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-o- Too late to die young -o-
6 Febbraio 2016

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10 Gennaio 2016

Akakia

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4 Gennaio 2016

I taglialegna del re - parte II

I taglialegna del re – parte prima

Il sole raggiunse il punto più alto nel suo viaggio nelle strade del cielo, e fu allora che tornò il re, dopo aver visitato le altre baracche.
Ritrovò Olaf dove lo aveva lasciato, seduto sull’uscio mentre stringeva la sua scure.
Il re scese dal suo cavallo, e gli si avvicinò.
“Dimmi, giovane, sai perchè vi ho mandati qui?”
“Fino a ieri credevo che volessi che tagliassimo la legna, sire.”
“E oggi invece cosa credi?”
Olaf alzò lo sguardo da terra, si fece coraggio e guardò il suo re: “Tu ci hai mandato qui affinchè imparassimo a costruire le scuri.”
“E’ così. E adesso dimmi, giovane: come si impara a costruire le scuri?”
“Tagliando gli alberi, sire.”
“Infatti. Tu ci hai messo tre anni per capirlo, mentre i tuoi amici, senza pensarci, hanno trovato il modo sin da subito.”
“Ma perchè, sire, non ce lo hai detto? Perchè non ci hai detto sin dal primo momento che il nostro compito sarebbe stato quello di costruire scuri?”
“Se ve l’avessi detto sin da subito vi sareste concentrati su quello, avreste impiegato il vostro tempo a costruire la scure migliore, proprio come hai fatto tu.
Poi una volta soddisfatti l’avreste provata su un albero, forse due, e vedendo che era funzionale avreste considerato il vostro lavoro completato.
Ma una buona scure non è quella bella a vedersi, come la tua, quella che taglia un albero o due.
Una buone scure serve al taglialegna per lavorare da mattina a sera: deve essere robusta e resistente ma anche pratica, deve essere dura ma il più leggera possibile, perchè è controproducente aggiungere ulteriore fatica ad un lavoro già di per sé duro e sfiancante.
E adesso dimmi, giovane Olaf: come si può ottenere una scure così?”
“Tagliando alberi, tanti alberi.
Provando e riprovando, rompendo decine di scuri e abbandonando quelle troppe pesanti. Tagliando tanti alberi, sire.”
“Esatto, mio giovane pensatore. I fabbri della città da tempo ormai fanno a gara per forgiare le scuri più scintillanti e maestose; hanno imparato il mestiere dai loro padri, ed essi a loro volta lo avevano ereditato dai propri genitori.
Ma i fabbri di adesso, artigiani dotati e maestri forgiatori, non hanno mai tagliato un albero in vita loro, con le scuri che creano, e si sono dimenticati a cosa effettivamente le loro creazioni servano.
Per questo ho scelto voi, quattro giovani che mi erano stati segnalati per la loro prontezza ed intelligenza, e vi ho mandati qui.
Affinchè tagliando alberi poteste imparare a costruire delle scuri finalmente utili al loro scopo.
Ora i tuoi tre amici verranno con me al castello, e insegneranno agli apprendisti come effettivamente una scure vada forgiata.”

Olaf rimase in silenzio a riflettere sulle parole del re.
Lui di alberi non ne aveva tagliato nemmeno uno.
La conoscenza che aveva scovato nei libri era preziosa, ma solo con l’atto in sé sarebbe potuto giungere al vero sapere.
Quale beffa: aveva imparato una grande lezione, ma a cosa gli serviva?

“Che ne sarà di me, ora, sire?” chiese infine Olaf al suo re.
Il re lo guardò negli occhi, poi si girò e raggiunse il suo destriero.
Vi salì ed infine si rivolse ad Olaf.
“Ci vediamo tra un anno, e vedi di avere una buona scure. Mi servono altri fabbri, al castello.”

3 Gennaio 2016

I taglialegna del re

In un tempo lontano, un re convocò quattro giovani abitanti della città per affidare loro un compito.
“Partirete domani e andrete alla collina del tramonto. Starete via tre anni, e sarà vostro dovere procurare legna per la città. Io verrò di persona una volta all’anno a controllare il vostro lavoro.”
Così ordinò il re, e prima di congedare i quattro giovani aggiunse: “Avrete il cibo che vi servirà e un letto in cui dormire, ma dovrete costruirvi da soli la vostra scure: per farlo troverete tutto quello che vi occorre nelle vostre baracche.”

I ragazzi si inchinarono con rispetto – il volere del re non poteva essere discusso – ma nel loro animo si celavano sentimenti diversi.
“Il re ci ha assegnato un compito molto importante, per noi sarà un grande onore procurare la legna che serve alla nostra gente” disse il primo giovane, felice dell’opportunità che gli era stata offerta.
“Avremo di che mangiare per i prossimi tre anni, e se il re sarà soddisfatto del nostro lavoro ci darà di sicuro anche una bella ricompensa”, aggiunse il secondo.
“Quando Brigitta saprà che sono diventato taglialegna del regno avrà finalmente rispetto di me, e accetterà la mia proposta di matrimonio.”, concluse il terzo.
Il quarto giovane, invece, non condivideva l’entusiasmo dei suoi amici: “Sarà anche così, ma nessuno di noi ha scelto veramente di passare i prossimi anni a faticare nel bosco. Il re ordina e noi dobbiamo obbedire, non abbiamo scelta. Quello che noi desideriamo non conta niente, per il re. E poi poteva almeno procurarci delle buone scuri, non capisco perché voglia che ce le costruiamo da soli…”
“Questi sono pensieri inutili” disse il primo giovane, “domani partiremo, andremo sulla collina e taglieremo la legna. E questo è tutto.”

Così partirono, e giunti nelle loro dimore i primi tre giovani si misero immediatamente a costruire le loro scuri.
Nel retro di ogni baracca vi era un vero e proprio laboratorio da fabbro, con tutti gli strumenti necessari per fondere e forgiare il ferro, come il re aveva assicurato, e tanti rami spessi, di diverse dimensioni, da cui ricavare un manico.
Il quarto giovane, Olaf era il suo nome, guardò il laboratorio, osservò gli attrezzi, e poi se ne andò a camminare per il bosco.
“Io non sono il burattino del re, non sono il suo servo, e tagliare alberi non è il mio mestiere.”

Passarono le settimane, e i primi tre giovani costruirono le loro scuri.
Dovettero fare diverse prove per trovare la forma giusta da dare al ferro, e per scegliere il legno adatto per il manico.
Ed anche così, capitava che le loro scuri si rompessero, e così dovevano rifarne di migliori, e di più resistenti.
Olaf osservava il loro lavoro, poi si perdeva nel bosco a studiare i funghi.
Se ne andò in questo modo il primo anno, e come aveva promesso giunse anche il re per la sua prima ispezione.
Vide con grande soddisfazione il lavoro dei primi tre giovani: due di loro avevano già messo da parte una considerevole quantità di legna, mentre il terzo aveva avuto problemi con le sue scuri, finché non ne aveva costruita una resistente e robusta con grande ritardo rispetto ai suoi amici.
Ma il re si complimentò anche con lui, raccomandandogli di continuare con il suo lavoro.
Quando il re giunse alla baracca di Olaf lo trovò seduto sull’uscio: col suo coltellino stava modellando un piccolo tronco dandogli la forma di un angelo.
“Non ti ho mandato quassù per scolpire angioletti, giovane. In un anno non hai tagliato nemmeno un albero, e non ti sei nemmeno costruito una scure.”
“Quello che dici è tutto vero, mio re.”
“Io sono un re magnanimo, e mi dimenticherò della tua insolenza. Ma quando tornerò qui da te l’anno prossimo dovrai avere una scure e dovrai aver tagliato almeno la metà dei tronchi dei tuoi amici.
Non aggiungerò un’altra parola a questo: non sfidare la bontà del tuo re.”

La notte che seguì Olaf non riuscì a dormire.
Ancora non vedeva motivo per fare un lavoro che non aveva scelto, e malediceva il destino che lo aveva portato in quella collina, un destino sul quale sentiva di non avere nessun potere.
In ogni caso, era in un vicolo cieco.
“Non ho altra scelta, devo fare come ordina il re.” concluse tra sé, infine, triste e sconfitto.
Il mattino di buon ora Olaf andò nel laboratorio da fabbro della sua baracca, ma guardandosi intorno si rese conto di non avere idea da dove iniziare.
Sapeva inoltre che i suoi amici avevano fatto diversi tentativi prima di riuscire a costruire una scure adatta al lavoro.
“Prima di mettermi a costruire la mia scure, dovrò informarmi su come fare. La mia scure deve essere robusta, altrimenti si spezzerà come le scuri che costruiscono i miei amici. Devo sapere qual è la forma migliore da dare al ferro, quale legno sia ideale per il manico, quanto deve essere il suo spessore.”
Raccolse quindi le sue cose e se ne tornò in città: là nella piazza della Cattedrale si affacciava la casa della sapienza, dove gli anziani conservavano i libri più preziosi raccolti nei secoli di storia della loro comunità.
Olaf trovò tutti i libri che gli servivano: cataloghi di tutti gli alberi conosciuti, con descrizioni particolareggiate della qualità del loro legno, manuali per i fabbri, saggi sulla qualità del ferro, tomi illustrati in cui erano riportate le forme delle scuri in uso in tutti i dodici regni.
Studiò quei libri per un anno intero, e quando sentì di aver imparato abbastanza, se ne tornò nella sua baracca sulla collina, proprio il giorno in cui il re aveva stabilito la sua visita.
Il sovrano ancora una volta rimase soddisfatto nel vedere il lavoro fatto dai primi tre giovani, e giunto alla baracca di Olaf lo trovò che scaricava sul suo tavolo una sacca piena di appunti e disegni.
“So che hai passato tutto l’anno nella casa del sapere, ma io ti avevo mandato qui per tagliare la legna, e legna tagliata non ne vedo. Tu stai sfidando la pazienza del tuo re, ma voglio darti un’ultima possibilità. Tornerò l’anno prossimo, non aggiungo altro.”

Olaf si mise immediatamente al lavoro.
“Ora so tutto quello che c’è da sapere sulle scuri, ma prima di mettermi a costruirne una devo progettarla con attenzione, altrimenti non sarà abbastanza robusta, e rischierà di rompersi come le prime scuri costruite dai miei amici.”
Fece così diversi disegni, il suo tavolo era colmo di fogli e di appunti: faceva calcoli, immaginava soluzioni innovative, ma non era mai contento del risultato, ed ogni volta ricominciava i suoi progetti da capo.
Passarono mesi, ed Olaf si rese conto che non gli rimaneva molto tempo.
Prese quindi il suo ultimo progetto ed iniziò a costruire la sua scure.
Non fu per nulla facile: non era abituato a forgiare il ferro, ed anche se aveva letto decine di libri sul modo di procedere, tradurre in atto quelle conoscenze si rivelò più difficile del previsto.
Passarono altri mesi, mesi pieni di frustrazione e di preoccupazione, perché il suo tempo stava scadendo.
Mancava ora solo un giorno al ritorno del re, e Olaf in qualche modo riuscì finalmente a completare la sua scure.
Era una scure magnifica, una delle più belle che si fossero mai viste.
La soppesò e vide che era robusta e pesante: nessuno dei suoi amici aveva una scure così resistente.
Olaf la prese e se ne andò nel bosco, pronto a tagliare il suo primo albero.
Diede un primo colpo potente, poi un altro, e un altro ancora.
Ben presto si stancò, tanto che le forze gli mancarono del tutto.
La sua scure era robusta e solida e pesante: troppo pesante.
Aveva svolto tutti i suoi calcoli con estrema precisione, aveva forgiato un ferro lucido e potente, ma non aveva considerato una cosa: se stesso.
Non aveva riflettuto sul fatto che una scure tanto maestosa avrebbe necessitato di un fisico e di muscoli altrettanto imponenti per essere maneggiata, muscoli imponenti che lui non aveva.

Il mattino seguente, di buon ora, si presentò il re.
Andò subito da Olaf, e lo trovò seduto sull’uscio della sua baracca, che stringeva la sua scure.
“Non ho legna, sire, e ho una splendida scure robusta e resistente, ma troppo pesante per essere usata.”
Il re non disse niente, girò il suo destriero e si avviò verso le altre baracche.

conclusione: I taglialegna del re – parte II

1 Gennaio 2016

Cinque schegge

Si fermò e guardò il cielo, seguendo con lo sguardo il volo incerto di una rondine che pareva aver smarrito il suo stormo.
“Vedi – mi disse – quello che alla fine ci fotte e’ il confronto, il nostro continuo misurarci con gli altri.
Come se questa vita fosse una gara, come se il nostro valore, il nostro essere, dipendesse da quello che fanno, o hanno, gli altri.
Ed ecco il vicino di casa con la sua famiglia perfetta, con la sua bella auto e la villetta col giardino sempre curato; ecco il vecchio compagno di classe che gira il mondo per lavoro, ecco quell’altro che esce solo con ragazze da competizione.
Ed ecco il sant’uomo, ecco l’integerrimo capofamiglia; e poi quello dal cuore d’oro, l’amico di tutti, quello saldo come una quercia; ognuno, a modo suo, con il suo posto nel mondo.
Uno dopo l’altro, ti guardi in giro e vedi quelli che ce l’hanno fatta, quelli che non sono soli, quelli che hanno messo radici, o che se non l’hanno fatto è solo perché così hanno voluto; vedi persone con un futuro, quando tu non hai nemmeno un passato.
Ti confronti con loro, e al loro fianco sei una nullità, uno che nella vita non ha ottenuto niente.”
Non c’era rabbia nella sua voce, parlava come se stesse raccontando la storia di un altro.
Come se stesse descrivendo il volo di quella rondine.
“E passiamo poi la vita a guardarci dentro, ma siamo sicuri che siano i nostri, di occhi, quelli che guardano?
No, noi ci guardiamo con gli occhi degli altri.
Ci osserviamo allo specchio e vediamo quello che vedono le nostre madri; ci guardiamo con gli occhi del nostro vecchio professore del liceo, quello che credeva in noi; pensiamo a quello che vedeva in noi quella ragazza con cui tanti anni fa non ci abbiamo nemmeno provato.
Ci osserviamo con gli occhi degli altri, e ci cuciamo addosso la loro condanna, il loro disprezzo, la loro delusione.”
Fece una lunga pausa.
Io non capivo perché mi stesse dicendo tutte quelle cose.
Poi sorrise, di un sorriso buono: “La nostra fortuna è che possiamo sempre scegliere con quali occhi guardarci. Gli occhi che stanno dentro di noi.”
La rondine nel frattempo si era rifugiata sulla cima di un grande albero, e sembrava ora indecisa sul da farsi.
Il vecchio la osservava, e sorrideva ancora.
Riprendemmo la nostra camminata, e per un po’ l’unico suono ad accompagnarci era quello delle foglie secche sotto i nostri passi.
La rondine passò spedita sopra le nostre teste.

 

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Ascolta.
Tendi l’orecchio.
Sono loro, stanno arrivando.
Sono cento, sono mille
sono legione.
Sono gli uomini saggi, e stanno arrivando.
Ecco, sono qui, sono ovunque.
Ascolta.
Hanno tutte le risposte.
Conoscono le leggi del mondo
e te ne fanno dono.
Conoscono il senso della vita
il senso della tua vita.
“Sii felice”
“Sappi volere”
“Segui la tua strada”
“La felicità è dentro di te”
Quante cose sanno, gli uomini saggi.
Quante cose che non so io.
Ed io mi distraggo, al loro passaggio
un attimo, un attimo solo.
Ed ecco, se ne sono andati.
Di cosa mi parlavano?
Mi ricordo solo che sapevano tante cose
gli uomini saggi.

________________

Una tela bianca davanti a me
cento colori in mano
e una splendida idea in testa
che aspetta solo di prendere vita.
Tocco dopo tocco
il dipinto prende forma:
è come lo immaginavo
all’inizio.
Poi un errore qui
un altro più sotto,
un altro ancora
e ancora
Tento di correggere
ma peggioro le cose.
E continuo
continuo a dipingere
e dell’idea che avevo in mente
resta solo un’ombra
Mi fermo a guardare
un pastrocchio
senza capo nè coda.
Mi ci vorrebbe un’altra tela
ma un’altra tela non ce l’ho.
Perchè io sono il pittore
ed io sono la tela.
Miei sono i colori
che non ho saputo usare
e mia era l’idea
che non ha preso vita.
Ed ora guardo la tela
che non si può cambiare
non si può sistemare
non si può buttare
ed è tutto quello che ho.

________________

La luna e le stelle e l’erba bagnata di rugiada
la pioggia d’autunno e l’amore che smuove gli oceani
se li sono presi i poeti e i menestrelli
e li hanno chiusi dentro i libri e le strofe.
E al mondo di fuori rimasero il cemento e la nebbia
il freddo e le macchine e gli occhi incispati del mattino
un caffè forse e qualche sigaretta
le coppie che spingono il carrello e il tonno in offerta.
Gli occhi che brillano della luce riflessa della televisione
i cuochi in gara e quattro pentole al prezzo di due.
Mentre i poeti hanno rubato la luna
hanno rubato le stelle
hanno rubato l’amore:
l’hanno adornato con un nastro d’argento
e l’hanno stretto nella carta.
E rimetti le padelle al loro posto,
e porti fuori la spazzatura
e dividi l’umido dal secco
Se cerchi la luna
se cerchi le stelle
le trovi nei libri
incatenate là dai poeti
con l’amore e la pioggia e la rugiada.
Al mondo di fuori
rimase il cemento.

…così sono andato a cercare quello che hanno rubato i poeti.
“Devi salire in alto”, mi avevano detto
“Lassù, oltre le stelle e i tramonti”
Ma io sono sceso
mille gradini e uno in più
e sbarre di ferro arrugginite dal tempo.
Sono sceso ancora, e là li ho trovati.
Banchettavano e cantavano, di amori e lune e rose
Ed era tutto il mondo, tutto il loro mondo
quello che davvero era importante, di quello cantavano.
E tutto il resto l’avevano lasciato fuori, l’avevano lasciato a noi.
“Rivoglio la luna, ridatemi le stelle”, dissi loro
“Quello che voi avete rubato al mondo di fuori”
“Noi non abbiamo rubato nulla”, mi disse uno di loro
“Noi solo teniamo le stelle al sicuro
sei tu che non eri mai sceso”

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Immagina la vita come una partita di calcio.
Ti mandano in campo, senza riscaldamento, e la partita ha inizio.
Ti guardi un po’ intorno, cercando di capire cosa succede, e di qua e di là ti arrivano dei suggerimenti.
Ti rendi conto che ognuno ha una sua particolare idea sul come affrontare la partita.
Dice il primo: – Ormai sei qui, corri e cerca di fare del tuo meglio.
E poi un altro: – L’importante è vincere, nient’altro conta.
E un altro ancora: – Amico, è solo un gioco, vedi di divertirti.
E ancora: – Questa cosa non ha senso, siamo solo dei deficienti che corrono dietro ad un pallone.
E c’è anche quello scazzato: – Io me ne sto tranquillo qui in disparte, e se il pallone arriva dalle mie parti non faccio nemmeno lo sforzo di andargli incontro.
E quello saggio: – Che tu sia bravo o meno, è l’impegno che ci metti che conta.
E quello più saggio ancora: -Questa partita è una illusione, la vera partita si svolge altrove.
Chiaro.
Allora cerchi con lo sguardo l’allenatore, che ti illumini un po’ le idee.
Ma l’allenatore non c’è, o meglio c’è ma non si vede.
Ha lasciato una scritta sulla panchina, che dice solo: “Sei libero di giocare come vuoi, dipende da te”.
Ci sono però i suoi assistenti; alcuni sono rabbiosi, altri più pacati.
Tutti però concordano su una cosa: se giochi male sono mazzate, per te, dopo.
Ma il preparatore atletico ti rassicura: non devi giocare bene per paura delle mazzate che prenderai dopo; il premio per una buona partita è la partita stessa.
Sempre più chiaro.
Stai lì ancora confuso sul da farsi, che ecco, ti arriva una pallonata in piena faccia che ti scaraventa ben oltre la linea di fondo.
E dopo tanto pensare, questa è la prima lezione che hai imparato.