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-o- Too late to die young -o-
26 Gennaio 2021

L'illusione del Diritto

“Lunghi periodi di pace favoriscono l’insorgere di alcune illusioni ottiche.
Tra queste che l’inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante.
In realtà l’inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla soglia di casa brandendo la scure”

Ernst Jünger

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Se c’è una questione che il periodo che stiamo vivendo ha reso evidente è la totale inconsistenza delle varie “costituzioni”, del vasto corpo della trattazione dei diritti su cui ci illudiamo che le nostre esistenze siano fondate, all’interno della cosiddetta “società civile”.
Queste carte sono da sempre osannate negli “stati di diritto”, trattate come feticci sacri, come fossero tavole della legge inviolabili su cui il vivere civile si fonda.
E nei tempi di pace, come osserva Junger, si crea realmente l’illusione che nulla possa scalfire quei testi “divini”, vergati dai padri fondatori, inviolabili, immodificabili.

Ma nei periodi di crisi, e il potere ha vasta scelta per decretare cosa possa realmente rappresentare una “emergenza”, quei testi sacri si rivelano per quello che sono: parole idealizzate messe a disposizione della popolazione per dare una illusione di civiltà fondata su delle “regole”.

Basta davvero poco, come infine abbiamo potuto scoprire, affinché le varie “libertà” (di spostamento, di aggregazione, di portare avanti una attività lavorativa) vengano soppresse, in spregio a quelle stesse regole sacre.
Basta che un governo decida che quelle regole non valgono più, e da un giorno all’altro scompaiono come un sogno al suono della sveglia mattutina.

Quali siano le “libertà” di cui un suddito può godere non lo decidono infatti delle parole scritte, ma più prosaicamente lo stabiliscono coloro che hanno il potere della coercizione.

Lo decide chi può schierare 70.000 uomini delle “forze dell’ordine” nelle strade, ed ha alle spalle centinaia di migliaia di funzionari in grado di far valere le pesanti ripercussioni ai danni di coloro che non si conformano.
Ed a quel punto invocare le varie “libertà” garantite su dei fogli di carta diviene patetico.

Altre civiltà nel passato non nascondevano la realtà dei fatti, ovvero che l’intervallo delle libertà dei singoli consisteva in una finestra decisa da chi deteneva il potere, e poteva imporsi grazie all’uso della forza e della coercizione.
La differenza dei nostri sistemi sociali consiste nell’ipocrisia, in quella dissonanza cognitiva secondo la quale le nostre libertà sono “garantite” da dei fogli di carta.
Ma basta davvero poco, una “situazione di emergenza” proclamata, e tutta l’illusione crolla come un castello di sabbia nel mezzo di un uragano tropicale.

21 Gennaio 2021

L'anomalo impatto del Covid-19 a livello nazionale


Per analizzare e comprendere l’effettivo impatto di una “pandemia” il primo metodo a nostra disposizione è quello di verificare l’incremento percentuale della mortalità generale della popolazione nel periodo di diffusione del morbo, rapportato alla media degli anni precedenti.
Il numero giornaliero dei positivi riscontrato mediante l’esito dei test del tampone non fornisce un dato valido, dal momento che la quasi totalità delle persone che vengono definite “infette” non presenta alcun sintomo, e risulta quindi una forzatura evidente il volerli ascrivere nella conta dei “malati”.
Così come il numero quotidiano dei morti annunciato dai mezzi di comunicazione è utile fino ad un certo punto, poichè nella conta dei deceduti a causa del Covid 19 sono comprese anche le persone morte per le più diverse patologie, e che in un momento della loro degenza in ospedale sono risultate positive al test del tampone, senza che questo possa fornire alcuna indicazione sulla effettiva incidenza del virus nello sviluppo delle patologie dei pazienti, e su quanto abbia effettivamente influito sui decessi degli stessi.

Una ricerca un po’ più approfondita del reale impatto della epidemia è possibile quindi analizzando i dati dei decessi avvenuti nel periodo di maggior virulenza del morbo, e rapportando tali dati con i numeri riferiti allo stesso periodo degli anni precedenti.

Nel blog mittdolcino.com è stata effettuata una analisi di tali dati, lettura estrememente interessante alla quale rimando; sono stati presi in esame i dati istat riferiti al numero dei decessi nel periodo cha va da Gennaio ad Ottobre del 2020 rapportati alla media dei decessi ferificatisi dal 2015 al 2019, nello stesso periodo temporale (Gennaio-Ottobre)

_________________

I numeri del Covid

la vera e propria pandemia con un significativo aumento dei decessi [inizia] nei mesi di marzo e aprile come vediamo dalle tabelle sottostanti.

 Media 2015/2019 Marzo 2020 %Incremento
   49.489 60.614 22,48%
Aprile 2020
 Media 2015/2019 2020 %Incremento
   43.899 55.324 26,03%

Questi dati sono o meglio sembrano allarmanti, ma se osserviamo i dati stessi in un periodo più lungo (al 31/10/2020), notiamo che l’incremento è di grandezza completamente diversa.

01/2020 10/2020
 Media 2015/2019 2020 %Incremento
   536.025 588.331 9,76%

A prima vista l’incremento sembra grande, ma se lo confrontiamo con gli incrementi di anni precedenti notiamo che tra il 2014 e il 2015 si è verificato un aumento dell’8,67% e tra il 2016 e il 2017 l’aumento di mortalità è stato del 6,70% come vedete dalle tabelle successive.

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Vengono quindi nell’articolo riportati i dati riferiti alla mortalità complessiva nel paese e nelle singole province, rapportati agli anni precedenti, secondo i resoconti forniti dall’ISTAT, calcolando gli incrementi percentuali di mortalità che hanno avuto luogo.
Quello che emerge è una totale disparità tra le varie zone della penisola: laddove la Lombardia presenta un incremento superiore del 30%,, la quasi totalità delle regioni del centro Sud non ha sperimentato alcuna variazione significativa.
La provincia di Bergamo, un vero e proprio caso a parte, ha avuto un incremento nella mortalità maggiore del 70%.
Risulta  evidente che il Covid19 si è diffuso in maniera disomogenea sul territorio; non solo: gli incrementi eccezionali verificatesi in alcune province devono necessariamente avere avuto una causa ulteriore.
(ricordiamo infatti che il virus veniva descritto come altamente contagioso: non si spiega quindi come sia rimasto totalmente confinato entro alcune zone circoscritte, con un impatto totalmente sbilanciato in alcuni luoghi rispetto ad altri)
Questa causa, questo ulteriore fattore che ha agito in concomitanza col virus rimane a tuttoggi un enorme mistero.
Ma finchè tali aspetti non si chiariscono, tutte le azioni intraprese per contenere la diffusione del morbo risultano azzardate.
Tali misure, oltre che lesive alle basilari libertà della popolazione, hanno infatti portato l’economia del paese al collasso, in maniera ormai irrimediabile, laddove ormai è chiaro che il virus in sè nella maggioranza del territorio nazionale non ha avuto alcun impatto.

Nella cartina ricavata dai dati sopracitati si è provato a rendere graficamente questo diverso impatto del virus nel territorio.
Risulta immediatamente evidente a livello visivo come l’enorme asimmetria della diffusione del virus necessita di una spiegazione che al momento ancora ci manca.
(cliccare sulla cartina per visualizzare l’immagine a piena risoluzione)

20 Gennaio 2021

Propaganda di E. L. Bernays, alle origini della Scienza della Persuasione

La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica, coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese.
Noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoriamo tutto, ma che sono in grado di plasmare la nostra mentalità, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare.

Edward Louis Bernays, Propaganda, 1928

Se riletta oggi, l’opera fondamentale di Bernays appare in alcuni passaggi persino scontata, quasi banale.
Questo fatto, invece che sminuirne il valore, ne sottolinea la straordinaria importanza, dal momento che si tratta di un testo concepito quasi 100 anni fa, i cui concetti all’epoca rivoluzionari sono ormai totalmente introiettati nel nostro contemporaneo modo di pensare, sancendone in maniera definitiva il valore.
Edward Bernays fu uno di quei pensatori, forse poco noti, che ha contribuito a plasmare in maniera essenziale il mondo contemporaneo, e fu l’inventore della scienza delle pubbliche relazioni, scienza che oggi è praticata su larga scala ma che all’epoca rappresentava una totale novità.

Nipote del fondatore del movimento psicanalitico Sigmund Freud, Bernays cercò di applicare le teorie del celebre zio su vasta scala, analizzando la componente psicologica a livello sociale, sui gruppi invece che sui singoli.
Nel suo celebre libro Propaganda spiega con lucidità e professionalità il modo in cui l’opinione pubblica possa essere manipolata, e descrive come questa scienza possa essere sfruttata nel mondo del commercio e della politica.

In questa intuizione si manifesta l’originalità del pensiero di Bernays, se rapportato all’epoca in cui scriveva: occorre infatti ricordare che fino ad allora il mondo della pubblicità, a supporto della grande espansione della produzione capitalistica, era ancora in uno stato embrionale.
Pubblicizzare un prodotto all’epoca significava comprare uno spazio su di un quotidiano in cui si segnalava che il proprio prodotto semplicemente esisteva, e in modo conciso se ne descrivevano le caratteristiche :
L’azienda di Arnold Lewis di Brooklyn produce scarpe di ottima fattura che durano nel tempo. Ci trovate in via…

Bernays capì che per rendere appettibile un prodotto occorreva associarlo ad una “emozione”, occorreva collegarlo ad una sensazione positiva o ad uno status che il consumatore voleva raggiungere.
Teorizzò la necessità di associare il prodotto con dei modi agognati di vita, con delle situazioni mondane, affidandosi a personaggi celebri ed ammirati con cui un marchio potesse essere collegato (in qualche modo Bernays ideò il concetto di “testimonial“).

E’ rimasto paradigmatico, ad esempio, il modo in cui nel 1929, per conto dell’industria del tabacco, riusci a rendere appetibile il consumo delle sigarette anche alle donne -fino ad allora un tabù – ingaggiando alcune giovani ed appariscenti suffragette che si fecero vedere mentre fumavano in una grande parata di Broadway.
Bernays ebbe anche l’intuizione di usare le stesse tecniche non solo nel mondo del commercio, ma anche nella politica.
Considerando i vari candidati anche essi come dei “prodotti” da vendere al pubblico, organizzò con grande cura le campagne elettorali di chi lo ingaggiava, basandosi sui medesimi concetti usati nella pubblicità: il candidato non doveva più semplicemente presentarsi descrivendo in maniera meccanica e noiosa il programma che voleva attuare, ma doveva trasmettere sensazioni emotive, doveva associarsi a dei sentimenti positivi.
Il politico doveva quindi organizzare eventi di beneficenza, presenziare a feste, farsi vedere coinvolto nelle manifestazioni cittadine popolari.
Ancora una volta, situazioni che oggi a noi appaiono scontate – ogni campagna elettorale ripropone attualmente questi meccanismi – ma che all’epoca di Bernays rappresentavano delle grandi novità.

Un altro aspetto importante che emerge dalla sua opera è il suo teorizzare, in maniera diretta e sincera, il concetto secondo il quale le grandi masse hanno necessità di essere manipolate.
Per Bernays questo era un dato di fatto, e faceva parte del normale svolgimento di un sistema democratico.
Le masse dovevano essere indirizzate, occorreva dire loro cosa pensare, come muoversi, come agire, e questo compito spettava ad una élite che si sarebbe avvalsa della scienza della manipolazione per raggiungere il proprio obiettivo.
E la scienza della manipolazione funzionava, e funziona perfettamente ancora oggi.
La sua importanza, il suo contributo essenziale nello plasmare il mondo contemporaneo rimane tutt’oggi uno dei segreti-non-segreti meglio conservati.
Non si tratta di un segreto nel senso proprio del termine poiché chiunque oggi può procurarsi i testi di Bernays, di Le Bon, di tutti gli autori che trattano in maniera scientifica l’arte della manipolazione e del condizionamento delle masse.
Ma il grande punto di forza di questa scienza sta proprio nel fatto che nessuno si considera potenziale vittima della manipolazione: tutti sono convinti di pensare con la propria testa, di prendere le proprie decisioni in autonomia, e nessuno prende in considerazione la possibilità di essere una vittima della propaganda.
Ed è per questo motivo che la propaganda funziona ancora oggi alla perfezione, proprio perché tutti siamo convinti di esserne immuni.

18 Gennaio 2021

La fede nell'Autorità


I diversi approcci delle persone riguardo la situazione epocale che stiamo vivendo originano da una basilare questione di fondo:
come ci si pone di fronte alla Autorità (maiuscola).
Tutto nasce da qui.
Non si tratta di mettere a confronto diverse opinioni, analizzare i dati, leggere gli articoli scientifici cercando di farsi una idea, portare alla luce tesi e controtesi, dimostrazioni, conferme e smentite.
Al contrario, la questione di fondo è una: chi da una parte si “fida” a prescindere dei governi e dei “comitati tecnici scientifici” e chi mette in discussione anche le “verità acquisite”, quando i fattori che non tornano iniziano ad essere troppi.

Da una parte c’è la convinzione che per quanto composti da uomini, per quanto nel loro piccolo corrotti ed opportunisti, di fronte ad una situazione grave i governanti non arrivino al punto di mentire in maniera tanto spudorata al popolo, ma perseguano sempre il bene delle masse.
Secondo questa visione, i governanti, le multinazionali, il complesso farmaceutico, per quanto “non immacolati”, di fronte ad una vera emergenza divengono umanitari, ed agiscono per il bene del popolo.
Chi mette in dubbio questa narrativa arriva a sostenere invece che questi soggetti possano perseguire altri scopi, e che siano capaci di sacrificare senza problemi il benessere dei loro sudditi.
Tutto il dibattito si riduce a questo, parte da qui e non si muove oltre.
Spostare la discussione sui dati , sui numeri, sui rapporti scientifici non ha alcuna utilità.
Chi non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi che i governanti e le multinazionali possano agire a danno di miliardi di persone, e che si disinteressino del loro bene, non accetterà alcun punto di vista discordante.
Ovviamente, ammettere che chi sta al potere possa agire a discapito di milioni di persone, in una situazione di emergenza generale, non è semplice: per molti questo significa rivedere totalmente l’immagine della società su cui la propria esistenza si fonda, la propria posizione nel mondo.
Significa rimettere in discussione l’idea secondo la quale si vive all’interno di una società civile, ordinata, con delle regole, una società guidata da governanti che, per quanto imperfetti e corruttibili, rappresentano delle “istituzioni” poste alla base del benessere di tutti.

Se invece, anche se solo per un istante, si prende in considerazione l’ipotesi che i governanti si disinteressino dei loro sottoposti, in combutta con le multinazionali e i grandi centri di potere finanziari, e che possano agire in una maniera priva di etica, a livelli impensabili per la persona comune, allora tutto quello che accade intorno a noi acquista un senso diverso.

Coloro che si ritrovano privi di qualsiasi forma di principi morali ragionano secondo schemi che sono totalmente diversi da quelli del resto della popolazione.
La loro impostazione mentale risponde solamente ad un processo dicotomico “vantaggioso-non vantaggioso”, laddove concetti quali “giusto-sbagliato” non entrano minimamente nei fattori presi in considerazione nel momento di prendere determinate decisioni.
Quando si è privi di moralità, per raggiungere il proprio scopo vi sono mille sentieri che l’uomo semplice non riesce nemmeno ad immaginare.
Ed è per questo che non potremmo mai appieno immaginare cosa ci attende nel futuro, perché i nostri schemi mentali sono diversi dai loro.
Ora, come non mai, occorre tenere a mente il monito biblico:
“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.

Si veda anche: Autorità, coscienza ed obbedienza

14 Gennaio 2021

La maschera e il terrore


Una costante dei film dell’orrore, un vero e proprio cliché del genere, è quello del folle assassino che indossa una maschera.
Lo scopo di questo genere di film è ovviamente trasmettere paura allo spettatore, e quelli incentrati su un singolo personaggio devono di conseguenza presentarlo nel modo più cruento possibile, in modo che già la sua sola presenza generi inquietudine.
Si potrebbe quindi pensare che la maschera serva ad assegnare a questo genere di personaggi un aspetto minaccioso, e questo è scontato, ma vi è un aspetto ancora più sottile dietro a tale dinamica: la maschera infatti genera inquietudine non solo per le sue fattezze mostruose, ma prima ancora, e in misura maggiore, per il fatto che “cela” i lineamenti di chi la indossa.
Anche una semplice maschera neutra infatti trasmette inquietudine.
Questo fatto è facilmente comprensibile considerando le nostre caratteristiche umane, essendo noi uomini esseri sociali, abituati ad interagire con innumerevoli nostri simili.
Nel farlo, noi leggiamo il viso e le espressioni dei nostri vicini, ne interpretiamo le emozioni, le intenzioni.
Con un semplice sguardo sappiamo se chi ci sta accanto ha intenzioni amichevoli, neutre, o se invece potrebbe rappresentare per noi un pericolo.
E dopo tale interpretazione, siamo in grado di offrire la risposta adeguata a seconda di chi abbiamo vicino.
E’ una delle nostre qualità umane basilari.

Chi indossa la maschera invece cela le sue espressioni, e noi nell’osservare un volto nascosto entriamo immediatamente in uno stato inquieto.
Più che il timore di trovarsi di fronte ad un pericolo, infatti, la nostre psiche soffre la sensazione di incertezza, il non sapere cosa si deve effettivamente affrontare.
In quel caso, si genera in noi una profonda ansia, perchè non sappiamo quali contromisure dovremmo attuare, se possiamo stare rilassati, se dobbiamo stare all’erta.
E’ una sorta di tilt emozionale.
Per questo i personaggi mascherati generano tanta inquietudine, prima ancora che per le fattezze eventualmente mostruose del loro travestimento.
E per questo, detto di sfuggita, vivere in un ambiente in cui tutti i nostri simili portano una maschera, dove siamo impossibilitati a cogliere le fattezze e le espressioni di chi ci circonda, genera in noi una sorta di ansia soffusa permanente, che a livello psicologico e sociale genera danni non trascurabili.