Benvenuti.
Qui si parla di miti, simboli,
storia e metastoria,
mondi vecchi e mondi nuovi,
e di cospirazioni
che attraversano i secoli.
Qui si scruta l'abisso,
e non si abbandona mai
la fiaccola.
Il termine “massa” viene comunemente usato in senso spregiativo. Coloro che si cimentano nella descrizione della psicologia e dei meccanismi delle masse spesso mettono in evidenza l’annullamento della individualità e della capacità critica del singolo, nel momento in cui si ritrova “aggregato” con innumerevoli altri suoi simili.
Vi è del vero in tutto questo, così come è indubbiamente vero il fatto che spesso nella massa l’individuo fa emergere la sua parte “peggiore”, sentendosi “protetto” dall’anonimato e dalla fusione in un organismo più grande. Eppure, vi possono essere casi in cui questa “massa” è in grado di convogliare ed amplificare energie che dal singolo difficilmente potrebbero scaturire. “Energie” anche positive. Forse una via.
Αχ, Μισιρλού, μαγική, ξωτική ομορφιά
Τρέλα θα μου ‘ρθει, δεν υποφέρω πια
Αχ, θα σε κλέψω μέσα από την Αραπιά
Misirlou è forse la melodia greca più famosa nel mondo, anche se la sua origine ellenica è poco nota.
Riportata in auge da Quentin Tarantino con Pulp Fiction nel 1994 nella versione di Dick Dale, Misirlou risale agli inizi del XX secolo, e la prima versione di cui si ha notizia è quella di Michalis Patrinos del 1927, che riadattò una melodia precedente nello stile del rebetiko.
In America Misirlou venne portata al successo nel 1941 da Nikos Rubanis, un maestro di musica di origine greca, che ne incise una versione jazz.
A lui da quel momento venne attribuita la paternità del testo e della musica.
Negli anni 60 il chitarrista Dick Dale ne fece una versione surf rock, e questa versione fu quella recuperata da Tarantino per la colonna sonora di Pulp Fiction.
Negli anni seguenti Misirlou fu ripresa anche dai Beach Boys e da innumerevoli altri gruppi, ultimi in ordine di tempo i Black Eyed Peas, che hanno usato il campionamento della versione di Dick Dale nel singolo “pump it”.
Misirlou letteralmente significa “ragazza egiziana”, dal turco misirli a sua volta derivato dall’arabo misr, che significa Egitto.
Con tale nome era spesso chiamata la terra egiziana in Grecia durante l’occupazione ottomana, e la parola misr ha la stessa radice etimologica di mais.
Con il termine di misr gli ottomani infatti definivano in maniera estesa i loro possedimenti nel nord Africa, da cui si rifornivano della maggior parte del granoturco occorrente per il loro impero.
Il granoturco era una delle fonti principali per l’alimentazione degli uomini e degli animali dell’epoca, e il termine misr divenne sinonimo anche di “fonte di vita”.
Così Misirlou, la ragazza egiziana, è in senso lato la donna “fonte di vita”, colei che con i suoi doni fa vivere l’uomo che la brama.
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Μισιρλού μου, η γλυκιά σου η ματιά
Φλόγα μου ‘χει ανάψει μες στην καρδιά
Αχ, για χαμπίμπι, αχ, για χαλέλι, αχ
Τα δυο σου χείλη στάζουνε μέλι, αχ
Αχ, Μισιρλού, μαγική, ξωτική ομορφιά
Τρέλα θα μου ‘ρθει, δεν υποφέρω πια
Αχ, θα σε κλέψω μέσα από την Αραπιά
Μαυρομάτα Μισιρλού μου τρελή
Η ζωή μου αλλάζει μ’ ένα φιλί
Αχ, για χαμπίμπι ενα φιλάκι,άχ
Απ’ το γλυκό σου το στοματάκι, αχ
Mia Misirlou, il tuo dolce sguardo ha scatenato le fiamme nel mio cuore Ah iahabibi, ah, halelei, ah (in arabo: o mio amore, o mia notte) Le tue labbra colano miele, ah Ah, Misirlou. magica, esotica bellezza, Diverrò pazzo, non resisto più Ah, ti rapirò dalla terra d’Africa Pazza mia Misirlou dagli occhi neri la mia vita cambia con un bacio Ah mio amore, un solo bacio dalle tue dolci labbra, ah….
«Neppure pensavo i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili. Non soltanto da oggi né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse». Antigone davanti al tiranno Creonte.
Una delle più grandi conquiste della civiltà umana, ci è stato insegnato, è rappresentata dall’aver messo per iscritto le leggi che regolano la pacifica convivenza dei cittadini. Passo dopo passo, a partire dal celebre Codice babilonese di Hammurabi, passando per il monumentale Diritto Romano, da Giustiniano fino al Diritto Moderno, gli esseri umani hanno saputo dare corpo alle regole che mettono ordine al loro vivere, affinché chiunque possa conoscere i propri diritti e i propri doveri. Indubbiamente un grande progresso, almeno secondo la storiografia positivista. Ma dietro l’apparenza di questo monumentale processo durato millenni, qualcuno ha intravisto una realtà diversa. E’ il caso, ad esempio, del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, che nella sua opera “Genealogia della Morale” compie una attenta analisi alla ricerca delle origini del concetto di Giustizia nella storia umana. Secondo Nietzsche, la messa per iscritto delle norme e delle regole da parte di una comunità, lungi dal segnare un “progresso”, rappresentano al contrario per quella civiltà l’inizio della decadenza. In una comunità sana, infatti, la legge naturale è compresa e rispettata da tutti, senza imposizioni, quale segno di un ordine superiore inviolabile.
La comparsa del codice scritto denuncia invece un processo decadente, dal momento che tale codice nasce per porre rimedio alla violazione sempre più frequente delle leggi naturali da parte di membri della comunità stessa. Inoltre, ad aggravare ulteriormente il carattere decadente dei codici scritti, nel corso della storia si presentano sempre più spesso casi in cui lo stesso Diritto voluto dal potere risulta in netto contrasto con il Diritto Naturale, universale e non scritto. I popoli antichi erano consapevoli di questa frattura, e come sempre ne hanno lasciato testimonianza nei loro splendidi miti. La storia della giovane Antigone, fragile e fiera, messa in atto in modo sublime da Sofocle, narra meglio di mille testi il profondo contrasto tra Legge Civile (nomos) e Legge Naturale (physis).
La vicenda ha luogo a Tebe, dove il tiranno Creonte ha decretato che il corpo di Polinice, fratello di Antigone, sconfitto in battaglia mentre combatteva per il possesso della città debba rimanere insepolto. Creonte giudica Polinice come traditore della Patria, una delle colpe più infami, e per questo la condanna decisa è altrettanto crudele. Ma Antigone sa che ogni corpo deve ricevere sepoltura, è una legge naturale inviolabile, fondamento della stessa civiltà umana. Così sfida l’autorità, disobbedisce ad una legge imposta dal potere che ritiene ingiusta e onora il corpo del fratello con una retta sepoltura. Antigone si trova davanti ad un dilemma, la legge degli uomini, della polis, e la legge naturale sono in contrasto, e decide di seguire quella legge che ritiene superiore, andando incontro a una crudele condanna.
Antigone è una giovane eroina dal cuore puro, il suo dramma racconta quello vissuto da miliardi di esseri umani che si ritrovano a dover sottostare a leggi fatte da uomini per dominare altri uomini, leggi a volte in netto contrasto con il diritto naturale, con quella legge morale così a lungo cercata anche dal vecchio Kant. Una civiltà si trova in uno degli ultimi stadi di decadenza quando ha bisogno di consultare codici e tavole per sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, e la decadenza giunge al culmine quando chi detiene il potere arriva al punto di invertire i principi basilari della legge naturale e decreta come legittimo ciò che è iniquo.
Chiunque tu sia
infedele,
idolatra o pagano,
vieni.
La nostra casa non è un luogo
di disperazione.
Anche se hai violato cento volte
un giuramento,
vieni lo stesso.
May the road rise
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
And rains fall soft
upon your fields.
And until we meet again,
May God hold you
in the hollow of His hand.
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