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rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
25 Marzo 2007

I 300 contro l' Occidente


E’ arrivato anche nelle sale italiane il film 300, che racconta ancora una volta la battaglia più epica che i testi di storia abbiano mai documentato.
Si narra del re di Sparta Leonida e dei 300 opliti che nel 480 a.C. si opposero all’esercito del persiano Serse, composto da centinaia di migliaia di uomini, rallentandone l’avanzata e permettendo all’esercito degli stati greci di organizzarsi.
Il film, diretto da Zack Snyder, si ispira ai fumetti di Frank Miller, autore di culto, e come nei fumetti la separazione tra buoni e cattivi nello svolgersi degli avvenimenti è netta.
Gli eroi sono belli e valorosi, i cattivi deformi, mostruosi, spietati.
C’è chi ha visto nel film una sorta di propaganda di guerra, una di quelle tipiche operazioni che i regimi compiono nel tentativo di disumanizzare il nemico in procinto di un attacco bellico.
In effetti in questo particolare momento storico, in cui gli Stati Uniti si apprestano a devastare l’Iran, ricordare l’epica resistenza dell’Occidente contro le orde orientali potrebbe essere funzionale allo scopo, ed è altrettanto nota la funzione di Hollywood quale forte strumento di propaganda ideologica.
Ma questa volta coloro che hanno avvallato tale operazione forse hanno fatto male i loro conti.
Sicuramente Leonida e i suoi sono un forte simbolo dell’Occidente, ma di un Occidente quale non esiste più da secoli.
Il nuovo Occidente da tempo non crede più nei valori che gli spartiati esaltavano, sacrificio, amor di patria, il rispetto di una legge superiore; l’Occidente di oggi è sostanzialmente “amorale”,nel suo “imperialismo” vuole inglobare a sé tutte le culture che si oppongono alla sua avanzata.
Nel film, l’Occidente odierno si incarna nelle orde barbare di Serse.
Lo stesso re dei persiani, alto e luccicante nel suo carozzone da gay pride, con il suo volto dilaniato da piercing si troverebbe molto più a suo agio tra le strade di Londra o di New York, piuttosto che a Teheran.

Il suo esercito è composto da schiavi e disperati, come i messicani che combattono sotto la bandiera a stelle a strisce in Iraq nella speranza di un futuro migliore, e il suo osservare da lontano ed al sicuro gli esiti degli scontri ricorda il comportamento dei guerrafondai da salotto che mandano i giovani americani al macello a mille miglia di distanza.
Leonida, il re che combatte in prima linea a fianco dei suoi soldati rischiando la vita per loro, non potrà mai essere accomunato a nessun sovrano odierno.
In un’ottica ancora più profonda, i 300 che si oppongono all’avanzata dei barbari, consapevoli dell’esito della battaglia, ricordano gli ultimi eletti descritti dai testi sacri che contrastano l’avanzata del Kali Yuga pur sapendo che la loro opposizione in un primo momento sarà vana, ma altrettanto consapevoli della necessità dello sforzo.
Una ultima, strenua opposizione alla decadenza dell’Occidente.

20 Marzo 2007

Demoni vecchi e nuovi

La scienza ufficiale indica che l’era del leone va dal 10900 all’8700 a.C. quando inizia l’era del Cancro; seguono i gemelli nel 6540 a.C., il Toro nel 4360 a.C., l’Ariete nel 2220 a.C. e i Pesci nel 65 a.C.


Una cerchia di ricercatori, tra cui spicca il professor De Santillana, ha espresso l’opinione che le varie ere zodiacali influenzino notevolmente la simbologia con la quale si esprime la religiosità dei popoli.
L’era del Toro, ovvero l’epoca in cui il sole pare sorgere nell’omonima costellazione, iniziò circa nel 5° millennio avanti Cristo e si concluse circa nel 3° millennio a.C.
Questo periodo è caratterizzato dalle divinità “taurine”.
Basti pensare alla civiltà minoica, che ancora teneva ricordo di questo periodo, oppure alle divinità mediorientali, baal, moloch.
La figura del toro inoltre è direttamente collegata con la mezzaluna, che riproduce nelle corna, e quindi al culto lunare-femminile-matriarcale.
Non a caso questo periodo è caratterizzato dal culto delle grandi madri, che con le divinità taurine erano in simbiosi.
Successivamente arriva l’età dell’Ariete.
L’ebraismo fu il protagonista in assoluto di questa era.
Infatti  nella simbologia religiosa diviene protagonista questo animale, e i suoi “parenti”.
Basti pensare al sacrifico di Abramo, alla figura del capro espiatorio, all’agnello.
Quando Mosè riceve le tavole della legge, il popolo in sua assenza si mette ad adorare, nuovamente, un vitello d’oro.
Simbolo del vecchio culto che ancora resiste, e che Mosè definitivamente rimuove.
Ma una volta che una nuova simbologia fa la sua comparsa, quella antica non scompare mai del tutto.
Piuttosto, assume connotati demoniaci.
Così le divinità taurine del passato divengono i demoni della nuova simbologia religiosa.
Moloch diviene un Dio malvagio ed assetato di sangue, Baal diviene baalzebub, signore dello sterco.

Nel frattempo in Grecia, caduta la civiltà minoica, ci si trova nell’epoca della religiosità Dionisiaca, la religiosità del popolo.
E Dioniso è raffigurato spesso con la testa di capro, le baccanti adorano e si nutrono del capro sacro, il dio pan ha zampe caprine.
E’ l’epoca dell’Ariete.
Ed anche questa epoca cede il passo a quella successiva, l’era dei pesci, la nostra, che inizia pochi anni prima di Cristo, e sta per concludersi.
Il pesce è il simbolo di Cristo e dei primi cristiani, l’ultimo agnello viene sacrificato nel tempio di Gerusalemme che poi verrà distrutto da Tito.
L’era dell’ariete finisce, ed ancora una volta, la vecchia simbologia non scompare del tutto, ma diviene demoniaca.
Così per il cristianesimo satana ha testa di caprone, esattamente come per gli ebrei baalzebub aveva forme taurine.
Il processo è identico.
Il processo di demonizzazione della vecchia religiosità non è solamente simbolico, e non è nemmeno da considerarsi come un trucco dei nuovi sacerdoti per screditare i loro predecessori.
Ogni rappresentazione attraversa una fase vitale, nasce, cresce, muore.
Una volta morta, attira su di sé le influenze malefiche della “decomposizione” di una era.
Il linguaggio è allegorico, ma visto il carattere del tema non ne esiste uno migliore.
Chi persiste negli antichi culti, alimenta i “cadaveri psichici”, non a caso i movimenti satanisti si rifanno alle simbologie “defunte” del passato, dagli adoratori di moloch, che dimostrano quindi una conoscenza esoterica notevole, a quelli del “caprone”, i più noti satanisti occidentali.

18 Marzo 2007

Tavola di Smeraldo

TAVOLA DI SMERALDO
di Ermete Trismegisto

È vero senza menzogna, certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso
per fare i miracoli della cosa una.
E poiché tutte le cose sono e provengono da una,
per la mediazione di una,
così tutte le cose sono nate da questa cosa unica
mediante adattamento.
Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre,
il Vento l’ha portata nel suo grembo,
la Terra è la sua nutrice.
Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui.
La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra.
Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso
dolcemente e con grande industria.
Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra
e riceve la forza delle cose superiori e inferiori.
Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo
e per mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te.
È la forza forte di ogni forza:
perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida.
Così è stato creato il mondo.
Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti,
il cui metodo è qui.
È perciò che sono stato chiamato Ermete Trimegisto,
avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo.
Ciò che ho detto dell’operazione del Sole è compiuto e terminato.

 

TAVOLA DI RUBINO
di Ermete Trismegisto

Non è certo né verissimo quanto la mente della creatura concepisca
Incomprensibile vero è il Creatore
Ciò che è in alto non è come ciò che è in basso
All’alto la magnificenza dell’Unità; al basso la miseria della molteplicità che sembra tutto ed è nulla
E poiché tutte le cose partecipano della molteplicità esse tanto meno sono Verità, Vita, Bene, quanto più si distanziano dall’Uno
Ecco il numero, il molteplice, l’involucro, il cadavere dell’Uno: sua madre è il desiderio della terra, sua madre è l’ignoranza
Il Sole dissolse la carogna ed il vento disperse il fetore del frutto dei due
Questo desiderio ha creato gli eroi, i demoni e gli dei; questa ignoranza si è riversata su tutto il possibile, confondendo ogni traduzione ed il Tre
Ed ha regnato il male, nel sangue, fuori dalla Rosa, nell’abominio del Quattro
Unirai l’Uno con il Due, l’Uno con i molti, il soffio con il Sé, delicatamente, con grande cura, fino al Nove, saltando il Cinque
Perché discende dal Cielo alla Terra e risale in Cielo disperdendo le Forze inferiori nella Forza superiore indefinibile, che si compie nel Sei
Allora, figlio del desiderio, sarai come gli dei, i demoni e gli eroi, padrone dell’oscurità e della luce dei Sette
In ciò consiste la sapienza, sapiente di ogni sapienza; e sarai tanto grande da essere indefinito ed indefinibile
Vincerà chi pesa di più sulla bilancia dell’Otto
Così il mondo inventò i suoi ideali
Si può adattare questo Arcano a qualunque cosa: serpeggiando vibra come corda di cetra e si fa numero caduco
Anche ogni causa seconda
Pertanto io fui chiamato annunciatore di Thot, più schiavo della causa della ragione, che amico della ragione stessa
Quanto detto delle umili operazioni di Urano e di Saturno serva di guida ai desiderosi: Osiride è un Dio Nero

12 Marzo 2007

Il Sacro Cuore


Uno dei simboli maggiormente carichi di potere evocativo della religione cristiana è quello del Sacro Cuore di Gesù, un simbolo che rende visibile una tradizione antica.
La devozione al Sacro Cuore risale al Medioevo, e la sua rappresentazione attuale si deve ad una visione della mistica Margherita Maria Alacoque, che nel 1673 vide Gesù con il cuore avvolto da spine, in fiamme, sormontato da una croce.
L’idea che tale simbolo richiama è quella del centro, un centro  personale, in questo simile alla concezione della tradizione orientale del sé, e un centro dal respiro più ampio, direttamente collegato all’immagine del Paradiso Perduto, il luogo in cui gli uomini erano in diretto contatto con la divinità.
Il Sacro Cuore con le sue spine e le sue fiamme raffigura il dolore per la perdita di quel centro, ed invita alla sua ricerca, una ricerca che avrà luogo sia dentro l’uomo che fuori, nel mondo in cui si trova a vivere.
La Croce che sovrasta il Cuore indica la direzione da seguire, dal basso in alto, e l’incrocio degli assi altro non è se non il luogo in cui il Sacro Cuore dimora.
Vi è un punto infatti in cui l’anima e il corpo di ogni uomo sono in diretto contatto con lo Spirito che li ha generati.
L’uomo contemplativo con la preghiera e la meditazione scende alla ricerca di quel punto, da cui, una volta trovato, potrà iniziare la risalita verso il luogo d’origine.
Questa è propriamente la ricerca del centro, il luogo dove dimora il Sacro Cuore, il sé più profondo.
In una ottica più vasta, altrettanto valida secondo la legge della analogia, il Sacro Cuore di Gesù raffigura il centro spirituale che l’umanità ha smarrito.
Per questo motivo, come ben spiega René Guénon in Simboli della Scienza Sacra, il Sacro Cuore è assimilabile al Graal, anche esso collegato all’idea di centro smarrito:

Effettivamente, il Santo Graal è la coppa che contiene il prezioso sangue di Cristo, e lo contiene addirittura due volte, poiché essa servì dapprima alla Cena, e in seguito Giuseppe d’Arimatea vi raccolse il sangue e l’acqua che sgorgavano dalla ferita aperta dalla lancia del centurione nel fianco del Redentore. Questa coppa si sostituisce dunque in qualche modo al Cuore di Cristo come ricettacolo del suo sangue, ne prende per così dire il posto e ne diviene come un equivalente simbolico; e non è ancor più notevole, in queste condizioni, che il vaso sia già stato anticamente un emblema del cuore? […]
È detto poi che il Graal fu affidato ad Adamo nel Paradiso terrestre, ma che, alla sua caduta, Adamo lo perse a sua volta, dal momento che non poté portarlo con sé quando fu cacciato dall’Eden; e anche questo diventa assai chiaro con il senso che abbiamo appena indicato. L’uomo, allontanato dal suo centro originale dalla propria colpa, si trovava ormai rinchiuso nella sfera temporale; non poteva più raggiungere il punto unico da cui tutte le cose sono contemplate sotto l’aspetto dell’eternità. Il Paradiso terrestre, infatti, era veramente il «Centro del Mondo», dovunque assimilato simbolicamente al Cuore divino; e non si può dire che Adamo, finché fu nell’Eden, viveva realmente nel Cuore di Dio?

3 Marzo 2007

La casa di Asterione

Uno splendido racconto di J.L. Borges.

So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia.
Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole.
E vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali.
Entri chi vuole.
Non troverà qui lussi donneschi ne’ la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine.
E troverà una casa come non ce n’è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n’è una simile.)
Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c’è un solo mobile.
Un’altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero.
Dovrò ripetere che non c’è una porta chiusa, e aggiungere che non c’è una sola serratura? D’altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m’infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d’un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto.
La gente pregava, fuggiva, si prosternava; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre.
Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare.
Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.
La verità è che sono unico.
Non m’interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l’arte della scrittura.
Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall’altra.
Un’impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere.
A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi.
Certo, non mi mancano distrazioni.
Come il montone che s’avventa, corro pei corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine.
Mi acquatto all’ombra di una cisterna e all’angolo d’un corridoio e gioco a rimpiattino.
Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato.
In qualunque momento posso giocare a fare l’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte m’addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato).
Ma, fra tanti giochi, preferisco quello di un altro Asterione.
Immagino ch’egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa.
Con grandi inchini, gli dico: “Adesso torniamo all’angolo di prima,” o: “Adesso sbocchiamo in un altro cortile,” o: “Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell’acqua,” oppure: “Ora ti faccio vedere una cisterna che s’è riempita di sabbia,” o anche: “Vedrai come si biforca la cantina.”
A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.
Ma non ho soltanto immaginato giochi; ho anche meditato sulla casa.
Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa e un altro luogo.
Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne.
La casa è grande come il mondo.
Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare.
Non compresi, finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti.
Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione.
Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.
Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male.
Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi.
La cerimonia dura pochi minuti.
Cadono uno dopo l’altro; senza che io mi macchi le mani di sangue.
Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri.
Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore.
Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere.
Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi.
Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte!
Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?
Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
“Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso.”

Il racconto è tratto dall'”Aleph” di J. L. Borges, Ed. Feltrinelli.