Benvenuti.
Qui si parla di miti, simboli,
storia e metastoria,
mondi vecchi e mondi nuovi,
e di cospirazioni
che attraversano i secoli.
Qui si scruta l'abisso,
e non si abbandona mai
la fiaccola.
“Pensiamo che è opportuno, importante educarsi al valore della libertà, al valore della democrazia. Quindi andiamo a rivisitare queste scuole, queste scuole disastrate dove l’educazione civica non si insegna, dove in fondo si pensa che educare un essere umano a diventare cittadino sia un perdita di tempo… meglio l’ora di religione. Ma io dico che c’è un’ altra religione! C’è la religione civile! La religione degli italiani! La religione dei cittadini!”
Avv. Gustavo Raffi, Ven.mo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia
Leviatano: La traslitterazione di una parola ebraica, di incerto significato. In Sal 104:26 è chiaramente un (grande) animale del mare. È usata in senso metaforico di nazioni o re potenti in Sal 74:14 (Egitto), Is 27:1 (Assiria e Babilonia) e Ez 29:3-5 (Egitto).
Il Leviatano è il nome di un terribile mostro marino citato nella Bibbia.
Il filosofo Thomas Hobbes userà questo nome per dare il titolo a un celebre trattato (Londra 1651) di filosofia politica, in cui viene giustificato lo Stato assoluto. Il potere dello Stato è infatti paragonato alla forza del terribile mostro descritto da Giobbe, ed è necessario per mantenere la pace e la convivenza tra gli uomini.
I dont have to sell my soul He’s already in me I dont need to sell my soul He’s already in me I wanna be adored I wanna be adored Adored…
…più recentemente un filosofo laico, ma di grande profondità, come Arnold Gehlen, ha affermato:
«Che l’uomo si concepisca come creatura di Dio oppure come scimmia arrivata implica una netta differenza nel suo atteggiamento verso i fatti della realtà; nei due casi si obbedirà a imperativi in sé diversissimi».
Quindi la “separazione” (si tratta della separazione tra scienza e fede, n.d.S.) è del tutto inconsistente in quanto ci sono, almeno in potenza, una serie di conseguenze logiche che rendono “impossibile” nella stessa persona la coesistenza pacifica della dimensione del Sacro e di quella della Scienza moderna, almeno di quella “ufficiale” o “normale” nel senso inteso da Thomas Kuhn.
Ogni illusione di farle convivere in questo modo è quindi assurda e irrealistica.Sermonti supera tale impostazione quando percepisce con nettezza che la scienza moderna nei suoi aspetti convenzionali non sa dire nulla circa il destino, l’ordine, il significato della natura.
«Cosa è successo con l’inizio della scienza moderna?», si chiede, e la sua risposta è la seguente:
«la scienza ha rinunciato alla ricerca dell’armonia e, con passione che certamente nasconde un sottile demonismo, si è lanciata alla ricerca del caos, alla adorazione del disordine e del nulla primigenio».
E ancora, sotto un altro punto di vista, si può asserire che «tutto l’impegno contenuto nella fondazione della Tecnica e della Scienza contemporanea è consistito nel privare le opere umane di ogni significato, cioè di deritualizzarle.
Il significato è un’esigenza che limita l’efficienza, obbligando l’operatore a una quantità di adempimenti formali che lo distraggono da perseguire direttamente e alla spiccia il punto di arrivo.
I grandi progressi realizzati dalla tecnica sono stati semplicemente il risultato dell’abolizione dalle operazioni umane di ogni sacralità: ciò ha reso, come per incanto, le pratiche umane meravigliosamente efficienti, ha consentito di porre ogni cosa in commercio, di sviluppare da ogni operazione un’industria.
A un solo prezzo, appunto: che tutto rinunciasse al suo significato.
Ma la natura resiste alla sconsacrazione» e, nonostante il disincanto in cui Tecnica e Scienza hanno preteso di sprofondare il mondo, la sacralità riemerge nelle cose, in modo diretto ed elementare.
[…]
Sermonti critica in modo sistematico lo scientismo, da lui definito una “ideologia politica” in cui si trasforma la scienza nel momento in cui vuole rifondare l’uomo e il suo destino biologico.
Il buffo è che tutta questa arroganza risulta assai poco motivata, dato che, come egli rileva, la scienza non ha poi tanti successi di cui essere fiera, dato che specie la biologia e la medicina hanno conseguito notevoli risultati solo vampirizzando sistematicamente le conoscenze empiriche, popolari, del passato, spesso residui di una sapienza religiosa, e diffondendole in modo sistematico e razionalizzato, come se fossero state conquiste proprie, o impossessandosi del merito di fenomeni positivi (quali la diminuzione di gravi malattie contagiose), quando invece l’azione svolta dalla medicina aveva avuto una influenza assai modesta sui fatti.
A titolo di esempio riportiamo alcuni episodi significativi.
Il mondo contadino sapeva da tempo che il contrarre il vaiolo dalle mucche, come avveniva ai mungitori, ammalandosi in forma lieve, preservava dal vaiolo umano.
Questa conoscenza popolare, trasmessa a un medico di campagna del XVIII secolo, permise di mettere a punto in Inghilterra le prime forme rudimentali, empiriche, di vaccinazione antivaiolo, anche se mancavano ancora del tutto le conoscenze immunologiche tali da far comprendere il meccanismo d’azione di questa misura di profilassi.
Il chinino, usato a lungo e con efficacia per guarire dalla malaria, solo nel secolo scorso fu identificato come principio attivo ed estratto dalla corteccia di una pianta, la Cinchona.
Già dal XVII secolo il suo uso terapeutico, sotto forma di polvere di corteccia di china, era stato introdotto in Europa dall’America del sud, dove da tempo era impiegato dalla medicina tradizionale degli Indios per la cura delle febbri malariche.
Una intera famiglia di composti, (tra i tanti che si possono citare ancora), le cumarine, da cui sono derivati molti farmaci differenziati per attività come vasodilatatori, antibiotici, antinfiammatori, ecc., era nota da millenni nella medicina tradizionale di vari popoli (ad esempio, gli Egizi).
Può essere interessante aggiungere che alcune multinazionali farmaceutiche da decenni stanno analizzando i vari rimedi terapeutici delle popolazioni extraeuropee per identificare nuovi principi attivi, da spacciare poi come frutto della sola ricerca scientifica di laboratorio.
La storia dell’aspirina è altrettanto istruttiva: fu per merito di un sacerdote inglese del XVIII secolo se si cominciò a usare, con un certo successo, la polvere della corteccia di salice per curare le febbri.
La sua scoperta non derivò da alcun procedimento “scientifico”, ma fu il risultato, riconosciuto dallo stesso autore, della applicazione di un antica credenza tradizionale secondo la quale gli ambienti che provocano certe malattie forniscono anche i rimedi naturali per combatterle. Nel caso specifico il riferimento riguarda i luoghi umidi, dove è facile contrarre alcune malattie, ma che al contempo sono favorevoli per la crescita dei salici.
Solo successivamente si identificò il principio attivo, l’acido salicilico, la cui attività venne migliorata in un secondo tempo ottenendo un derivato di sintesi, l’acido acetilsalicilico, contenuto nella ben nota aspirina.
Il “mondo delle apparenze” è il solo mondo reale: il “mondo verità” è solamente aggiunto dalla menzogna. Friedrich Nietzsche
La modernità ha sancito la fine di ogni certezza, o almeno così pretende.
Ed in verità si tratta di un processo assai lungo, che per quanto riguarda il nostro occidente origina nelle disquisizioni dei filosofi della Grecia classica, i primi, quale audacia, che misero in dubbio l’esistenza del mondo Reale, quel mondo che non si poteva vedere, ma solo percepire.
Qualcuno disse all’epoca che non vi è nulla oltre ciò che appare, ma pochi gli credettero.
Ci sono voluti più di duemila anni affinché quella “intuizione” diventasse pensiero comune.
Un processo lungo, che pochi nei secoli seppero cogliere, di cui pochi intuirono le possibili conseguenze.
Nietzsche fu tra quei pochi, con lucidità comprese il vento che avrebbe attraversato “l’occidente”, e volle essere il primo, con la sua filosofia del martello, a fare piazza pulita dei vecchi idoli.
I vecchi idoli, le vecchie certezze, il sapere “dogmatico”, indimostrabile, stava per divenire un ricordo del passato.
Il “mondo – verità” – un’idea che non serve più a niente, un’ idea divenuta inutile e superflua, per conseguenza un’ idea confutata: sopprimiamola! (Giornata chiara; prima colazione; ritorno del buon senso e della gaiezza; Platone arrossisce di vergogna e tutti gli spiriti liberi fanno un fracasso del diavolo.)
Un fracasso del diavolo.
Ma una modernità che sopprime la metafisica, il mondo superiore, senza sapere con cosa colmare quel vuoto, è una modernità allo sbando.
Nietzsche stesso se ne rese conto, e la domanda che fa capolino, quasi discreta, nel suo “Al di là del bene e del male” preannuncia il punto di arrivo di questa nuova umanità ebbra di gaiezza, che danza sui resti degli idoli che ha abbattuto in un impeto di esaltante eccitazione:
“Perché il bene deve essere preferibile al male?”
Già. Perché?
Nietzsche si pose la domanda che pochi tra i contemporanei distruttori di idoli osano formulare.
Eppure, questo dubbio è il naturale approdo di tutti coloro che rinunciano ad ogni certezza, la naturale meta della modernità stessa.
Dal momento che non vi è nulla di certo, che tutto è avvolto nel dubbio, dal momento che le certezze sono proprie dei poveri di spirito, preso atto di questo, per quale motivo occorre preferire il bene al male?
L’uomo dogmatico avrebbe risposto “Perché il bene è ciò a cui un uomo dovrebbe tendere. E’ così e basta.”
Ma la modernità ha ribrezzo ed orrore del dogma, della verità indimostrabile.
Il dogma, la certezza colta per intuizione.
Che non può essere messa in discussione.
Orrore per ogni libero pensatore.
Ma anche il libero pensatore ha i suoi limiti, altrimenti si chiederebbe, nel suo piccolo, “ma perché perseguire il bene?”.
Per quanto mi riguarda, non ho timori nell’affermare che sono dogmatico, che detengo delle certezze.
Il bene è superiore al male, e al bene occorre tendere.
Perché?
Perché è giusto così.
E basta.
E questa è una certezza.
Il culto del dubbio condurrà al baratro questa modernità, perché una umanità che si interroga su tutto, anche sul motivo per cui dovrebbe preferire il bene al male, è una umanità che ad un certo punto potrebbe scegliere la via del male.
Anzi, per una volta, senza “potrebbe”.
La canadese Red Pill Press ha recentemente pubblicato il libro dello psicologo Andrew M. Lobaczewski, intitolato Political Ponerology [Ponerologia politica, ndT] nel quale l’autore spiega sulla base di proprie osservazioni come durante i suoi anni di lavoro clinico in Polonia abbia notato un’alta correlazione fra gli atti che molta gente etichetterebbe come “cattivi” e varie patologie.
La classificazione diagnostica più adatta per questi individui nel moderno gergo psicologico sarebbe sociopatico, la cui più importante caratteristica è l’apparente assenza di una coscienza o empatia in relazione agli altri esseri viventi.Lobaczewski e alcuni dei suoi colleghi est-europei che lavoravano sotto l’impero sovietico decisero di intraprendere questo studio ad un livello più alto e investigarono il ruolo che la sociopatia giocava nel governo, negli affari e in altri gruppi sociali.
La Ponerologia politica (dalla parola greca poneros, male) è una scienza sulla natura del male adattato per scopi politici che all’estremo di una più vasta scala risulta in una patocrazia.
La ricerca indica che i sociopatici si trovano in tutte le razze, etnie e religioni e che nessun gruppo è immune ad essi.
I sociopatici costituiscono, secondo l’autore, circa il 6% della popolazione in qualsiasi gruppo. L’editore di Red Pill afferma che “Political Ponerology è un libro che offre un orribile sguardo dentro la struttura sottostante ai nostri governi, le nostre corporazioni più grandi, e anche il nostro sistema giudiziario”.
Dopo aver letto questo libro, una gran quantità di domande assillanti sulle linee di condotta e le pratiche dei funzionari governativi e aziendali hanno cominciato a trovare una spontanea risposta dato che le analisi di Lobaczewski vanno al cuore del perché il governo degli Stati Uniti sia divenuto un’impresa criminale che fa di tutto per dominare il mondo e per annichilire grandi quantità di esseri umani sia all’interno che nel mondo. [….]
Innanzitutto Lobaczewski fa notare che le società sono più vulnerabili al male nei tempi buoni. “Nei tempi migliori”, scrive, “la gente perde di vista il bisogno di una profonda riflessione, di introspezione, di conoscenza degli altri, e di una comprensione delle complicate leggi della vita”. […]
“Durante i tempi buoni, la ricerca della verità diventa scomoda perché rivela fatti sconvenienti”.
D’altra parte, afferma, “La sofferenza, lo sforzo e l’attività mentale durante i periodi di amarezza imminente portano ad una progressiva, generalmente elevata, rigenerazione dei valori perduti, che risulta nel progresso umano”.
Al contrario, “Il ciclo di tempi felici e pacifici favorisce un assottigliamento della visione del mondo e un incremento dell’egocentrismo…”.
[…]
È esattamente in quei tempi di ego-delirio che le nazioni si sottopongono sorde, mute e cieche a sociopatici senza coscienza che le seducono in pratiche e politiche letali per esse stesse e per il resto del mondo.
La mancanza di riflessione produce per definizione esseri umani privi di discernimento.
[…]egli sottolinea che i cosiddetti individui “normali” non possono comprendere la mente o il comportamento del sociopatico e sono quindi particolarmente vulnerabili ad esso – da qui il motivo principale per scrivere un libro sulla Ponerologia, esattamente per informare i non-sociopatici sulla patologia. L’autore usa il termine “spellbinders” [incantatori, ndt] per descrivere gli incantatori di serpenti psicologici che sembrano saggi, illuminati pensatori/politici, anche attivisti che si presentano come i possessori di conoscenze basate su ricerche svolte unicamente da loro o su informazioni ottenute attraverso canali straordinari ai quali nessun altro ha accesso. […]
Tuttavia l’autore avverte il lettore che i nostri stessi processi inconsci possono portarci a bloccare le “bandiere rosse” che potrebbero saltar fuori quando si ha a che fare con dei sociopatici.
“I processi psicologici inconsci superano il ragionamento cosciente, sia nel tempo che nell’interesse, il che rende possibili molti fenomeni psicologici”.
Così il rifiuto che proibisce ad alcuni individui di vedere le verità più oscure in ciò che un sociopatico cerca di promuovere, ad es. “Il nostro governo non ci farebbe mai del male; il nostro governo ha nel cuore i nostri migliori interessi; nessun presidente potrebbe sfuggire a questo; il principio della legge è ancora al lavoro in America; il fascismo non potrebbe attecchire qui; il governo degli Stati Uniti non può avere orchestrato gli attacchi dell’11/9; se l’11/9 fosse stato orchestrato dal governo degli Stati Uniti, troppa gente dovrebbe essere coinvolta per mantenere ciò segreto”, e così via all’infinito.
[…]
L’autore afferma che “una rete sempre più forte di psicopatici e individui correlati inizia gradualmente a dominare, oscurando gli altri”.
La situazione degenera rapidamente in una patocrazia, o un sistema dove una piccola minoranza patologica prende il controllo di una società di gente normale.
L’editore del libro, Laura Knight-Jadczyk, nelle sue note a piè di pagina non esita a indicare Karl Rove, Disk Cheney e Donald Rumsfeld, sotto l’insegnamento di Leo Strauss, come i principali attori nella patocrazia americana del ventunesimo secolo.
Tragicamente, secondo l’autore, “La patocrazia progressivamente paralizza ogni cosa (e) … progressivamente si intromette ovunque, soffocando tutto”.
[…]
Political Ponerology è un lavoro di inestimabile valore che ogni essere umano proteso alla coscienza dovrebbe leggere, non soltanto per la sua esposizione della patologia degli individui che attualmente comandano il governo degli Stati Uniti, ma anche per la luce che potrebbe fare sugli individui a noi più vicini, alcuni dei quali potrebbero essere amici, compagni attivisti, leader civici o negli affari.
Lo scopo del libro non è incitare alla paranoia, ma coltivare il discernimento e rafforzare la nostra fiducia nella nostra innata intuizione allo scopo di navigare tra le deprimenti manifestazioni del male che ci circondano nel ventunesimo secolo.
Uno dei fattori che maggiormente sono in grado di influenzare il nostro modo di essere – spesso senza che ce ne rendiamo conto – è l’ambiente in cui ci troviamo a vivere, a cominciare proprio dalla nostra casa.
Le abitazioni degli uomini si sono evolute nel tempo, spesso rispecchiavano il carattere di una società, altre volte questo carattere erano in grado di condizionarlo.
Nei paesi del mediterraneo, in particolar modo, per secoli la vita delle persone si svolgeva quasi nella sua totalità all’aria aperta; gli uomini rientravano a casa solo per il sonno notturno, mentre le donne, quando non lavoravano nei campi portavano avanti le loro attività in comune.
Se c’era una cosa di cui l’uomo del mediterraneo non soffriva era la solitudine, la vita comunitaria era la regola.
E le città prendevano forma di conseguenza: gli edifici si affacciavano direttamente sulla strada, ai piani bassi si aprivano i negozi e le botteghe degli artigiani, mentre le abitazioni si sviluppavano intorno a delle corti dove diverse famiglie svolgevano le loro attività quotidiane.
Questa forma di città la ritroviamo ancora oggi, sono i nostri centri storici, e sono il motivo che attira in Italia ogni anno milioni di turisti e lo stimolo che spinge la Domenica le famiglie e i fidanzati ad uscire e fare quattro passi nel centro. Senza dubbio i centri storici risultano accoglienti, testimonianza di un modo di vivere che appartiene al passato.
Ma le nuove esigenze della società ci hanno portato a definire anche delle nuove tipologie abitative.
Per dare alloggio ad un grande numero di lavoratori che giungevano nelle città si sono cercate delle soluzioni diverse, una ricerca che sembrava culminare con i grandi palazzoni pensati dal movimento razionalista, edifici che volevano assicurare uno standard di vita dignitoso ad un gran numero di persone.
Sono quei palazzi che si sono costruiti a partire dagli anni venti fino agli anni settanta, abitazioni che nello stabilire delle regole minime per la sopravvivenza dignitosa di una famiglia a volte rischiavano di limitare l’essere umano ad una macchina con determinate esigenze, soddisfatte le quali il suo “funzionamento” era garantito.
Le nostre periferie sono state edificate seguendo questi criteri, ed anche se il concetto di “bello” e di “brutto” sono da evitare nel giudicare l’architettura, solitamente le persone preferiscono farsi la loro camminata nel centro, tra la città medioevale piuttosto che nella moderna periferia.
Col miglioramento delle condizioni economiche ha fatto la sua comparsa in Europa una nuova tipologia, la campionessa dell’edilizia attuale: la villetta.
Il pensiero che sta alla base della villetta è semplice: un nuovo tipo di abitare, un voler emulare le condizioni di vita che in altri tempi erano esclusivo appannaggio del “signore”, una ricerca della privacy, un’isola felice dove la famiglia si separa dal mondo circostante.
La villetta si allontana dalla strada, crea una zona franca, il giardinetto, che permette al proprietario di muoversi tra le mura domestiche con una maggiore intimità, e si isola anche la famiglia dall’antica vita comunitaria.
Il regime nazista fu uno dei principali sostenitori di questa nuova tipologia.
Hitler la vedeva con favore perché temeva la vita in comune del suo popolo: la gente quando si incontra parla, le idee circolano, e con esse le critiche al governo.
Nella villetta invece il cittadino ritrova la sua tranquillità, e il giardino da curare riesce a tenerlo occupato nel suo tempo libero, così che anche le sue uscite si riducono col tempo, e con esse le possibilità che venga a contatto con portatori di idee pericolose.
Oggi, in particolar modo nei centri minori, la villetta rimane il sogno di ogni famiglia mediamente benestante; attorno ai centri storici di ogni paese si sviluppano gli anelli di queste nuove costruzioni, e con esse muta anche il senso del nostro vivere.
Nei quartieri delle villette non si cammina: sono studiati per l’automobile.
In america la villetta rappresenta la middle class, ha avuto una grande fortuna ed è entrata nel nostro immaginario anche grazie ai programmi televisivi che ci arrivano da oltreoceano; basta pensare alla casa di Homer Simpson, alla casa dei Keaton, alla tipica casa di ogni famiglia media le cui avventure vediamo ogni giorno nei telefilm spensierati all’ora di pranzo.
Negli States in molti dei quartieri composti da villette per potere fare quattro passi è necessario munirsi di un cane o di una tuta da jogging: si rischia altrimenti di essere fermati dalla polizia che chiederà informazioni sul motivo per cui ci si trova a piedi lungo quella strada; e in effetti, non esiste nessun motivo per camminare in quelle vie, se non per portare fuori l’animale domestico, farsi una corsa o studiare la disposizione delle case per progettare un furto.
E lo sviluppo incontenibile che noi vediamo nelle nostre cittadine potrebbe portare anche noi proprio a questo: la morte del nostro millenario modo di vivere e il trionfo dell’uomo nuovo che esce di casa solo con l’automobile, alla perenne ricerca di un’isola felice piena della tecnologia che possa riempire il suo tempo e infastidito dai sempre più rari contatti con i suoi vicini, definitivamente trasformatisi da persone con cui divideva le sofferenze di una vita dura a dei curiosi ficcanaso.
Chiunque tu sia
infedele,
idolatra o pagano,
vieni.
La nostra casa non è un luogo
di disperazione.
Anche se hai violato cento volte
un giuramento,
vieni lo stesso.
May the road rise
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
And rains fall soft
upon your fields.
And until we meet again,
May God hold you
in the hollow of His hand.
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