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-o- Too late to die young -o-
11 Dicembre 2007

Israele Britannico

di Giuseppe Cosco


Nel 1587, in una lettera datata 27 aprile e indirizzata a John Foxe, Sir Francis Drake scrive:
“Che Dio sia glorificato, la sua Chiesa e la sua Regina preservate, i nemici della verità vinti e che possiamo avere ininterrotta pace in Israele”.
Che significato può avere tutto ciò?
La questione si riallaccia alla bizzarra credenza dell’anglo-israelismo in relazione alle tribù perdute di Israele.
Morto Salomone, narra la Bibbia, le dodici tribù di Israele si divisero in un regno del Nord (di Israele), che riuniva dieci tribù, e in un regno del Sud (di Giuda) – con capitale a Gerusalemme – che riuniva le tribù di Giuda e di Beniamino.
Nell’VIII° secolo gli Assiri occuparono il regno di Israele e deportano le dieci tribù del Nord. Che ne fu delle dieci tribù del Nord?
Gli storici, quasi unanimemente, sono convinti che esse si siano disperse, verosimilmente assimilate dai popoli presso cui erano state deportate.
Questo svolgimento dei fatti non è stato accettato da tutti ed ecco sorgere le teorie più strane, in particolare dal Seicento in poi.
La più importante di queste afferma che gli anglosassoni, in particolare modo gli inglesi, sono i discendenti diretti delle “tribù scomparse”.
Da queste ed altre astruse credenze e interpretazioni si origina una dottrina segreta, che non è affatto da sottovalutare e, più avanti, ne vedremo il perché.[…]
La tesi dell’ “Israele britannico” fu esposta, nel secolo scorso, dal medico inglese John Wilson, che nel 1840 diede alle stampe un curioso volume dal titolo “Our Israelitish Origin” (La nostra origine israelita) e da George Moore (1861) nel libro “The Ten Tribes” (Le dieci tribù).

Paradossalmente Wilson asseriva che gli inglesi discendono in linea diretta dalla tribù di Efraim. Nel suo secondo libro “The Millennium”, pubblicato due anni dopo, arriva alla conclusione dell’imminenza del ritorno di Cristo sulla Terra.
Fin qui si potrebbe obiettare che sono solo fantasticherie di menti esaltate.
I nostri scrittori inglesi, invece, ebbero dei seguaci che seguirono le loro orme.[…]
Queste idee si rinforzarono nel contesto dell’età vittoriana; l’impero britannico era al vertice della sua grandezza.
Quando questo periodo d’oro ebbe termine, un seguace della strana dottrina affermò che tutto ciò era finito perché l’Inghilterra si era inimicata Dio e spiegò:
“La misura della nostra disgrazia e della nostra abiezione è la misura della nostra lontananza da Dio Onnipotente”.
Hein, tuttavia, trovò presto una alternativa; se era vero che l’Inghilterra si era inimicata Dio, non si poteva dire ugualmente dell’America e, ribadendo che l’America aveva avuto origine da anglosassoni bianchi e protestanti, concluse che, perciò, era questa la nazione che discendeva dalla tribù di Manasse.

Le Dodici tribù di Israele (alta risoluzione)

E’ utile sottolineare che “Lo storico dell’arte fabiano John Ruskin, alla fine dell’800, entusiasmava la gioventù aristocratica predicando la superiorità anche razziale della casta signorile britannica, a cui come ‘vero Israele’ era offerto il dominio del mondo: una missione morale, poiché il mondo andava incivilito estendendo ad esso, volente o nolente, i benefici del superiore umanesimo britannico”
(M. Blondet, Complotti – I fili invisibili del mondo – 1. Stati Uniti, Gran Bretagna,Milano 1995, pag. 49).

A proposito del termine “vero Israele”, Arnold Toynbee nel suo libro del 1934: “A Study of History”, scrive:
“Fra i protestanti di lingua inglese si trovano ancora alcuni fondamentalisti che si reputano ‘il popolo eletto’ nel senso letterale del termine, quale viene usato dal Vecchio Testamento. Questo ‘Israele Britannico’ fa fiduciosamente risalire il suo ceppo fisico alle scomparse Dieci Tribù”
(A. Toynbee, Panorami della storia, Milano 1954, vol. II, pag. 53).

Il convincimento che la monarchia inglese fosse l’erede del regno di Israele concedeva ratificazione biblica all’imperialismo britannico. […]
Sono vitali ancora oggi queste dottrine occulte?
Maurizio Blondet ci informa:
“nel 1991, mentre ero a Washington (infuriava la Guerra del Golfo), mi capitò… di constatare che i British Israelites esistono tuttora. Conservo un loro curioso libretto che pubblicarono allora, The Prophetic Expositor, che è una summa delle loro credenze”.
Blondet si dilunga sulle loro convinzioni: “Presto tornerà il Messia e instaurerà il Regno di Dio, che sarà ‘un regno concreto e materiale, con territorio, leggi, popolo e trono’. Sarà ovviamente la Casa Reale Britannica, ‘discendente da Davide’, a occupare quel trono.
[…]
Vi sono fondati motivi per credere che l’ideologia che l’opuscolo The Prophetic Expositor esprime in modo così ridicolmente estremo, sia una sorta di dottrina segreta coltivata nella cerchia interna dei fedelissimi alla Corona, e intimamente legata alla religione di Stato britannica, l’Anglicanesimo. …in tempi a noi vicinissimi (nel 1952) Sir Oliver Locker-Sampson, alto esponente conservatore… intervistato sui motivi della costante politica inglese a favore del Sionismo e dello Stato d’Israele… rispose:
‘Winston (Churchill), Lloyd George, Balfour e io siamo stati allevati come protestanti integrali, credenti nell’avvento di un nuovo Salvatore quando la Palestina ritornerà agli ebrei’.
Di fatto, non è facile spiegare razionalmente, in termini di Realpolitik, l’ostinazione della politica britannica a favore del Sionismo”
(M. Blondet, op. cit., pag. 92).

Abbiamo visto che il ruolo “divino” era stato perso dall’Inghilterra a causa del suo comportamento e che ben presto fu rimpiazzata da un Israele americano.
Non è assurdo credere, a questo punto, che “Benjamin Franklin obbediva alle stesse suggestioni quando, come membro del ‘Triumvirato’ incaricato di disegnare il sigillo degli USA, proponeva nel 1776 di raffigurarvi ‘Mosé che divide il Mar Rosso mentre il Faraone e i suoi armati sono sommersi dalle acque” (Ibidem, pag. 96).

Stupirà ancora di più sapere che il simbolo dell’aquila poi adottato come suggello dell’America, secondo David Austin, derivava proprio dall’Apocalisse: “che ne è divenuto dell’aquila sulle cui ali la donna perseguitata (Ap., 12,14) fu portata nella wilderness americana, non si potrebbe rispondere che essa si è posata sul sigillo civile degli Stati Uniti?”
(S. Bercovitch, America puritana, Roma 1992, pag. 175).[…]
Queste sono le assurde premesse sulle quali si fonda il fondamentalismo americano che vede ogni sua guerra come una sorta di crociata.
L’ex presidente USA, Ronald Reagan, abbracciò questa dottrina segreta e pronunciò discorsi dai toni messianici infuocati:
“Tutte le altre profezie che si dovevano realizzare prima di Armageddon sono avvenute.
Nel trentesimo capitolo del profeta Ezechiele si dice che Dio raccoglierà i figli di Israele dalle lande pagane dove sono stati dispersi per riunirli di nuovo nella terra promessa.
Dopo 2000 anni, questo momento è finalmente giunto.
Per la prima volta nei tempi, ogni cosa è pronta per la battaglia di Armageddon e il secondo avvento di Cristo”.
E, ancora, rivolgendosi ai soldati americani, l’ex presidente Ronald Reagan tuonò:
“Voi oggi state respingendo le forze del male che vorrebbero estinguere la luce che noi abbiamo custodito per 2000 anni”
(Le due frasi di Ronald Reagan sono citate da Majid Valcarenghi e Ida Porta, in “Operazione Socrate”, Firenze 1995, pagg. 101-102).

Il giornalista Ronnie Dugger in un lungo articolo, pubblicato nel 1984, sul “The Guardian”, si chiese:
“Gli americani potrebbero giustamente chiedersi se il loro presidente… sia personalmente predisposto dalla teologia fondamentalista ad attendersi un qualche Armageddon che inizi con una guerra nucleare in Medio Oriente. (…).
Se in Medio Oriente insorgesse una crisi e minacciasse di trasformarsi in un confronto nucleare, il presidente Reagan potrebbe essere incline a credere di assistere all’arrivo dell’Armageddon deciso dalla volontà di Dio?”
(“The Guardian”, 21 aprile 1984. L’articolo fu pure pubblicato sul “Washington Post”).[…]
E’ evidente la sopravvivenza di tendenze apocalittico-millenaristiche nella cultura contemporanea degli USA. Tendenze piuttosto evidenti anche nella politica estera americana.
Scrive ancora Gobbi che l’America ha combattuto:
“Soltanto in questo secolo… “battaglie finali” contro il fascismo, il comunismo e, più recentemente, contro il fondamentalismo islamico; e soprattutto sono ancora fondamentalmente convinti di essere un “popolo eletto”, una “Nazione Redentrice”
(R. Gobbi, op. cit., pag. 223).

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25 Settembre 2007

Gaza vivrà


La striscia di Gaza in questo momento storico è uno dei luoghi più tristi della terra.
Quasi una immensa gabbia, un recinto contente un milione e mezzo di persone, di disperati.
La questione palestinese è da sempre tema spinoso, territorio in cui occorre muoversi con cautela;e ridurre il tutto ad una contrapposizione manichea, “ebrei contro palestinesi” non è corretto.
Nella storia della Palestina entrano in ballo questioni e progetti vecchi di secoli, storia mito e visioni messianiche si intrecciano indissolubilmente.
Il più cinico paradosso dei nostri tempi vede la Terra Santa teatro di uno dei più cruenti scontri della modernità.
E le popolazioni ebraiche ed arabe sono vittime di giochi più grandi di loro, tragedie figlie di chi in passato si è accaparrato il diritto di decidere per la sorte di milioni di suoi simili, tracciando dei segni su delle anonime carte geografiche.
In questi giorni si consuma una ulteriore tragedia, il governo israeliano ha deciso di limitare il passaggio dell’energia elettrica a Gaza e ridimensionerà persino il passaggio dell’acqua.
Tutto questo in un’area barricata, che da tempo soffre una crisi economica senza paragoni.
Gaza è un enorme carcere, qualcuno dice un enorme campo di concentramento.
Vi sono tragedie sulle quali non si può tacere, e non si tratta di semplice retorica.
Voci che forse si alzano inutili, ma davanti a tutto questo anche il silenzio è colpevole; come il silenzio dei governi occidentali, che non osano nella loro pavidità denunciare questo scempio.
E la storia, se mai vi è giustizia, e vi sarà, alla fine, giustizia, saprà giudicare questo silenzio.
Le speranze sono affidate alla ragionevolezza degli uomini veri, come i 27 piloti dell’aviazione militare israeliana che nel 2003 firmarono un appello contro le indiscriminate operazioni compiute contro i territori occupati.

Noi, piloti dell’Air Forces che siamo stati cresciuti sui valori del sionismo, del sacrificio e con il contributo dato allo stato d’Israele abbiamo sempre prestato il nostro servizio in prima linea, non vogliamo più portare avanti alcuna missione, né piccola né grande, per difendere e rafforzare lo stato d’Israele.
Noi, veterani e piloti attivi che abbiamo servito e continuiamo a servire e ancora serviremo lo stato d’Israele per lunghe settimane ogni anno, ci opponiamo a eseguire ordini di attacco che sono illegali e immorali come quelli che lo Stato di Israele sta conducendo nei territori.

Questi giorni si sta diffondendo un appello che chiede la fine dell’embargo a Gaza.
Si potrà discutere sui termini usati, sull’enfasi, ma la sostanza non cambia: vi è in atto una tragedia che va fermata.
Che tale appello possa essere ascoltato o meno, credo che dare risalto alle battaglie in cui si crede sia cosa che vada fatta.
Perché la storia giudicherà il silenzio.

Appello per la fine di un embargo genocida

Nel 1996, votando massicciamente al-Fatah, i palestinesi espressero la speranza di una pace giusta con Israele. Questa speranza venne però uccisa sul nascere dalla sistematica violazione israeliana degli accordi. Essi prevedevano che entro il 1999 Israele avrebbe dovuto ritirare le truppe e smantellare gli insediamenti coloniali dal 90% dei Territori occupati.
Giunto al potere dopo la sua provocatoria «passeggiata» nella spianata di Gerusalemme, Sharon congelò il ritiro dell’esercito e accrebbe gli insediamenti coloniali — ovvero città razzialmente segreganti i cui abitanti, armati fino ai denti, agiscono come milizie ausiliarie di Tsahal. Come se non bastasse, violando anche stavolta le risoluzioni O.N.U., diede inizio alla edificazione di un imponente «Muro di sicurezza» la cui costruzione ha implicato l’annessione manu militari di un ulteriore 7% di terra palestinese.
Nel tentativo di schiacciare la seconda Intifada, Israele travolse l’Autorità Nazionale Palestinese e mise a ferro e fuoco i Territori. Migliaia i palestinesi uccisi o feriti dalle incursioni, decine di migliaia quelli rastrellati e arrestati senza alcun processo. Migliaia le case rase al suolo. Decine i dirigenti ammazzati con le cosiddette «operazioni mirate». Lo stesso presidente Arafat, una volta dichiarato «terrorista», venne intrappolato nel palazzo presidenziale della Mukata, poi bombardato e ridotto ad un cumulo di macerie.

Evidenti sono dunque le ragioni per cui Hamas (nel frattempo iscritta da U.S.A. e U.E. nella black list dei movimenti terroristici) ottenne nel gennaio 2006 una straripante vittoria elettorale. Prima ancora che una protesta contro la corruzione endemica tra le file di al-Fatah, i palestinesi gridarono al mondo che non si poteva chiedere loro una «pace» umiliante, imposta col piombo e suggellata col proprio sangue.
Invece di ascoltare questo grido di aiuto del popolo palestinese, le potenze occidentali decisero di castigarlo decretando un embargo totale contro la Cisgiordania e Gaza. Seguendo ancora una volta Israele (che immediatamente dopo la vittoria elettorale di Hamas aveva bloccato unilateralmente i trasferimenti dei proventi di imposte e dazi di cui le Autorità palestinesi erano i legittimi titolari), U.S.A. e U.E. congelarono il flusso di aiuti finanziari causando una vera e propria catastrofe umanitaria, ciò allo scopo di costringere un intero popolo a piegare la schiena e ad abbandonare la resistenza.
Questa politica, proprio come speravano i suoi architetti, ha dato poi il suo frutto più amaro: una fratricida battaglia nel campo palestinese. Coloro che avevano perso le elezioni, con lo sfacciato appoggio di Israele e dei suoi alleati occidentali, hanno rovesciato il governo democraticamente eletto per rimpiazzarlo con un altro abusivo. Hanno poi scatenato, in combutta con le autorità sioniste, la caccia ai loro avversari, annunciando l’illegalizzazione di Hamas col pretesto di una nuova legge per cui solo chi riconosce Israele potrà presentarsi alle elezioni. USA ed UE, una volta giustificato il golpe, sono giunte in soccorso di questo governo illegittimo abolendo le sanzioni verso le zone da esso controllate, e mantenendole invece per Gaza.

Un milione e mezzo di esseri umani restano dunque sotto assedio, accerchiati dal filo spinato, senza possibilità né di uscire né di entrare. Come nei campi di concentramento nazisti essi sopravvivono in condizioni miserabili, senza cibo né acqua, senza elettricità né servizi sanitari essenziali. Come se non bastasse l’esercito israeliano continua a martellare Gaza con bombardamenti e incursioni terrestri pressoché quotidiani in cui periscono quasi sempre cittadini inermi.
Una parola soltanto può descrivere questo macello: genocidio!
Una mobilitazione immediata è necessaria affinché venga posto fine a questa tragedia.
Ci rivolgiamo al governo Prodi affinché:

1. Rompa l’embargo contro Gaza cessando di appoggiare la politica di due pesi e due misure per cui chi sostiene al-Fatah mangia e chi sta con Hamas crepa;
2. si faccia carico in tutte le sedi internazionali sia dell’urgenza di aiutare la popolazione assediata sia di quella di porre fine all’assedio militare di Gaza;
3. annulli la decisione del governo Berlusconi di considerare Hamas un’organizzazione terrorista riconoscendola invece quale parte integrante del popolo palestinese;
4. cancelli il Trattato di cooperazione con Israele sottoscritto dal precedente governo.

Tutte le firme devono essere inviate a info@gazavive.com
e verranno pubblicate su www.gazavive.com

14 Dicembre 2006

Ebraismo e Sionismo

Così, quando ti saranno venute addosso tutte queste cose, la benedizione e la maledizione che io ti ho posto davanti, e tu le richiamerai alla mente fra tutte le nazioni, tra le quali l’Eterno, il tuo DIO, ti avrà scacciato, e ritornerai all’Eterno, il tuo DIO, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, secondo tutto ciò che oggi ti comando, l’Eterno, il tuo DIO, ti farà ritornare dalla schiavitú, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo fra tutti i popoli, fra i quali l’Eterno, il tuo DIO, ti aveva disperso.
Anche se fossi stato scacciato all’estremità del cielo, l’Eterno, il tuo DIO, ti raccoglierà di là e di là ti prenderà.
L’Eterno, il tuo DIO, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri possedettero e tu lo possederai; ed egli ti farà del bene e ti moltiplicherà piú dei tuoi padri.
Deuteronomio 30,1-5


In questi giorni si è parlato molto nei mezzi di comunicazione della conferenza organizzata dal presidente iraniano Ahmadinejad che tratta del sionismo e dell’olocausto ebraico.
Senza entrare nel merito di questa enorme questione, quello che è importante sottolineare è la presenza nella conferenza di rabbini ebrei antisionisti.
Questi rabbini non sono ebrei masochisti, e non occorre nemmeno scomodare astruse teorie freudiane per capire il loro pensiero.
Semplicemente, secondo l’autentica ortodossia ebraica il movimento sionista è blasfemo.

Secondo la dottrina ebraica infatti la diaspora delle genti di Israele è stata decisa da Dio per punire il suo popolo che si era allontanato dal patto che con Lui aveva “siglato”.
Sempre secondo l’ortodossia ebraica, sarà la venuta del Messia a porre fine alla diaspora e a ricondurre il suo popolo nuovamente nella Terra Promessa.
Quando nel XIX secolo crebbe il movimento sionista, la quasi totalità dei rabbini vi guardava con diffidenza, essendo quel movimento essenzialmente laico e politico, e avendo come scopo la riedificazione dello stato di Israele per opera umana.
Una blasfemia, poiché solo Dio avrebbe potuto decidere il momento per riconciliarsi con il proprio popolo.
Oggi il movimento degli ebrei antisionisti è minoritario, ma si considera il continuatore della vera ortodossia ebraica.
I due movimenti principali sono gli Ebrei contro il Sionismo e i rabbini del Neturei Karta.

Nel blog Cronache da Mileto l’amico Giorgio Mattiuzzo ha curato la traduzione del discorso del Rabbino Aharon Cohen, dell’associazione Neturei Karta tenuto alla conferenza di Teheran.
Un documento importante per cercare di comprendere questa realtà del tutto ignorata dai media tradizionali.

____

L’Ebraismo e il Sionismo sono due concezioni totalmente e diametralmente opposte. L’Ebraismo è un antico modo, che risale a migliaia di anni fa, di vivere secondo la volontà di D-o, pieno di contenuto morale, etico e religioso.
Il Sionismo è relativamente giovane – poco più di cent’anni – ed ha una concezione secolare e nazionalista, completamente priva di etica e di morale.
Tuttavia, bisogna dire che ci sono gruppi religiosi, tra il Popolo Ebraico, che sono stati influenzati ed infettati dalla filosofia nazionalista sionista ed hanno, scorrettamente e falsamente, “attaccato” il Sionismo addosso all’Ebraismo, andando contro gli insegnamenti dell’Ebraismo come è stato tramandato da generazioni.
[…]
[Dalla diaspora] fino ai giorni nostri il Popolo Ebraico è, per decreto divino, in esilio, nel quale noi dobbiamo essere leali cittadini delle nazioni in cui ci troviamo e ci è proibito sotto giuramento di tentare di uscire dall’esilio con le nostre forze.
Ci è proibito sotto giuramento di tentare di formare un nostro Stato in Palestina. Trasgredire questi divieti costituirebbe una ribellione contro i voleri dell’O—ipotente e siamo a conoscenza delle gravissime conseguenze di un tale tentativo.
[…]

Rabbino Aharon Cohen