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-o- Too late to die young -o-
17 Novembre 2011

Il governo dei tecnici, ovvero la caduta delle maschere

che i giullari sgombrino la sala…

Pino Procopio, Il giullare


In questo blog ci si è occupati sempre poco di politica italiana, dal momento che era evidente che i “protagonisti” della nostra scena politica altro non erano che buffi e mediocri comprimari messi al loro posto al solo scopo di pigliare insulti e pomodori, in cambio di cospicui benefici, mentre eseguivano i dictat dei veri detentori del potere.
Adesso, con questo nuovo “governo”, alcune maschere sono cadute, e influenti personaggi dei piani alti sono “scesi in campo” in prima persona, mettendo da parte le loro marionette.
Con questa operazione è venuta meno anche l’ultima parvenza di “leggittimità” del sistema democratico, una grande farsa messa in piedi per dare l’illusione al popolo che effettivamente si “governi da solo”.
Non si tratta del resto di un passaggio da poco, dal momento che i governi democratici, per quanto profondamente ingannevoli nella sostanza, avevano da sempre cercato in tutti modi di preservare la “forma”, presentandosi esternamente quali “leggittimati dal volere popolare”.
Col governo dei “tecnici” anche questa ultima illusione viene meno, e il trucco viene svelato senza ritegno: personaggi influenti non scelti da nessuno si insediano con autorità ai vertici decisionali del paese in prima persona, mentre i “politici di professione” si inchinano adoranti e sottomessi al loro cospetto.

Si tratta di uno scenario che denota una situazione davvero critica, gli eventi sono giunti ad un punto tale per cui è richiesta la presa del comando dei veri potenti in prima persona, mentre giullari nani e ballerine vengono scansati dai teatrini della politica senza tanti complimenti, senza nemmeno badare alla “forma”.
O forse, tutti gli avvenimenti che abbiamo vissuto negli ultimi anni dovevano portarci proprio a questo, all’introduzione di un nuovo paradigma: forse anche l’illusione dei governi democratici ha fatto il suo tempo, e per il futuro dovremmo abituarci a forme di potere che esercitano il loro dominio in maniera più diretta, senza più maschere.

10 Ottobre 2011

Qualunquismo, ovvero verità

A chiunque cerca il comando, negateglielo.


Il mondo della politica attraversa giorni agitati, qual novità, mentre nell’universo di internet e tra la società civile trovano sempre più spazio manifestazioni di insofferenza nei confronti delle varie caste che abitano i piani alti della nazione.
Una situazione per nulla sorprendente, considerando anche la sempre più grave crisi economica che i paesi occidentali stanno sperimentando: nei momenti di difficoltà risulta infatti ancora meno semplice tollerare i privilegi e gli sprechi della classe dirigente.
In questo quadro dai toni confusi, diviene interessante osservare il modo in cui la categoria dei governanti difende se stessa: si assiste da più parti alla formulazione di autorevoli ed accorati appelli al non cedere a giudizi affrettati, a non lasciarsi ammaliare dalle sirene dell’antipolitica, al non fare di tutta l’erba un fascio.
A non cedere, in altre parole, al qualunquismo.

Qualunquismo è la parola magica che pone fine ad ogni disquisizione sul potere dei governanti, disquisizione che potrebbe portare su terreni pericolosi, è l’asso nella manica che i politicanti di ogni livello ed i loro segugi possono calare in ogni momento per zittire chiunque osi contestare il sistema che li nutre e li sostiene.
Ed è un termine assai efficiente, dal momento che nessun contestatore informato ed “impegnato” accetterebbe mai di sentirsi affibbiare.
Così, qualsiasi critica ad un sistema politico corrotto necessita sempre di una doverosa premessa: “non vorrei mai passare per qualunquista, ma…”, “non per fare del qualunquismo, ma…”, e così via.
Mai lasciarsi ammaliare dalle sirene dell’antipolitica, noi si è gente di un certo livello, impegnati nel sociale e desiderosi di fare valere i nostri diritti di cittadini attraverso le sacre vie democratiche.
Già.
Tutto questo fa parte di un attento ed ingegnoso trucco che i politici di mestiere sfruttano da sempre, ovvero spostare l’attenzione dal sistema truffaldino alle singole persone: se il sistema non va per il meglio, dicono, è perché non vi sono le persone giuste al posto giusto.
Sostenere, al contrario, che tutti i politici siano uguali, che tutta l’organizzazione statale è solo una ingegnosa costruzione atta a portare ai pochi i beni dei molti, sostenere questo è –orrore!qualunquismo.

I politici sono tutti ladri
Va beh, se vogliamo discutere seriamente discutiamo, se invece siamo qui a fare i qualunquisti, allora io ho di meglio da fare.
E se ne va indignato con la sua Repubblica sotto il braccio.

Eppure, dovrebbe essere arrivato ormai il momento di liberarsi da questo ricatto.
Così, noi siamo qui per ribadire un dato di fatto: i politici di professione, effettivamente, sono tutti ladri.
Per definizione.
Ladro è infatti chi si appropria dei beni altrui con l’inganno o con la forza, chi vive utilizzando la ricchezza che altri hanno creato obbligandoli a cedergli una parte.
Nel mondo della criminalità organizzata si chiama pizzo, nel mondo della democrazia si chiama tassazione.
Ma nel principio si tratta del medesimo meccanismo, e “legalità” è solo il nome che si dà allo status quo che l’organizzazione criminale vincente ha saputo imporre (mai infatti confondere la legalità con l’onesta: non tutto ciò che è legale è anche onesto).
Il problema di fondo, infatti, è l’esistenza di una organizzazione di potere che detiene il monopolio della violenza in un determinato territorio, organizzazione che nel nostro caso, nel mondo civilizzato degli ultimi secoli, è nota come stato.
E ci sono solo due motivi per cui si possa entrare volontariamente a far parte dei vertici di questa organizzazione: l’ingenuità o la mala fede.
Grazie però al meccanismo di selezione chiamato “partiti” gli ingenui vengono subito isolati, e la scalata ai vertici diviene pertinenza dei soli spregiudicati in mala fede.
Ecco quindi perché è un assurdo in termini l’auspicare che ai governanti corrotti si possano sostituire degli altri onesti: un uomo onesto non ha nessuna possibilità di riuscita in un ambiente corrotto in partenza, un sistema di potere che prospera e si sostiene estorcendo i beni dei più deboli che non hanno nessuna possibilità di opporsi.
Ci si potrebbe casomai domandare se sia il potere a corrompere gli uomini, oppure se siano gli uomini corrotti quelli più propensi a ricercare il potere.
Entrambe le asserzioni sono vere, ma probabilmente la seconda è ancora più vera della prima.


Avere potere significa avere la possibilità di decidere della sorte dei propri simili, significa poter dare ordini ad altri uomini.
Nelle relazioni di tutti giorni, nei rapporti di lavoro, nel mondo dell’istruzione o più semplicemente in famiglia, le situazioni in cui una persona si trova nella posizione di dover eseguire degli ordini  si verificano in continuazione, fanno parte dell’ordine naturale delle cose.
Quel che caratterizza invece la ricerca del potere per mezzo di incarichi politici è la semplice constatazione che il potere in questo caso diviene fine a se stesso: chi cerca il potere nelle strutture di governo lo fa o per godere dei privilegi che quelle posizioni portano, oppure per il piacere del comandare in sé, una attrazione irresistibile per gli elementi meno nobili della grande comunità umana.
Per fare del bene, invece, ci sono altre strade.
Se si intende infatti la politica nel senso letterale del termine, ovvero l’occuparsi della polis, della propria città, comunità, allora si può facilmente comprendere che il modo più nobile ed efficace per attuarla passa per ben altre vie.
Fare politica in modo sincero significa fare del volontariato, fare bene ed onestamente il proprio lavoro, prendere a cuore i propri pazienti se si è medici, costruire dei muri e degli infissi fatti a regola d’arte se si è muratori, stare vicino ai propri genitori anziani non più sufficienti.

Questa è la vera Politica, quella a cui un politicante non si darà mai, dal momento che il suo unico obbiettivo è il proprio vantaggio personale.
Allo stesso modo, chi ha davvero a cuore la sorte dei propri simili, e possiede anche un’anima onesta, non potrà mai adattarsi al sistema di corruzione e di arrampicamento che vige nei partiti e nelle organizzazioni governative.
Il dramma della società umana, infatti, da sempre è il medesimo: tutti i sistemi di potere attraggono principalmente quella minoranza di esseri umani che trovano la propria realizzazione solamente nel comandare gli altri e nel vivere a scapito dei loro simili, mentre le persone oneste, o più semplicemente meno approfittatrici, hanno innumerevoli altri sbocchi entro i quali possono esprimere se stesse (dal proprio lavoro, all’arte, alla musica, alla propria famiglia).
A questo si aggiunge l’architettura stessa della struttura del potere impostata in modo da permettere solo ai più spericolati di scalarne le gerarchie, e si deduce facilmente che la situazione attuale non è un caso, ma una perfetta conseguenza dell’organizzazione sociale attuale.
E i politici di professione, di conseguenza, sono tutti ladri.
Per definizione.

lettura consigliata: Alex Comfort, Potere e delinquenza

 

26 Settembre 2011

La storiella dell'azienda indebitata


Immaginiamo una piccola città, una ridente cittadina affacciata al mare.
In questa piccola città vi è una grande azienda, ed in questa grande azienda trova lavoro gran parte degli abitanti della città stessa.
L’azienda ha diversi settori: c’è quello produttivo, il commerciale, il gestionale e così via.
Gli operai che lavorano in produzione un tempo erano la maggioranza, ma oramai ne sono rimasti pochi: sgobbano parecchio, ed il loro stipendio si può dire meritato; nel settore commerciale e soprattutto nel gestionale, invece, i dipendenti assunti sono senza dubbio in numero enormemente superiore rispetto alle esigenze dell’azienda.
Ci sono tra di loro alcuni che lavorano molto, e che portano avanti la baracca, come si suol dire, ma sono in molti anche coloro che nei loro uffici fanno solo presenza.

I proprietari di questa azienda sono persone poco oneste, per usare un eufemismo.
Tengono per loro la gran parte dei guadagni dell’impresa, si arrichiscono senza scrupoli mentre  dinanzi ai loro stipendiati fingono di avere a cuore le sorti dell’azienda stessa.
L’impresa nel suo insieme fattura ogni anno circa dieci milioni di euro, ma la sua gestione ne richiede dodici; i proprietari, lungi dal preoccuparsi troppo, non fanno altro che richiedere in prestito due milioni di euro all’anno, ed in tal modo riescono sempre a pagare tutti gli operai, ad assumerne di nuovi e soprattutto a tenersi per loro una gran fetta.

La situazione va avanti così per molto tempo, e in apparenza tutti sono felici: i proprietari prosperano, gli operai hanno un lavoro ed una paga certa, e tutto pare procedere alla meglio.
Passano però gli anni, ed il debito che i proprietari hanno contratto continua ad aumentare, finchè diviene più grande del fatturato stesso dell’azienda.
Qualcuno inizia a preoccuparsi, e c’è chi fa notare che non si potrà andare avanti così all’infinito.

Immaginiamo tutto questo, e quindi usciamo dalla metafora.
Chiamiamo la nostra piccola città Grecia, o Spagna, oppure – ebbene sì – Italia.
La nosta azienda è il settore pubblico nel suo intero, comprese le aziende energetiche statali, la sanità, l’istruzione, le forze di polizia, mentre non occorre specificare chi siano i corrotti gestori dell’impresa.
E’ un quadro molto semplificato, ma non per questo poco accurato.
Il resto viene da sé, e non è difficile comprendere il modo in cui siamo arrivati alla situazione odierna.

Se poi vogliamo rendere l’esempio ancora più verosimile, torniamo nella nostra cittadina immaginaria, e supponiamo che in essa vi sia anche un grande centro commerciale.
Quasi tutti gli abitanti vi fanno la spesa, i gestori dell’ipermercato sono molto soddisfatti dei loro guadagni ed hanno tutto l’interesse affinché gli abitanti della cittadina abbiano un buon lavoro, e di conseguenza soldi da spendere nella loro attività.
Per questo, per assicurarsi che i soldi nell’azienda della città non manchino, i proprietari del centro commerciale contattano alcuni loro amici molto influenti, persone poco raccomandabili che bazzicano l’ambiente della malavita.
Degli usurai, principalmente.
Li contattano e li convincono a prestare ai corrotti dirigenti dell’azienda della città cifre sempre maggiori, affinchè gli operai possano avere soldi da spendere nel loro centro commerciale.
Finchè, come si raccontava prima, il debito diviene ingestibile, e la situazione insostenibile.

Ora, chiamiamo i proprietari del supermercato Germania (per dirne una), chiamiamo gli amici usurai Banca Centrale Europea (per dirne un’altra), e di nuovo abbiamo un quadro molto verosimile della situazione europea attuale.
Per quanto riguarda la fine della storia, invece, occorre solo avere un po’ di pazienza, e guardare fuori dalla propria finestra.

21 Settembre 2011

Popolo e conformismo II


Caratteristica principale della grande massa della popolazione, più che la “stupidità” è il conformismo.
L’uomo “comune” è, prima di ogni altra cosa, conformista, attributo che non ha in sé valenza necessariamente negativa.
In una società di virtuosi, per essere accettato egli si comporterebbe, nel limite delle sue possibilità, in modo virtuoso.
Al contrario, in periodi in cui l’élite è composta da criminali, questo “uomo comune” nel suo piccolo ne assimila i comportamenti: ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per la “massa” si deduce in primis dall’esempio che danno i vertici.

Uno dei grandi temi trattati dalla filosofia e dalla sociologia nel corso dei secoli è quello riguardante la profonda natura degli uomini.
Gli uomini sono tendenzialmente portati a compiere il male oppure sono per natura inclini al bene?
La questione, ovviamente irrisolta, e forse mal posta, ha dato vita a numerosi dibattiti e a diverse trattazioni, e c’è anche stato chi non ha avuto timore nell’esprimere un giudizio perentorio e definitivo.
Il pensiero di Niccolò Machiavelli, ad esempio, si fonda sulla convinzione della naturale malvagità degli uomini.

Come dimostrano tutti coloro che ragionano del vivere civile, e come ne è piena di esempli ogni istoria, è necessario a chi dispone una republica, ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello animo loro, qualunque volta ne abbiano libera occasione
Niccolò Machiavelli, Discorsi

Secondo tale punto di vista, la maggioranza degli uomini sarebbe composta da individui crudeli ed approfittatori, con pochi scrupoli, persone che compirebbero atti malvagi se solo ne avessero la possibilità, e soprattutto se fossero certi di non doverne pagare le conseguenze.
Assunta quindi questa premessa quale vera, ne consegue che il compito del potere costituito sia quello di tenere a bada in qualche modo la popolazione, senza esitare ad usare la violenza e la sopprafazione, dal momento che tale metodo risulta l’unico capace di contenere la naturale malvagità degli esseri umani.

Questa, in sintesi, è anche la visione dell’umanità che nel tempo è prevalsa, e costituisce tutt’ora il fondamento morale dell’esistenza degli stati e del loro apparato governativo.
Senza il controllo dell’apparato statale, viene insegnato, la malvagità dilagherebbe, ed in poco tempo la naturale malvagità degli esseri umani si riverserebbe incontenibile provocando il caos.
Detto per inciso, in questa visione si presuppone che i componenti dell’apparato statale siano invece, a differenza della massa, immuni al richiamo del male, e costituiscano al contrario un concentrato di virtù e moralità: se così non fosse, infatti, il concedere grandi poteri ed il monopolio della violenza a persone tendenzialmente malvagie porterebbe ad enormi problemi(questa semplice constatazione dimostra in maniera semplice la contraddizione del ritenere la maggioranza degli uomini inclini al male e contemporaneamente invocare un potere centrale – composto da uomini – affidandogli il monopolio della violenza affinché contenga questa malvagità).


Da un altro punto di vista, c’è stato chi ha visto negli esseri umani delle creature sostanzialmente inclini al bene, vittime però delle tentazioni e dei cattivi esempi trasmessi dalla società.

È posto troppo assolutamente che gli uomini non operano mai bene se non per necessitá, e che chi ordina una republica gli debbe presupporre tutti cattivi, perché molti sono che, etiam avendo facultá di fare male, fanno bene, e tutti gli uomini non sono cattivi.
[…] e s’ha a considerare in questa materia, che gli uomini tutti sono per natura inclinati al bene, ed a tutti, data paritate terminorum, piace piú el bene che ’l male; e se alcuno ha altra inclinazione, è tanto contro allo ordinario degli altri e contro a quello primo obietto che ci porge la natura, che piú presto si debbe chiamare monstro che uomo.

Francesco Guicciardini, Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio

La questione, ovviamente è complessa, ed il tentare di risolverla per generalizzazioni è oltremodo fuorviante.
Risulta più corretto, probabilmente, affermare che gli esseri umani siano inclini sia al male che al bene, in diverse misure a seconda dei casi (ogni essere umano è infatti un caso unico) ed a seconda delle circostanze.
Di conseguenza, quello che è più interessante stabilire sono le motivazioni, e le condizioni, che portano un essere umano ad agire in un modo in alcuni casi ed in modi opposti in circostanze differenti.
Il condizionamento dell’ambiente, o meglio dell’etat d’esprit di un determinato periodo, rappresenta ad esempio un fattore estremamente importante, non ancora sufficientemente preso in considerazione nell’analizzare il comportamento della maggioranza delle persone.
E’ noto, sicuramente, che col variare delle epoche storiche e dei luoghi in cui ci si ritrova a vivere mutano anche radicalmente i valori e le convinzioni sociali di riferimento, ma il modo in cui certi fattori possono contribuire a modificare il comportamento umano sono, nonostante questa consapevolezza, ancora sottostimati.

Alcuni esempi tratti dalla cronaca possono aiutare a chiarire meglio tale circostanza.
Nell’ottobre del 2010, a Derby, in Inghilterra, un gruppo di passanti si era raccolto ad osservare un ragazzo che minacciava di gettarsi nel vuoto dal tetto di un parcheggio, ed anziché dissuaderlo la folla iniziò ad incitarlo, finendo di riprendere il volo del giovane con i telefonini.

Lo hanno incitato a gettarsi nel vuoto e poi mentre precipitava dall’ultimo piano di un parcheggio hanno ripreso la scena con i cellulari, mettendo poi i filmati su internet. L’incredibile episodio è avvenuto nel tardo pomeriggio di sabato scorso al centro di Derby, città dell’Inghilterra centrale, dove un ragazzo di 17 anni in preda a tendenze suicide non è potuto essere salvato dalla polizia perché ostacolata dalla folla che “tifava” per il salto mortale.

Dal lato opposto, poche settimane fa ebbe molto eco nei media americani il caso di un giovane motociclista che, finito sotto una macchina che rischiava di prendere fuoco, venne salvato dall’intervento spontaneo e coraggioso di diversi passanti che unirono le loro forze per sollevare l’automobile e trarre in salvo il ragazzo, mettendo a repentaglio la propria incolumità.



Sembrerebbe trattarsi di due casi agli antipodi, e chi volesse ragionare per assoluti potrebbe considerare il primo caso quale dimostrazione della naturale malvagità degli uomini, mentre la seconda circostanza sembrerebbe dimostrare l’esatto opposto.
Oppure, si potrebbe ipotizzare che dinanzi al giovane suicida si sia radunata una folla composta esclusivamente da persone abiette, mentre per puro caso il ragazzo finito sotto l’auto si è trovato circondato, per una felice coincidenza, da un gruppo composto da persone portate all’eroismo.
In realtà, le due situazioni sono estremamente simili tra loro.
In entrambi i casi, infatti, si verifica lo stesso meccanismo: una persona della folla inizia a comportarsi in un certo modo, e gli altri lo seguono per imitazione.
Si tratta, in entrambi gli esempi, di situazioni eccezionali, momenti in cui la razionalità del singolo passa in secondo piano ed emergono nuovi fattori che guidano il comportamento umano.
Come spiega Gustave Le Bon, nel suo “Psicologia della folla”:

In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone.
La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione.
Si forma un’anima collettiva, senza dubbio passeggera, ma che presenta ben precisi caratteri.
La collettività diventa allora ciò che, per mancanza di una migliore espressione – io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica.
Essa forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle. […]

In questa “unità mentale delle folle” è sufficiente una persona carismatica che dia inizio ad una azione per portare il resto del gruppo all’imitazione.
In senso più lato, lo stesso meccanismo si verifica anche nella realtà quotidiana.
Un determinato comportamento, quando diviene diffuso e condiviso dalla maggioranza dei propri simili, assume anche una giustificazione morale: è la maggioranza stessa a definire una “morale”, e gli individui vi si adegueranno.
Così, in una società in cui viene giudicato “normale” prevaricare il prossimo, saranno sempre di più coloro che  si comporteranno di conseguenza, senza sentirsi particolarmente in colpa per questo; nello stesso modo, il vendere sé stessi e la propria dignità pur di arrivare al “successo” potrà divenire, ed è ormai accaduto, un modo di agire perfettamente comprensibile, addirittura incoraggiabile.

In un’altra società, al contrario, potranno affermarsi valori del tutto diversi: prendendo a titolo d’esempio il concetto di “onore” presente ancora oggi in Giappone – dove la maggior parte dei senza tetto è composta da persone che hanno dichiarato fallimento o sono state licenziate, e per la vergogna abbandonano famiglia e conoscenti – si potrà facilmente constatare come la percezione di tale sentimento sia agli opposti rispetto agli standard occidentali, dove il servilismo e la prostituzione sono considerati generalmente mezzi utili per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Gli esseri umani, in conclusione, nella loro grande maggioranza non sono né totalmente buoni né totalmente cattivi, ma possiedono dentro sé le potenzialità per agire in modi estremamente diversi.
Quello che invece questa maggioranza la accomuna è il suo essere conformista, è il seguire l’esempio che intorno ad essa viene divulgato.
E coloro che questi meccanismi li conoscono bene da sempre si prodigano affinché sia il loro il paradigma a divenire preponderante.

 

 

2 Maggio 2011

Le bombe dei buoni


Era il 1999, il 24 Marzo, subito dopo l’equinozio di primavera.
Il periodo migliore per iniziare una guerra, a quanto pare.
Era quindi il 1999 quando le bombe della Nato cadevano sui civili serbi, io avevo 21 anni e comprendevo per la prima volta che c’era qualcosa che non andava nell’idea del mondo che fino allora mi ero fatto.
Può succedere, così come capita a molte persone, di assistere ad avvenimenti che costringono a rivedere tutte le proprie certezze, a stendere un telo bianco tra le pieghe della mente e ricominciare a scrivere i postulati base delle proprie convinzioni.

Per me quel momento venne nel 1999, e tutto quello che mi circondava assunse una diversa sfumatura.
Prima di allora avevo delle precise convinzioni politiche, credevo nelle Istituzioni (con la I maiuscola) e soprattutto ero fermamente convinto che l’umanità nella sua imperfezione fosse destinata ad una lenta ma costante “maturazione”, laddove il progresso scientifico e sociale ci avrebbe allontanato sempre più dalle antiche epoche di barbarie e di ingiustizia.
Vivevo in un continente pacifico, ed a scuola mi era stato insegnato che questo fatto rappresentava un chiaro segno del progresso raggiunto dalla nostra civiltà.
Dopo millenni di continue guerre e sconvolgimenti, dopo due terrificanti conflitti mondiali, nella nostra Europa si stava vivendo un periodo di pace lungo più di cinquanta anni.
La Seconda Guerra Mondiale era stata terribile, ma alla fine avevano vinto i buoni, ed i buoni eravamo noi.
La democrazia, grazie a Dio, aveva trionfato.
A tutto questo io credevo, ed ero più che felice di essere nato in un periodo storico così pacifico e prospero.

Poi venne il 1999, e questa visione idilliaca si frantumò.
Sapevo all’epoca che grandi e piccole guerre erano ancora in svolgimento in luoghi lontani, ma questo accadeva, mi dicevo, perché non tutti i popoli avevano raggiunto il nostro grado di maturazione sociale: non ovunque aveva ancora messo radici la democrazia.
E sapevo anche che nei Balcani aveva luogo una sanguinosa guerra civile, ma anche in questo caso vi erano delle motivazioni storiche ben precise, risalenti alla creazione di uno stato dittatoriale che aveva aggregato nazioni diverse sotto un unico governo centrale tirannico.

Quello che invece non riuscii a comprendere, quello che mi sconvolse, fu il vedere le nostre forze armate, di noi che eravamo i buoni, partire e sganciare bombe sopra dei civili.
Forse se fossi stato un giovane cittadino italiano le rassicurazioni dei telegiornali mi avrebbero tranquillizzato (“sono interventi mirati”, “non vengono colpiti civili”, “si tratta di un intervento umanitario”).
Ma essendo anche mezzo greco, avevo la possibilità di vedere anche i telegiornali greci.
E là, il racconto era del tutto diverso.
La Grecia, infatti, essendo legata da una fratellanza secolare col popolo serbo, all’epoca condannò da subito l’azione della Nato, e i mezzi di informazione greca documentarono rigorosamente tutte le conseguenze del terribile intervento militare della coalizione atlantica.

I telegiornali italiani e quelli greci raccontavano allora due realtà del tutto differenti.
Da una parte immagini di “bombe intelligenti” che centravano obiettivi sensibili in maniera chirurgica, senza spargimenti di sangue, dall’altra immagini di profughi, città smembrate, bombe che cadevano “per errore” su colonne di civili in fuga.
In Italia poi il termine “serbo” divenne sinonimo di criminale, e per la prima volta una intera nazione venne descritta quale malvagia nel suo complesso.

Ovviamente, poteva darsi che fossero i giornalisti greci ad esasperare la situazione, essendo “di parte”.
Ma la questione, ai miei occhi, andava ben oltre questa possibilità: comunque stessero le cose, qualcuno stava mentendo.
Che fossero i telegiornali italiani o quelli greci, uno dei due mi stava mostrando in televisione una totale falsificazione della realtà.
Chiunque fosse a mentire, mi resi conto, per la prima volta nella mia vita, che la televisione e l’informazione nel suo complesso può stravolgere totalmente il senso del reale, mentendo spudoratamente.
Ora, a distanza di anni, so che i media occidentali sorvolarono su molte carneficine compiute dalla Nato, e so anche che quella delle bombe intelligenti fu un triste mito, una presa in giro.*
Oggi è noto di come l’ex Jugoslavia venne sepolta sotto una montagna di uranio impoverito che ammallò ed ancora ammala le genti di quelle terre, ma questo ormai non interessa più a nessuno.

Si parlava, all’epoca, di motivazioni umanitarie, ma allora come oggi non sarei mai stato in grado di comprendere cosa vi sia di umanitario nel togliere la vita a degli innocenti.
Facce serie ed autorevoli parlavano della necessità dell’intervento, del fatto che non si potesse “stare a guardare”, ma, ancora una volta, come poteva tutto questo giustificare la morte di un bambino, causata da una bomba “dei buoni”?
Anche di un solo bambino.
Vallo a dire ai suoi genitori che l’hai ucciso a fin di bene, per un motivo “umanitario”.
Ed è questo che fece l’intervento umanitario, ed è questo che gli interventi umanitari tuttora fanno: si uccidono innocenti “a fin di bene”.
A distanza di dodici anni, e sempre a cavallo di un equinozio di primavera, la coalizione dei buoni è tornata ad usare le bombe a fin di bene, ad uccidere innocenti a fin di bene.
Ho acceso la televisione l’altra sera ed ancora una volta ho sentito le stesse parole: “non potevamo stare a guardare, si effettueranno solo interventi chirurgici, non possiamo più tollerare una dittatura così sanguinosa”.

Sono sempre le stesse bugie, squallide bugie pronunciate da una banda di ipocriti che magari rappresentano una fazione diversa da quella di dodici anni fa, ma che in fondo obbediscono prostrati agli stessi poteri di sempre.
Bugie che ora mi appaiono palesi, spudorate, così come mi fanno ribrezzo ed orrore i volti che le pronunciano.
E penso che ci fu un tempo in cui in quelle facce riponevo la mia fiducia e le mie speranze per un futuro che non poteva che essere sempre più roseo.

 
*da leggere a questo proposito l’articolo di Fulvio Grimaldi “1999-2009. La criminalità organizzata stupra la Jugoslavia”, di cui riporto un breve estratto:

Quando la mattina dopo le prime bombe su Belgrado, nella riunione di redazione del TG3, ci venne impartita la nozione dell’ “intervento umanitario” , da sostenere come verità incontestabile, Giovanna Botteri si scaraventò sui profughi kosovari per estrargli, a colpi di ricatti umanitari (ricordate i campi dalemiani dell’Operazione Arcobaleno, poi finiti sotto processo?), orrori e anatemi sui serbi, io lasciai la Rai per sempre e me ne andai con una telecamera a Belgrado.
A Novi Sad erano stati disintegrati i più bei ponti sul Danubio e la raffineria in fiamme spargeva veleni nel fiume e nei polmoni, a Pancevo l’enorme complesso petrolchimico bruciava e assolveva alla funzione assegnatagli dalla Nato di contaminare acque, terre, aria a futura moria di questo “popolo di troppo”.
A Belgrado due missili sventrarono l’albergo al quale eravamo destinati e, un attimo dopo, l’ambasciata di un paese, la Cina, che non condivideva l’accondiscendenza del fedifrago russo Eltsin nei confronti degli aggressori: a buon intenditor, un paio di missili.[…]

Venivano disintegrati ospedali, scuole, asili, case, ponti, treni, centrali elettriche, tra i 3.500 uccisi da Clinton e dai suoi furieri europei c’erano i bambini delle incubatrici cui era venuta a mancare l’elettricità. Già allora, prima di Baghdad, prima di Gaza, si capiva che gli interventi umanitari erano mirati a eliminare pezzi di specie umana. Oltrechè a distruggere infrastrutture la cui ricostruzione poi, a colonizzazione completata, avrebbe gonfiato i forzieri delle imprese dei paesi assassini.