistema.
E’ un sentimento umano e comprensibile: nel rendersi conto delle grandi ingiustizie e delle storture del mondo reale, ognuno vorrebbe dare il proprio contributo per “combattere” l’apparato del potere.
Ecco quindi che l’idea che il proprio lavoro possa essere “censurato”, che i propri scritti “oscurati”, dà la sensazione di avere davvero un ruolo in questo gioco, di essere, anche nel proprio piccolo, “temuti”.
Si tratta, in qualche modo, della necessità di dare un volto al nemico: che sia il governo per mezzo di una sua agenzia, un ricco imprenditore che controlla i mezzi di informazione, oppure, salendo di livello, gli illuminati o i gesuiti in persona, è forte la necessità di avere un punto di riferimento quando si porta avanti una “lotta”, una entità concreta che ci consideri quali “avversari”, e che possa rivalersi su di noi.
Purtroppo, questo nemico non esiste, o per meglio dire, non gli si può assegnare un volto.
La vera tragedia del mondo occidentale di questi tempi, infatti, per tutti coloro che percepiscono una malattia di fondo dell’intero sistema, è l’impossibilità di definire un vero e proprio bersaglio contro cui scagliarsi.
E’ frustrante analizzare i meccanismi del potere, e poterli esporre, senza che nulla accada.
Senza che “il potere” reagisca in nessun modo, senza che nemmeno un minimo accenno di censura venga applicato.
Durante i totalitarismi del passato, era sufficiente mostrare un piccolo segno di insofferenza nei confronti del dittatore di turno che subito si veniva prelevati e tratti in arresto.
Si trattava di situazioni orribili, e noi siamo sicuramente fortunati nel non dover vivere in regimi del genere.
Ma, da un altro punto di vista, chi all’epoca era davvero un uomo, aveva la possibilità di mostrare fino in fondo la sua natura.
C’era qualcosa di concreto contro cui lottare, un senso da dare alla propria sete di giustizia.
Oggi, a noi, questa possibilità viene negata.
Nonostante percepiamo chiaramente l’essenza ipocrita e subdola del sistema di potere corrotto a cui sottostiamo, sappiamo anche che non abbiamo nessuna via veloce ed “eroica” di reagire.
Sfogandoci al massimo davanti ad uno schermo, vorremmo per qualche momento convincerci di stare facendo davvero qualcosa di “sovversivo”.
Ma così non è: a differenza dei totalitarismo del passato, quello in cui attualmente viviamo si è fatto molto più sottile, ed all’oppressione diretta ha sostituito un generale velo di indifferenza, coperto da un oceanico rumore di fondo generato dall’infinito flusso di informazioni spazzatura e da distrazioni che gli odierni sistemi di comunicazione sono in grado di creare.
Non è tempo di eroi, questo, non riusciremo mai a vedere negli occhi il drago da combattere.
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