Benvenuti.
Qui si parla di miti, simboli,
storia e metastoria,
mondi vecchi e mondi nuovi,
e di cospirazioni
che attraversano i secoli.
Qui si scruta l'abisso,
e non si abbandona mai
la fiaccola.
Il 9 febbraio scorso le agenzie di stampa riportarono una particolare dichiarazione del presidente del consiglio, dichiarazione nella quale esprimeva il suo rispetto per la costituzione, aggiungendo però di non considerarla intoccabile. Personalmente la polemica in sé non mi aveva particolarmente interessato, come tutto ciò che riguarda la bassa politica italiana, ma mi aveva incuriosito il termine di cui si era servito il premier riferendosi alla costituzione:
Non è un Moloch intoccabile.
Moloch è il nome di una delle antiche divinità del Medio Oriente, venerato principalmente nel periodo che precedette la diffusione della religione ebraica, ed è associato al rito dei sacrifici umani che gli venivano tributati. Sicuramente l’immagine di Moloch non viene evocata spesso nel linguaggio di tutti i giorni, ed all’epoca della dichiarazione del presidente del consiglio mi parve assai curiosa la sua scelta di usare proprio tale allegoria per esprimere il suo pensiero.
Nello stesso modo, di tutta la vicenda che coinvolge il premier e la consorte in questo periodo, un solo particolare ha attirato la mia attenzione, un estratto di una frase usata dalla signora Lario nel comunicato che ha diramato alle agenzie:
Interpreta la loro parabola quasi epicamente, come “figure di vergini che si offrono al drago[…]”
Nell’ iconografia ortodossa il tema della resurrezione raffigura Cristo nel momento in cui risale dall’Ade e trascina con sé Adamo ed Eva, a simboleggiare l’umanità redenta.
Sotto i piedi di Cristo si scorgono catene e lucchetti infranti, allegoria di una schiavitù che ha termine.
Osservano la scena i profeti e i Re. Αληθώς Ανέστη
a Golden Age Empire
under Anglican England’s world leadership to be based not on war but on strength, peace, compassion and a vigilant use of knowledge, science, intelligence, espionage and secrecy Francis Bacon
Chi realizzò questo ritratto della regina Elisabetta I volle immortalare il ruolo di guida mondiale che l’Impero Britannico stava assumendo all’ epoca, ed i metodi attraverso i quali questa leadership sarebbe stata esercitata. La regina tiene nella mano destra un arcobaleno stilizzato, simbolo della pace universale saldamente guidata dall’Impero Britannico. La scritta NON SINE SOLE IRIS significa Non c’è Arcobaleno senza Sole, dove l’arcobaleno è la Pace e l’armonia mondiale e il sole l’Impero Britannico. Le orecchie e gli occhi presenti sul vestito della regina alludono al sistema di “intelligence” che l’impero stesso avrebbe usato per garantire la sua supremazia. Una supremazia non più basata sulla guerra, ma sullo spionaggio (orecchie) e l’intelligence (occhi), come già Francis Bacon con orgoglio declamava. Le pieghe della veste formano poi delle labbra serrate, simbolo della “secrecy”, la segretezza fondamento di ogni potere che vuole durare nei secoli. Nessun parametro cristiano, ma al contrario diversi richiami alla conoscenza gnostico – luciferiana, simboleggiata sia dagli occhi ma ancor più dal serpente ricamato sul braccio sinistro della regina. Il serpente forma un nodo identico a quello che compare nelle logge massoniche, a simboleggiare l’unità dei fratelli e la loro conoscenza condivisa, così come il legame tra il creatore e le sue creature. Significativo che sia proprio il serpente – lucifero a formare il nodo.
Per un’analisi della simbologia del quadro e del contesto storico:
Come approfondimento al precedente articolo si ripropone un post, inizialmente apparso nel Marzo del 2007, che descrive la suddivisione delle ere secondo la concezione indù, così come riportata da alcuni autori tradizionali.
Secondo la concezione tradizionale lo scorrere del tempo segue un ritmo circolare, anche se probabilmente l’immagine della spirale sarebbe più adatta per descrivere il percorso dei secoli.
Le epoche degli uomini seguono un andamento decadente, un progressivo allontanamento dall’origine celeste ed un inevitabile avvicinamento alla materialità.
La tradizione indù, e non solo, per delimitare le varie epoche fa riferimento ai cicli precessionali; un ciclo precessionale dura all’incirca 26.000 anni, ed è il tempo che occorre affinché l’asse terreste compia un giro completo per poi ritrovarsi al punto di origine.
La terra infatti si comporta come una trottola, anche se questo terzo movimento, a differenza della rotazione e della rivoluzione, è impercettibile, dato il grande lasso di tempo che impiega per compiersi.
La tradizione indù quindi individua due cicli principali, il kalpa e il manvantara. Un manvantara ha una durata di due cicli precessionali e mezzo, ovvero 64.800 anni, e il kalpa comprende 7 manvantara.Ogni manvantara è a sua volta diviso in 4 yuga, ognuno dei quali ha una durata proporzionalmente inferiore rispetto al suo predecessore, come spiegato nell’immagine sottostante. All’inizio di un manvantara gli esseri umani si trovano in una situazione di massima vicinanza con il mondo celeste, ma con l’alternarsi degli yuga questo rapporto con il divino via via si affievolisce, finchè al termine dell’ultimo yuga, il kali yuga, l’età oscura, gli esseri umani sprofondano totalmente nel materiale, fino a dimenticare del tutto la propria origine divina. Terminato un kali yuga l’umanità si rigenera, ed il ciclo si ripete. La fine del settimo manvantara di un kalpa corrisponde al periodo di massima decadenza.
Il nostro attuale kalpa è chiamato Era del Cinghiale Bianco, e sempre secondo tale concezione attualmente stiamo vivendo gli ultimi anni dell’ultimo yuga del 7° manvantara.
Ovvero, il periodo di massima decadenza possibile.
La mitologia greca similmente riprende la teoria dei cicli di decadenza, e chiama le quattro ere principali Età dell’Oro, Età dell’Argento, Età del Bronzo ed Età del Ferro, la nostra era.
La seguente raffigurazione,parzialmente tratta dal libro di Fabio Ragno “Iniziazione ai Miti della storia”,schematizza tale divisione ed individua alcuni avvenimenti descritti dai testi tradizionali che hanno segnato i passaggi di era.
Il tempo lineare, il tempo ciclico, e la testa del serpente
L’immagine di fondo che viene trasmessa dalla storiografia moderna è quella di una umanità che faticosamente percorre un lungo cammino dalla barbarie alla civiltà, incontrando ostacoli, regressi temporanei, deviazioni, ma sostanzialmente seguendo una ben precisa direzione.
E’ l’idea di un essere umano che si fa sempre più civile, che passa dalla clava e dalle caverne all’I-pod ed ai grattacieli.
Così come la società nella sua interezza, che si è lasciata alle spalle i cupi periodi dell’oppressione e della tirannia per approdare alla libertà ed alla democrazia: le magnifiche sorti e progressive, questi sono i miti su cui si fonda l’immaginario collettivo della nostra civiltà.
Il tutto coronato dal costante perfezionamento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, che permettono, o dovrebbero permettere, all’umanità di sconfiggere le fatiche e le sofferenze conosciute nei secoli passati. Emerge quindi una percezione lineare del tempo, concezione predominante nella nostra epoca, una visione nella quale gli eventi si susseguono in una linea retta, da un lontano passato non del tutto ancora noto fino ad un futuro che porterà in sé il ricordo e gli insegnamenti di tutti gli eventi che nel frattempo si saranno verificati.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, il futuro è un qualcosa che si costruisce sulle fondamenta del passato, come un palazzo destinato a crescere e ad essere perfezionato, mattone dopo mattone.
Ma se oggi la concezione del tempo lineare è predominante, così non sempre è stato nei secoli passati.
Gli uomini osservando il mondo intorno a loro vedevano che tutti gli eventi che regolavano il corso della vita si riproponevano in maniera ciclica. Il sole sorgeva, saliva alto in cielo e poi tramontava, e ripeteva il suo percorso il giorno seguente, e quello dopo ancora. Così la luna, che mentre percorreva la sua rotta circolare intorno alla terra sapeva anche da spenta divenire piena e lucente, per poi ancora pian piano spegnersi, e di nuovo crescere. La natura stessa seguiva dei ritmi circolari, i campi fiorivano, gli alberi diventavano verdi, e poi tutti i colori svanivano, per ricomparire puntualmente l’anno seguente. E gli astri nel cielo nel loro vagare tracciavano dei cerchi perfetti, nel breve e nel lungo periodo.
Gli uomini osservavano ciò che li circondava e capivano che ogni cosa nel creato segue un ritmo circolare, dal tragitto del sole alle stagioni. Il tempo venne di conseguenza rappresentato come una ruota, e la vita era scandita da eventi che si riproponevano regolarmente di anno in anno. Piccoli e grandi cicli, accomunati da un battito costante, un respiro che ne cadenzava il ritmo. Piccoli giorni e grandi giorni. Così passavano le stagioni e si riproponevano, passavano le vite degli uomini e venivano sostituite da altre vite, passavano i regni, gli imperi, e nuovi regni e nuovi imperi sorgevano, sempre simili e mai uguali ai loro predecessori.
L’età moderna ha reso invece predominante una nuova concezione, definendo il concetto di progresso. L’essere umano, e la società da esso creata, viene vista ora come un cammino verso un costante perfezionamento, verso organizzazioni sociali sempre più eque, verso conoscenze sempre maggiori atte a garantire il bene di tutti. Hegel fu uno dei maggiori profeti di questo nuovo sentire, e descrisse la storia stessa come un lungo percorso verso lo Spirito, il compimento ultimo. La forma stato verrà poi vista come l’ultima e definitiva conquista dell’organizzazione sociale, e di seguito la democrazia apparirà come la migliore forma di governo di cui gli esseri umani possano dotarsi. La concezione lineare della storia non può fare a meno dell’idea del progresso, del perenne miglioramento.
Accade così che un rallentamento, se non addirittura una inversione di marcia, mina alla radice questa convinzione, e crea nello spirito del tempo una sensazione di profondo smarrimento, ed una generale incertezza si diffonde. L’idea che il progredire sia giunto ad un punto morto, e la possibilità che il futuro possa riservare scenari non previsti, inizia ad insinuarsi nell’inconscio collettivo, ma è un pensiero che si tenta di esorcizzare. Parallelamente, il diffondersi di queste sensazioni porta molte persone a teorizzare una fine dei tempi prossima; vengono studiate ed analizzate antiche profezie, si cercano i segni rivelatori, si riscoprono conoscenze che parevano dimenticate. E’ un reciproco contagiarsi, ma alla base del tutto c’è la diffusa sensazione di un tempo che non potrà a lungo seguire un perenne progresso. E se questo appare sempre più evidente, le risposte che si tentano di dare rientrano ancora all’interno del paradigma moderno: il tempo è ancora visto come una linea retta, e se non può più proseguire, si spezza.
Occorrerebbe forse recuperare, per un istante, gli occhi dei tempi passati, e solo allora si potrebbe vedere la testa del serpente, nel punto in cui si morde la coda, proprio sotto di noi.
Chiunque tu sia
infedele,
idolatra o pagano,
vieni.
La nostra casa non è un luogo
di disperazione.
Anche se hai violato cento volte
un giuramento,
vieni lo stesso.
May the road rise
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
And rains fall soft
upon your fields.
And until we meet again,
May God hold you
in the hollow of His hand.
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