Dunque al principio fu il Caos, e poi la Terra dal grande seno, sede incrollabile di tutti gli immortali che abitano la sommità del nevoso Olimpo, e il Tartaro tenebroso nelle profondità della grande Terra, e poi Amore, il più bello degli immortali, che irrora del suo languore sia gli dei che gli uomini, ammansisce i cuori e trionfa dei più prudenti propositi.
Esiodo, Teogonia
Secondo la Teogonia di Esiodo, una delle più antiche cosmogonie europee giunte fino a noi, al principio dei tempi vi era il Caos, l’infinito che tutto comprende.
Il Caos racchiude tutte le possibilità, ed al suo interno contiene tutto ciò che può esistere.
Dal Caos si generano Gea, il Tartaro ed Eros.
Gea, raffigurata come la Madre Terra, è la ile, la materia prima che assuma una forma, pronta per dare un aspetto alle idee non ancora manifestatesi.
A Gea si associa il Tartaro, luogo profondissimo ed oscuro, allegoria di quella parte della creazione non percepibile con i sensi.
Eros, infine, reso nella lingua italiana con il termine “amore”, rappresenta quella forza dell’universo che unisce e dà vita ad ogni cosa, il fattore necessario affinché la creazione stessa possa procedere (e’ bene precisare che l’Eros della Teogonia non è l’Eros figlio di Afrodite, il dio bambino alato che scocca le freccie dal suo piccolo arco: si tratta di due “divinità” differenti).
Si viene così a formare una Trinità che si ritrova spesso nelle fondamenta delle religioni tradizionali: vi è una presenza infinita che tutto comprende (Caos) da cui si genera la realtà in tutte le sue forme (Gea e Tartaro), ed il tutto è collegato da una forza di unione e attrazione (Eros).
La divinità, la divinità che si specchia e crea l’altro da sé, e la forza che unisce gli elementi (l’essenza del ternario).
Questa forza di unione è propriamente l’Amore, o per meglio dire l’amore nella sua forma più elevata e perfetta.
Il termine amore, infatti, racchiude in sé una miriade di significati, e sono infinite le forme che può assumere.
La lingua greca, per iniziare, distingue subito tra agape ed eros, termini che in italiano vengono resi indistintamente col generico “amore”.
L’agape è l’amore incondizionato, sintetizzato nella sua forma più pura nell’amore che la madre prova nei confronti dei propri figli.
Si tratta di un di amore che fluisce senza chiedere nulla in cambio, indifferente alle caratteristiche, ai difetti ed alle debolezze della persona amata.
Un essere umano può provare questo tipo di amore, in diversi gradi, nei confronti di diversi suoi simili, instaurando un legame di em-patia, una connessione in cui la felicità dell’uno diviene immediatamente anche quella dell’altro.
L’eros – da non confondere con il concetto di erotismo, per come attualmente si intende – è al contrario l’amore unidirezionale, che nella sua forma totalizzante si può provare nei confronti di una sola persona.
A differenza dell’agape, l’eros richiede sempre di essere corrisposto, e viene anche a mancare in esso una componente essenziale della trasmissione empatica.
Chi sperimenta questa forma di amore – l’innamorato, propriamente – desidera che la persona verso la quale il suo sentimento è indirizzato provi le stesse sensazioni: di conseguenza nell’eros, a differenza che nell’agape, la felicità dell’amato non si trasforma immediatamente nella propria felicità, se in questa felicità chi ama non trova posto.
La madre che vede il figlio felice è a sua volta felice (agape), mentre l’innamorato che osserva la persona amata felice con un’altra persona si strugge.
Ed invero, è una strana forma di amore quella che provoca dolore nel vedere la persona amata felice, se non si è parte di questa felicità in maniera diretta.
L’eros è quindi quel sentimento che si celebra quando generalmente si parla di “amore”, è la forza di attrazione di cui trattano i poeti di ogni tempo e le canzoni popolari.
Si tratta solo di una delle forme che l’amore più assumere, quella che più delle altre si pone al limite tra santità e dannazione, ma è nel contempo anche la forza senza la quale la creazione stessa non potrebbe esistere.
E’ l’eros infatti che spinge all’unione tra due persone, e non a caso Esiodo nella sua cosmogonia chiama la presenza che permette la creazione Eros, non agape.
L’eros è una forza creatrice, mentre l’agape accudisce e conserva.
Queste sono le prime tre forme con cui l’amore si presenta: la linfa vitale del creato che tutto unisce e tutto attraversa, la forza che spinge alla creazione e l’amore che accudisce e conserva.
La quarta forma che l’amore assume è anche quella che in questa terra è predominante: l’amore per se stessi.
L’amore per se stessi comprende l’orgoglio, la dignità, la vanità, la superbia, il rispetto per la propria esistenza, e queste qualità possono manifestarsi più o meno marcatamente.
L’esistenza degli uomini non sarebbe possibile senza questa forza, e si tratta di un sentimento che può facilmente prendere il sopravvento, eclissando tutte le altre forme di amore.
Da queste prime quattro forme di amore generano poi tutte le altre, e se davvero l’amore può salvare, quale di essi lo farà?
Probabilmente tutte queste manifestazioni sono necessarie, e se per le forme più elevate non esiste limite al quale fermarsi, l’amore nelle sue forme più terrene va invece maneggiato con grande cura, ove possibile.
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Nella Ballata dell’amore cieco Fabrizio De Andrè riprese e riadattò una vecchia poesia di Jean Richepin dal titolo “Cuore di mamma”.
La storia racconta di un giovane che si innamora follemente di una donna senza scrupoli, e lei, come pegno d’amore, pretende che l’uomo le porti il cuore della madre da dare in pasto al suo cane.
L’uomo, accecato dall’amore, acconsente, e dopo aver strappato il cuore dal petto della madre corre a perdifiato dall’amata.
Nella poesia di Richepin, mentre corre il giovane scivola e fa cadere il cuore della madre; la poesia si conclude con il cuore che inizia a parlare, e preoccupato chiede al figlio se si sia fatto male.
C’era una volta un povero idiota che amava una ragazza, molto, molto, molto tempo fà;
ma lei lo respinse e gli disse: “portami il cuore di tua madre e dallo al mio cane”.
Lui andò ad ammazzare la madre, molto, molto, molto tempo fà;
e le strappo il cuore, che era rosso come la fiamma.
Mentre lo portava inciampò e cadde, molto, molto, molto tempo fà, e il cuore rotolò nella sabbia.
Lui vide il cuore rotolare, molto, molto, molto tempo fà;
si udì un grido nell’aria silenziosa, il cuore cominciò a parlare, molto, molto, molto tempo fà:
“Ti sei fatto male, figlio mio?”.
Nella poesia sono descritte le tre forme principali che l’amore assume in questa terra, nei modi più estremi in cui si possono presentare.
Vi è l‘eros, l’amore del folle innamorato, che arriva al punto di strappare il cuore alla propria madre per accontentare la propria amata.
Vi è l’amor proprio, che si incarna nella giovane e crudele donna che gode nel vedere un uomo compiere dei gesti estremi per ottenere il suo amore.
E vi è infine l’amore incondizionato della madre, che continua ad amare e a preoccuparsi del figlio anche dopo che questi è arrivato al punto di ucciderla.
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