Benvenuti.
Qui si parla di miti, simboli,
storia e metastoria,
mondi vecchi e mondi nuovi,
e di cospirazioni
che attraversano i secoli.
Qui si scruta l'abisso,
e non si abbandona mai
la fiaccola.
la storia di Omer Goldman, figlia dell’ex numero due del mossad, e del suo rifiuto di servire nell’esercito israeliano, pagandone le conseguenze. di Dheera Suhan
Omer Goldman ha 19 anni, è ebrea, vive a Tel Aviv, è una bella ragazza, e non è difficile pensare che realizzerà la sua aspirazione di diventare attrice. Ma da quando aveva otto anni, ha anche un altro sogno: lavorare con un organizzazione come Amnesty International, nella speranza di poter contribuire a creare un mondo migliore. Proprio ora, il suo modo di farlo è accettando la prigione. Scegliendo di andare in prigione piuttosto che servire l’esercito – un obbligo per tutti i giovani israeliani. Omer Goldman non era destinata alla prigione. Per la maggior parte della sua vita aveva pensato che sarebbe entrata nell’esercito e divenuta un’eroina per tutto il suo paese. Dopotutto, suo padre è l’ex numero due del Mossad, ed è ancora considerato uno degli uomini più importanti nell’ambiente dei servizi di sicurezza israeliani. Sua sorella maggiore e la maggior parte dei suoi amici hanno compiuto il servizio militare senza discussioni. Ma la seconda guerra in Libano iniziò a far cambiare idea ad Omer. Visitò Hebron, ed iniziò ad andare regolarmente nella West Bank a vedere come vivevano i palestinesi e come venivano trattati.Proteste Partecipava a manifestazioni di protesta, ed era con un gruppo di dimostranti in un villaggio della West Bank che stavano protestando contro un checkpoint, costruito senza necessità in mezzo ad un villaggio: “Non avrebbe dovuto essere lì”, dice, “l’avevano installato solamente per perseguitare gli abitanti del villaggio.” Quando improvvisamente i soldati hanno iniziato a fare fuoco sul gruppo di dimostranti. “Questo è l’esercito che crescendo pensavo avrebbe dovuto proteggermi ed aiutarmi”, dice, e lo shock dell’accaduto è ancora evidente nella sua voce. Fu colpita alla mano da una pallottola di gomma, e da quell’istante seppe che non avrebbe mai indossato un uniforme di un esercito che commetteva tali azioni.
Un’esperienza significativa
Nel giorno in cui era previsto che si arruolasse, si rivoltò con un centinaio di sostenitori e rifiutò pubblicamente di entrare nell’esercito. Fu immediatamente portata in cella e poi di fronte ad una corte militare dove il giudice – un ufficiale di alto rango – tentò di convincerla che poteva diventare un soldato e cambiare le cose da dentro. “Potresti dare caramelle ai bambini palestinesi ai checkpoints”, le disse, apparentemente senza ironia. La sua risposta – “dare le caramelle non cambia il fatto che sarei lì illegalmente” – lo esasperò così tanto che gli fu immediatamente data una sentenza più dura di altri obiettori di coscienza che erano comparsi in giudizio quel giorno. Omer ha trascorso due periodi in carcere, nonostante la paura della prigione e il suo riconoscere che essere rinchiusa in una cella di media grandezza assieme a quaranta altre donne è stato orribile, afferma che, guardando indietro, quell’esperienza fu tra le più significative della sua vita.
Emarginata dagli amici
Omer è ora esente dalla leva per motivi di salute, ma continua a partecipare alle dimostrazioni, a denunciare tutto ciò che giudica ingiustizie commesse dai suoi concittadini e dal suo governo verso una popolazione civile innocente. La sua posizione le è costata moltissimo. Gli amici l’hanno emarginata, degli sconosciuti l’hanno aggredita e suo padre si rifiuta di avere più alcun contatto con lei. Ma perché continuare? Perché mantenere questa posizione? La sua risposta è decisa: “perché quando terminerà questa Occupazione – tra venti o trenta anni, anche se spero che avvenga prima – potrò dire di aver fatto qualcosa, che non sono semplicemente rimasta a guardare questa ingiustizia… essere stata in prigione non avrà aiutato nessuno dei palestinesi che conosco, ma almeno mi sono battuta per quello che credo sia giusto – sostenere che la violenza non può essere la risposta”.
Titolo originale: “Refusing to serve”
Traduzione di Maddalena Parolin per www.peacelink.it
Dal resoconto di una madre israeliana: “[…] Questi giovani uomini e donne, appena usciti dalle superiori, sono riusciti a andare oltre a tutti i miti nei quali sono vissuti immersi per tutta la vita, e a farsi un’idea di ciò che l’esercito israeliano sta effettivamente facendo. Sono giunti alla conclusione che l’esercito li obbligherebbe a compiere azioni immorali, e hanno fatto il passo successivo, per niente facile nè scontato: la scelta di non arruolarsi. Nonostante le pressioni familiari, dei coetanei e della gente, che sono assolutamente intense. Sono disposti a pagarne il prezzo, compresa la carcerazione, per stare dalla parte di ciò che ritengono giusto.”
La storia si ripete sempre simile e mai eguale a se stessa. La memoria dei crimini del passato servirebbe, in teoria, affinché certe tragedie nel tempo non si ripetano mai più. Ma cosa insegna, questa memoria, se quelle stesse immagini ce le ritroviamo oggi davanti agli occhi, senza comprendere che stiamo osservando lo stesso orrore? Immagini che parlano più di mille parole: la vita degli Ebrei sotto l’occupazione nazista a confronto della vita dei palestinesi sotto l’occupazione Israeliana. (cliccare sul link per visualizzare le immagini)
Il Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione[ebraica ovviamente n.d.t.] ha annunciato domenica che sta preparando un “esercito di blogger” composto da israeliani che parlano una seconda lingua per rappresentare Israele nei blog anti sionisti in inglese, francese, spagnolo e tedesco. [e noi italiani? cos’è questa discriminazione? n.d.S.]
La prima volontaria del programma è stata Sandrine Pitousi, 31, di Kfar Maimon, a 5 km da Gaza. “Ho sentito parlare del progetto alla radio e ho deciso di partecipare perché vivo nel mezzo del conflitto” ha detto. […] Halfon ha detto che i volontari che manderanno al Ministero per l’Assorbimento i dettagli per contattarli via e-mail all’indirizzo media@moia.gov.il, verranno registrati in base alla lingua e poi passati al dipartimento media del Ministero degli Esteri, il cui personale indirizzerà i volontari a siti Web definiti ” problematici”. Halfon ha detto che entro 30 minuti dall’annuncio del programma, che è stato approvato dal Ministero degli Esteri domenica, 5 volontari erano già entrati in contatto.
Ne voglio uno anche io.
Ok, il blog è piccolo e non è fonte di eccessive preoccupazioni.
Ma un blogger reclutato direttamente dal Ministero per l’Assorbimento che giunge da queste parti sarebbe un vero onore.
Lo tratteremo con ogni riguardo.
Chiunque tu sia
infedele,
idolatra o pagano,
vieni.
La nostra casa non è un luogo
di disperazione.
Anche se hai violato cento volte
un giuramento,
vieni lo stesso.
May the road rise
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
And rains fall soft
upon your fields.
And until we meet again,
May God hold you
in the hollow of His hand.
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