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-o- Too late to die young -o-
29 Novembre 2008

Famiglie di ieri

Nella mia infanzia in Grecia ho avuto la fortuna di aver visto da vicino come si svolgeva la vita in una famiglia patriarcale, una di quelle famiglie che rispecchiava la regola nelle società mediterranee dei secoli scorsi.
Si era verso la metà degli anni 80, e di lì a poco questo tipo di vivere avrebbe rappresentato definitivamente un ricordo del passato nel nostro occidente contemporaneo.
Zio Dinos, fratello maggiore di mia nonna Dionisia, aveva ricevuto da suo padre una quantità di terra sufficiente per mantere la propria famiglia, ed insieme ai figli ed alle nuore si occupava dei campi e di un distributore di benzina che aveva aperto nelle adiacenze della propria abitazione.
Una abitazione non principesca ma più che dignitosa, disposta su due piani e grande quanto bastava per ospitare zio Dino con la moglie Rina, zio Giorgio, fratello di Dino, zia Giorgia, tre figli, una nuora e due nipoti.
Dieci persone che vivevano sotto lo stesso tetto e portavano avanti le attività in comune.
Si era sempre vissuto in questo modo; i figli maschi rimanevano in casa anche dopo sposati, portando le mogli sotto lo stesso tetto dei genitori e le abitazioni venivano ampliate per accogliere i nuovi membri.

Accadeva anche che famiglie molto numerose occupavano col tempo un intero quartiere, una via, che prendeva poi il nome della famiglia stessa.
Tale stile di vita appartiene al passato, e difficilmente oggi ci sapremmo adeguare ad una tale limitazione del nostro spazio e della nostra privacy.
L’indipendenza del singolo oggi è una prerogativa a cui non si può rinunciare, e tutte le convenzioni sociali spingono ogni individuo a cercare la propria autonomia nel più breve tempo possibile.
L’indipendenza è infatti un valore oggi imprescindibile, e rende i nuclei famigliari odierni, molti composti anche da una singola persona, assai distanti da quella interdipendenza che era la regola nella famiglia patriarcale.

Ed effettivamente non era per nulla facile convivere con così tante persone sotto il medesimo tetto, sopportare le particolarità e i difetti di ognuno di loro, senza avere mai spazio sufficiente per sé.
Eppure, una tale organizzazione presentava anche degli indubbi vantaggi, tanto più evidenti in un periodo di crisi generale come il nostro attuale.
Nessuno correva il rischio di rimanere solo ed abbandonato.
Anche in caso di malattia,o di vecchiaia, vi erano sempre numerose persone pronte a prendersi cura di chi ne avesse bisogno.
L’ anziano non veniva mandato in un casa di riposo, ma veniva accudito fino all’ultimo da figli figlie e nuore, senza mai essere abbandonato.
Così i bambini piccoli, che avevano intorno sempre qualcuno disponibile a prendersi cura di loro, tra nonne e zie, anche quando i genitori erano assenti per lavoro.
Chi si ammalava o si trovava nell’impossibilità di lavorare veniva a sua volta accudito all’interno della famiglia, senza diventare un peso per la società o ritrovarsi in mezzo ad una strada.
Ed anche se non si viveva nell’abbondanza, tra tante persone un modo per avere il necessario per sopravvivere lo si trovava sempre.
Si trattava insomma di nuclei autosufficienti, in cui la limitazione del proprio spazio era il prezzo da pagare per avere la certezza di non essere mai abbandonati in caso di mala sorte, e di trovare sempre aiuto per quanto i tempi fossero difficili.

Oggi abbiamo l’indipendenza, ma la contropartita è stata carissima.
Oggi sono molte le persone che si ritrovano completamente da sole dopo che la fortuna non ha seguito un corso felice, dopo una malattia, un infortunio, per non parlare dei nostri anziani, mandati negli ospizi in attesa che tolgano il disturbo.
Ormai è consuetudine che i figli, carta e penna in mano, calcolino se sia meno dispendioso mandare il nonno in ospizio o assumere una badante che lo tenga un po’ insieme.
Penso che vi sia qualcosa di evidentemente sbagliato in tutto questo, sintomo di un sistema sociale che ha preso una via sbagliata e pericolosa.

Un amico che aveva svolto qualche anno fa servizio civile in una casa di riposo, mi raccontava di come quella esperienza avesse cambiato radicalmente il suo modo di considerare la vita.
Mi raccontava di nonni e nonne che nessuno andava a visitare per mesi, per anni, nonostante avessero figli e nipoti che vivevano a pochi chilometri di distanza.
Non si tratta qui di fare del moralismo o di stigmatizzare il comportamento dei parenti, ma di riflettere sulla sorte che a noi uomini occidentali probabilmente toccherà, sul finire della nostra esistenza.
Che tipo di società abbiamo infatti messo in piedi, se dopo anni di fatiche siamo destinati a morire dimenticati in una stanza non familiare accuditi svogliatamente da estranei?

Non posso a volte non ripensare agli ultimi giorni di vita di mio nonno Carlo, questa volta qui in Italia.
Morto in casa, dopo una breve malattia, curato con amore da figli e nuore.
La sera prima di andarsene ci volle vedere tutti, figli e nipoti.
In una stanza di 20 metri quadrati, attorno al letto del nonno vi erano la moglie Giuseppina, i 7 figli, 5 nuore e 15 nipoti.
Nonno Carlo era stato un semplice contadino, e l’unico viaggio “di piacere” che avesse fatto in vita sua fu quando nel 1977 partì per la Grecia per conoscere da vicino quel suo nipotino nato così lontano da Bergamo, l’unico tra i 15 nipoti che avrebbe portato il suo nome.
Eppure, ripensando alla sera in cui eravamo tutti raccolti attorno a lui, non posso non ricordarlo come l’uomo più ricco del mondo.
Di una ricchezza che forse noi rischiamo di perdere, o che forse abbiamo già perso.

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22 Ottobre 2008

Fashion di sto

Girovagando per la rete  mi sono imbattuto in questa immagine, che ha immediatamente catturato la mia attenzione.
C’è qualcosa nello sguardo del lupo, qualcosa che necessiterebbe di decine di pagine per essere espresso a parole.
Personalmente trovo l’intera situazione immortalata dalla foto semplicemente odiosa.
Una modella fashion con tanto di sorriso ebete in dotazione conduce  al guinzaglio sulla passerella un animale che sembra rendersi conto della propria umiliazione, ridotto a fenomeno da baraccone e di giubilo in una manifestazione simbolo della vacuità dei tempi in cui viviamo.
Qui c’è tutto il peggio del nostro occidente, la sua parte più frivola e fetida, colto nell’attimo della sua massima superbia, mentre porta a spasso la forza della natura nella sua più vera essenza con idiota compiacimento.

E non si tratta qui del  “desiderio di dominio” dell’uomo occidentale sulla “natura”.
Qui è rappresentato qualcosa di più profondo, in questa immagine è immortalato il trionfo dell’idiozia e della superficialità sull’aspetto più reale e vivo del creato.
Qui una scialba rappresentazione della vita si prende gioco della vita vera.

Per la cronaca, la foto è stata scattata durante il Green Initiative Humanitarian Spring 2009 fashion show a Los Angeles, una manifestazione con scopi umanitari e ambientalisti.
Perfetta sintesi dei tempi in cui viviamo.

20 Ottobre 2008

Il tacchino cospirazionista


Il tacchino induttivista

Esisteva un tacchino in un allevamento al quale veniva portato il cibo sempre alle 9 di mattina.
Il tacchino osservava dunque che qualsiasi giorno della settimana, che vi fosse stato il sole o il cattivo tempo, il cibo gli veniva portato sempre alla stessa ora.
Da queste osservazioni ripetute e identiche in qualsiasi condizione meteorologica e che erano comuni per tutti i giorni della settimana, il tacchino applicò il metodo induttivo quando formulò la teoria seguente: “mi danno il cibo sempre alle 9 di mattina”.
Tuttavia, alla vigilia di Natale, il tacchino constatò a sue spese il venire meno di questa regola: il tacchino venne ucciso e servito a tavola.
Karl Popper

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Il tacchino cospirazionista

Esisteva in un allevamento un tacchino particolarmente inquieto.
Ogni giorno gli veniva puntualmente portato il cibo, ma nello sguardo del fattore non vedeva alcuna simpatia.
Osservava che la stessa persona che gli forniva nutrimento maneggiava spesso strumenti taglienti, ed una volta lo vide addirittura servirsene ai danni di una povera gallina nel recinto accanto al suo.
L’intera faccenda lo rendeva sospettoso, così ne parlò con i suoi compagni.

Amici, qua c’è qualcosa che non va bene.
E’ vero, abbiamo ogni giorno cibo a sufficienza, nessuno ci maltratta, ma sento che c’è qualcosa dietro.
Ieri ho visto una gallina venire uccisa dal fattore, forse potrebbe capitare anche a noi un giorno.

Sei sempre il solito paranoico.
Siamo qua da anni, non abbiamo mai patito la fame, il buon fattore ci ha persino costruito una tettoia per ripararci dalla pioggia; e possiamo anche distrarci con le belle tacchinelle che ci fanno compagnia.
Sei proprio un ingrato, dovresti essere riconoscente per tutto quello che ti viene dato.
La verità è che stiamo bene, e da quando mi ricordo è sempre stato così.

Venne la vigilia di Natale, e per il pranzo festivo il fattore scelse il tacchino inquieto.

Non se ne stava mai buono e mi rendeva nervosi anche gli altri tacchini.

 

17 Ottobre 2008

La Ligre


Sono venuto a conoscenza, solo di recente, dell’esistenza della ligre.
Un animale straordinario, e per una volta il termine stra-ordinario si può usare in modo del tutto appropriato.
La ligre è un felino ibrido, nasce dall’incrocio tra un leone maschio ed una tigre femmina, un evento assai raro in natura.
Questi incroci
avvengono normalmente solo in cattività. Infatti leoni e tigri normalmente non condividono il loro territorio e perciò non hanno molte possibilità di accoppiarsi fra di loro.
Attualmente si hanno casi di coesistenza fra tigri e leoni solo nella Foresta di Gir, in India. Anticamente coesistevano in Persia e Cina. Le abitudini delle due specie sono molto differenti e rendono quindi ancora più improbabile un eventuale incrocio naturale.

Le prime ligri di cui si ha notizia nacquero nel 2004

nello zoo di Kemerovo in Russia, e all’epoca gli zoologi non sapevano che caratteristiche avrebbero sviluppato i cuccioli.
Ora si sa che vi è un aspetto particolare che caratterizza questo animale. La ligre cresce di più di leoni e tigri, alcuni esemplari possono raggiungere i 3.65 metri di lunghezza e superare i 400 chilogrammi di peso (per fare un confronto, i tipi di tigre più grandi, le Tigri Siberiane e le Tigri del Bengala, non superano i 3.2 – 3.3 metri di lunghezza, e i 280-300 chilogrammi di peso). Questo accade perché il leone maschio e la tigre femmina non trasmettono nessun gene inibitore della crescita. Non avendo questo gene, le ligri, crescono per tutta la loro vita, fino a che il loro corpo non potrà più sostenere il loro stesso peso.

Nessuno dei genitori trasmette il gene inibitore della crescita alla ligre, che diviene sempre più grande, finchè le sue stesse dimensioni la portano al decesso.
L’esistenza di questo  splendido e maestoso felino è un mito che si concretizza, una allegoria che attraverso la ligre vive.
Come non riflettere sulla sorte del nostro stesso occidente, privo anch’egli dell’inibitore alla crescita, destinato a crollare sulle sue stesse fondamenta proprio nel momento in cui pareva così grande ed inattaccabile?
Caduto all’apice della sua grandezza, proprio a causa del suo peso che non riusciva più a reggere.

16 Ottobre 2008

City of Light

Immagine tratta da nero.noblogs.org


Coloro che hanno costruito la città di Milano hanno fatto in modo che gli edifici e le strade si potessero mimetizzare col suo cielo.
Grigie strade ai piedi di grigi palazzoni, sotto un grigio cielo.
Ed anche la nebbia ha vagato a lungo prima di trovare in Milano la sua giusta dimora.

E come può, alla lunga, questo grigio non entrare dentro anche alle persone che sotto quei cieli si muovono, su quelle strade corrono, dentro quei palazzoni mangiano e dormono, che il tempo è quello che è.

A Milano.
A Londra.
A Kuala Lumpur.
A New York.
In città.