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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
4 Marzo 2011

Il selvaggio West: un falso mito duro a morire.


Uno dei falsi miti di cui tutti noi siamo o siamo stati succubi, un falso mito inculcato per mezzo dell’educazione e dei grandi media, è quello che vorrebbe gli uomini dei potenziali pericoli per i propri simili, naturalmente avvezzi a prevaricare con la forza il prossimo.
Questo naturale istinto alla violenza, ci viene spiegato fin da piccoli, è contenuto grazie alle leggi ed a coloro che le fanno rispettare, ovvero l’apparato statale
che tiene a bada l’irrequieta massa dei sudditi con tutte le sue estenzioni e tutti i suoi tentacoli.

Ed uno degli esempi più comuni che vengono usati per dimostrare la fondatezza di questo rischio è quello del “violento far west” americano, un periodo di terrore ed anarchia, dove si rischiava di finire trafitti dal pistolero di turno se solo si sbagliava a prolungare il proprio sguardo un secondo di troppo.
Assalti alla diligenza, duelli mortali come principale passatempo e bande di delinquenti che controllano intere città fanno parte di un immaginario collettivo trasmesso da Hollyhood ed ormai entrato a far parte delle certezze storiche delle persone.
Eppure, da diversi anni ormai, accurate ricerche storiche riguardanti il periodo dei pionieri americani e la colonnizazzione dell’ovest statunitense ci hanno riportato una immagine totalmente diversa da quella imposta da Hollywood.

In un interesante articolo dal titolo “La storia del west, tra mito e dura realtà” Guglielmo Piombini ripercorre brevemente questi falsi miti e presenta una sintesi delle ultime ricerche storiche su quegli anni.

[…] Da qualche decennio tuttavia i lavori di una nuova generazione di studiosi, mettendo in discussione tanti pregiudizi sul “Selvaggio West” sedimentati nel tempo, hanno chiarito che la Frontiera americana non era il regno della legge del più forte, ma un posto tutto sommato pacifico e civilizzato.
Storici come William Davis, Russel Pritchard, Eugene Hollon, Frank Prassel hanno rilevato che i conflitti a fuoco coinvolgevano solo una esigua minoranza di “pistoleri”, mentre per milioni di persone comuni, a dispetto di una certa visione romantica, la vita sulla Frontiera era fatta soprattutto di monotonia e duro lavoro.

Uno di questi storici, Roger McGrath, dopo aver setacciato una gran quantità di archivi, giornali e testimonianze riguardanti alcune tra le più turbolente cittadine della Frontiera ai tempi della corsa all’oro, è arrivato alla conclusione che “certe nozioni tanto diffuse sulla violenza e la mancanza di leggi e giustizia nel Vecchio West non sono altro che un mito”, dimostrando dati alla mano (nel libro Gunfighters, Highwaymen, and Vigilantes, University of California Press, 1984) che statisticamente nell’Ovest la violenza era meno diffusa non solo in confronto alle grandi città dell’Est, ma anche rispetto all’America attuale!
[…]
La verità è che nelle terre dell’Ovest, malgrado l’assenza di un governo statale, non c’era affatto anarchia o assenza di leggi. Al contrario, i coloni si sentivano portatori di antiche consuetudini di libertà: le stesse che i rivoluzionari americani avevano rivendicato contro l’assolutismo “moderno” del re inglese, cioè i diritti ereditati dalla Common Law e le istituzioni d’autogoverno di origine medievale, che venivano trapiantate nelle comunità di frontiera.
Lo stesso Frederick Jackson Turner, autore della più celebre analisi della Frontiera come momento fondativo del carattere americano (The Frontier in American Hustory, 1893), ricorda che nel West persisteva l’eredità europea, e che la storia americana andava intesa come uno sviluppo della storia d’Europa nelle condizioni nuove del Nuovo Mondo.

Per Turner i pionieri che colonizzarono l’Ovest erano degli “idealisti sociali”, che fondavano le loro aspirazioni sulla fiducia nell’uomo comune e sulla prontezza a venire ad accordi, senza l’intervento di un despota paternalistico o di una classe che esercitasse il controllo su di loro.
Ciò che rimaneva più impresso a tutti i primi viaggiatori europei negli Stati Uniti, dal celebre Alexis de Tocqueville al meno noto conte piemontese Carlo Vidua, autore di osservazioni acutissime sulla società americana dei primi decenni del XIX secolo, era proprio la capacità degli americani di risolvere ogni genere di problema attraverso l’associazione volontaria, unendosi per un fine comune (l’abbattimento di tronchi, la costruzione delle dimore, le opere caritatevoli, i raduni, l’organizzazione dei campi minerari, la mutua protezione e mille altre cose) senza l’intervento di istituzioni statali.

Articolo completo: La storia del west, tra mito e dura realtà

1 Marzo 2011

Il flusso del potere - flash back

For a hill men would kill, why? they do not know

Si tratta qui brevemente di una scoperta essenziale del generale Marshall sul comportamento dei soldati in guerra, una scoperta che dovrebbe indurci a rivedere la concezione che dell’essere umano ci hanno portato ad avere a seguito di anni di indottrinamento.
L’articolo originale, in inglese, da cui sono tratte le citazioni iniziali è Twilight of the Psychopaths, del dottor Kevin Barrett.

IL SEGRETO DELLA GUERRA

 

Nel suo libro “On Killing” Dave Grossman ha riscritto la storia militare, mettendo in evidenza quello che le altre storie nascondono: il fatto che la scienza militare si occupa meno di strategia e tecnologia, piuttosto che scoprire il modo di far superare l’istintiva riluttanza degli uomini ad uccidere membri della loro specie.
La vera “rivoluzione negli affari militari” non fu la spinta di Donald Rumsfield verso l’alta tecnologia nel 2001, ma la scoperta nel 1941 del generale Marshall che solo il 15-20% dei soldati della seconda guerra mondiale in prima linea avrebbero usato le loro armi: coloro (l’80-85%) che non sparavano non fuggivano e non si nascondevano (in molti casi correvano enormi rischi per salvare i compagni), ma semplicemente non usavano le loro armi contro il nemico, nemmeno quando affrontavano attacchi banzai.

La scoperta di Marshall, e le ricerche conseguenti, dimostrarono che in tutte le guerre precedenti, una piccola minoranza di soldati – il 5% che sono psicopatici naturali, e probabilmente una piccola minoranza di imitatori temporaneamente  insani – furono responsabili di quasi tutte le uccisioni.
Le persone normali si ritrovano semplicemente dentro il movimento, fanno il possibile per evitare di togliere la vita al nemico, anche quando questo implica la perdita della propria vita.
Le guerre sono massacri ritualizzati fatti da psicopatici contro non psicopatici.

Lo studio del generale Marshall ha una importanza fondamentale, e se compreso in fondo rivoluziona totalmente la concezione dell’essere umano che da sempre ci viene propagandata.
Nei libri di storia le guerre sono descritte come inevitabili conseguenze di una serie di fattori, scontri in cui gli eserciti nemici si affrontano nel tentativo di eliminare l’avversario.
E viene fatto credere che la guerra, il massacro, sono insiti nell’essere umano. Questo è falso, decisamente falso.
E chi detiene il potere, e i vertici militari, lo sanno molto bene.
Come afferma il colonnello Grossman, le scienze militari si occupano essenzialmente di scoprire il modo per far superare al soldato medio la naturale riluttanza nell’uccidere un altro essere umano.
Perchè la maggioranza degli esseri umani, con tutte le loro miserie e i loro difetti, preferisce il quieto vivere e la tranquillità alle guerre.
Ed ogni qualvolta i grandi poteri decidono per una guerra, devono spendere molte energie per far superare questo blocco istintivo a quelli che diverranno i soldati da sacrificare sul tavolo dei loro piani.

Le guerre di massa come è noto sono fenomeni moderni; in passato, in epoca pre-moderna, la guerra era affare di una piccola parte della società.
Dall’antichità dei guerrieri, passando per i nobili medioevali e per gli eserciti mercenari guerra significava lo scontro fra due eserciti composti da persone che non si dedicavano ad altro nella vita, se non combattere e prepararsi a farlo.
La prima Guerra Mondiale fu la prima che coinvolse i grandi strati della popolazione europea, e ci vollero decenni di propaganda romantica che esaltava il sacrifico e l’amor di patria per diffondere quello stato d’animo necessario a far partire milioni di giovani lanciati verso il massacro.
Quei giovani capirono presto che la guerra non aveva nulla di eroico e di romantico, come era stato loro raccontato, ma ormai era tardi.

Una minoranza di psicopatici in qualche modo riesce sempre a fare in modo che la grande maggioranza sia convinta, costretta, ad andare contro il proprio naturale istinto pacifico e partecipare a questi massacri.

si veda anche:

28 Febbraio 2011

Non si spiega altrimenti


Lei è Cara Dillon cantante folk irlandese molto apprezzata in Gran Bretagna, seppur da un pubblico “di nicchia”.
Ascoltate il suo canto, e poi pensate a Lady Gaga, ed al fatto che sia Lady Gaga, e non Cara Dillon, a vendere decine di milioni di dischi in giro per il mondo.
E poi ditemi che non c’è una cospirazione, dietro tutto questo.

27 Febbraio 2011

Il flusso del potere - Prologo

 

Si immagini una proposta folle.
Una persona, non meglio identificata, offre una considerevole quantità di denaro –decine di milioni di euro – accompagnata dalla promessa di esaudire le proprie più grandi ambizioni: fama, successo, il raggiungimento di alte cariche di potere.
Tutto questo a patto di portare a compimento una missione: l’uccisione, per mezzo di un coltello, di tredici bambini di tredici mesi di età, raccolti all’interno di una stanza ben illuminata, dalle pareti bianche.
Vi è inoltre l’assoluta garanzia che nessuno verrà mai a conoscenza del gesto commesso, ad esclusione del committente stesso.

Come reagirebbe un essere umano di fronte ad una proposta simile?
Sicuramente vi sarebbero diverse reazioni.
Una buona parte delle persone, la maggioranza relativa, rifiuterebbe immediatamente con il massimo sdegno ed orrore l’idea di compiere un atto tanto efferato, quale che sia la ricompensa.
Un’altra considerevole percentuale invece resterebbe disorientata, rifletterebbe brevemente sui benefici ma in seguito rifiuterebbe, considerando il rito da compiere brutale e disumano.
Vi sarebbe poi una parte di persone che dopo lunga riflessione accetterebbe, ma giunta sul posto, col coltello in mano, non avrebbe la forza di procedere.
Un’altra parte ancora rifletterebbe a lungo sulla proposta, accetterebbe e porterebbe a termine il proprio compito, in uno stato di terribile turbamento, tormentandosi per la scelta fatta per il resto della propria vita.

Infine, vi sarebbe una piccola percentuale di persone che accetterebbe senza eccessive riflessioni, e finirebbe il lavoro senza problemi e senza ripensamenti.
Si tratta di coloro che la psicologia moderna chiama psicopatici, e il sapere tradizionale “uomini privi di anima”.
Molti di loro hanno dato in passato, e tuttora danno, un grande contributo nel delineare le sorti del nostro mondo.


La proposta riportata appare per la maggioranza delle persone oltremodo brutale, e molti sicuramente proveranno un forte malessere al solo immaginare l’azione.
Questo succede perché siamo esseri umani,  e possediamo una coscienza, per quanto tale concetto e la sua reale essenza siano oggetto di discussione da millenni a questa parte; ma qualunque sia la sua natura e la definizione che ciascuno vorrà darle, la maggior parte degli uomini possiede la capacità di definire “a priori” un certo tipo di azioni “malvagie”, senza bisogno di far ricorso a delle argomentazioni logiche e senza dover dare spiegazioni dettagliate.
Alcune azioni sono malvagie, e basta.

Ovviamente nel corso dei secoli anche gli standard morali possono variare, e il motivo per cui ciò avviene rappresenta un argomento che occorrerà approfondire.
Nonostante questo, e per quanto sia largo il margine in cui tali concetti sono differentemente percepiti, gli uomini posseggono la concezione del giusto e dello sbagliato.
Quasi tutti gli uomini, come si diceva in precedenza.

Ritornando quindi alla infame proposta descritta all’inizio, si è sostenuto che una piccola percentuale di persone porterebbe a termine il compito senza troppe difficoltà.
Queste persone, che la psicologia moderna descrive come psicopatici, agiscono seguendo una forma mentis strutturalmente diversa rispetto a quella degli altri uomini.
L’uomo comune, con tutte le sue debolezze e le sue piccole e grandi meschinità, nel valutare diverse opzioni utilizza in primis lo schema giusto-sbagliato e nel momento di effettuare una scelta queste sono le prime categorie con cui si confronta; ovviamente, questo non impedisce che la scelta possa ricadere anche sulla possibilità valutata nel profondo come “sbagliata”, ma questa preferenza sarà accompagnata da sentimenti di rimorso e da sensi di colpa, di entità grande oppure trascurabile.

Lo psicopatico si distingue in quanto incapace di provare questi sentimenti: dinnanzi ad una scelta il suo pensiero non ragiona seguendo le categorie di “giusto” o “sbagliato”, concetti a lui del tutto sconosciuti, ma analizza ogni situazione in base alla convenienza: non “bene” e “male”, quindi, ma “utile” e “dannoso”.
Il dubbio dello psicopatico si concentra esclusivamente sulla utilità di una azione: se porta benefici sarà compiuta, altrimenti se ne asterrà.
Nel nostro caso, secondo tale schema mentale, l’azione da compiere – l’uccisione dei bambini – porta esclusivamente benefici, dal momento che chi commette il gesto non rischia di venire scoperto e punito.

Se le persone comuni rimangono spesso disorientate dinanzi a criminali che commettono efferati delitti è proprio perché non facilmente possono immaginare che vi siano uomini che hanno una forma mentale totalmente diversa dalla loro, uomini che in apparenza non si distinguono in nulla dai loro simili e che è difficile individuare tra coloro che ci circondano.

E’ noto, ad esempio, di come la polizia americana utilizzava in passato una sorta di test per scoprire se determinati sospetti possedessero questa “mentalità criminale” di stampo psicopatico.
Al  “candidato” veniva proposto di risolvere un particolare quesito, formulato come segue:

al funerale della madre, una donna nota un uomo che non aveva mai visto prima, e ne rimane notevolmente attratta; dopo alcuni giorni, quella donna uccide la propria sorella.
Perché l’ha fatto?

(chi non conoscesse questo test, prima di procedere con la lettura dell’articolo può provare a riflettere sulla soluzione)


La maggior parte delle persone non è in grado di fornire la risposta corretta, mentre la quasi totalità degli psicopatici risolve il quesito senza difficoltà.
La risposta giusta è infatti la seguente: la donna uccide la sorella perché così al suo funerale avrà molte probabilità di rincontrare l’uomo che l’aveva affascinata.
Una persona comune non riesce a risolvere il test perché difficilmente immagina che una donna possa arrivare a compiere un gesto così tremendo per un motivo così futile, con lucida premeditazione.
Lo psicopatico, al contrario, ragionando secondo un semplice schema di utilità, comprende immediatamente le motivazioni della donna: se ogni questione di carattere morale è infatti accantonata, l’agire della donna risulta perfettamente logico.
Vi è un problema da risolvere (la donna vuole rivedere un uomo di cui non sa nulla) e la soluzione più facile è fare in modo che ci sia un altro funerale in cui egli possa partecipare: essendosi presentato al rito funebre della madre aveva dimostrato infatti di avere un qualche legame con la famiglia, e di conseguenza avrebbe partecipato anche a quello della sorella.

Lo studio della forma mentis degli  psicopatici possiede un interesse “antropologico”, ovviamente, ma quello che è ancora più importante è il comprendere cosa succeda quando una persona simile arriva a detenere un posto di potere, e comprendere come la psicopatia come condizione rappresenti un grande vantaggio per il raggiungimento di questo obiettivo; è infine importante riflettere sul modo con cui lo psicopatico diviene in grado, una volta salito in alto nella gerarchia sociale, di influenzare il sentire comune trasmettendo la sua distorta percezione delle relazioni umane.

Un celebre caso di “teoria psicopatica applicata” potrebbe essere, per fare un esempio concreto,  il Principe di Niccolò Machiavelli: in esso, una sorta di guida per il signore rinascimentale, non si trova alcun riferimento ai concetti di “giusto” o “sbagliato”, e le azioni non vengono mai valutate secondo criteri di “moralità”.
Vi è un fine, il potere che il principe deve mantenere a tutti i costi, e guerre e stermini ed ogni genere di atrocità vengono valutati solamente in base all’utilità che dimostreranno nel permettere il raggiungimento di quel fine.
Machiavelli rappresenta un esempio paradigmatico di psicopatia, e quello su cui occorre soffermarsi, quello che bisogna scoprire, sono le motivazioni che hanno portato nel tempo la forma mentis degli psicopatici a prevalere su quella della maggioranza, influenzando con il loro esempio la grande massa del popolo “ricettore”.
Quando si è completato, tale processo, e come è potuto succedere?

continua

24 Febbraio 2011

Il flusso del potere

Esecuzione di Luigi XVI

parte prima
Sacerdoti guerrieri e mercanti

Nell’epoca propriamente detta “storica” (all’incirca dal 500 avanti Cristo fino ai giorni nostri) le società umane stanziali si sono caratterizzate per la divisione dei compiti all’interno della comunità e il conseguente emergere di classi sociali.
Lo storico delle religioni George Dumezil sostenne di aver individuato nella struttura delle antiche popolazioni indoeuropee una chiara divisione tripartita: vi erano fondamentalmente tre gruppi sociali, tre classi, sintetizzabili nella figura del sacerdote, in quella del guerriero ed in quella del servo-contadino-lavoratore.
La classe sacerdotale deteneva il potere spirituale e legislativo, i guerrieri si dedicavano alla difesa della comunità mentre la massa dei lavoratori curava i raccolti e l’allevamento, nonché l’artigianato, e manteneva col suo lavoro la società nel suo intero.

Alla concezione della società tripartita teorizzata da Dumezil si affianca tuttavia quella quadripartita, che aggiunge alle tre classi (o meglio caste) sopra menzionate una quarta, quella dei mercanti.
I mercanti (nell’ottocento si sarebbero detti “borghesi”, mentre oggi vengono meglio definiti col termine di “finanzieri”, “banchieri”, “imprenditori”) si differenziano dai guerrieri e dai sacerdoti dal momento che non combattono e nemmeno si occupano di questioni spirituali, mentre si discostano dai servitori-lavoratori poiché non svolgono alcun lavoro manuale.
La classe dei mercanti assunse una grande importanza nell’epoca classica – più nel mondo romano che in quello greco, dal momento che in quest’ultimo i mercanti-commercianti erano considerati individui che svolgevano un’attività poco onorevole – e finì quasi per eclissarsi durante la prima parte dell’evo di mezzo.

Ma nei secoli che seguirono questa casta era destinata a prendere il sopravvento sulle altre, a partire dalla lenta ma costante ripresa del commercio nel XII secolo, passando dal sempre maggior potere acquisito dalle grandi famiglie di banchieri italiani e tedeschi per culminare simbolicamente nella rivoluzione francese e nel trionfo della borghesia.

Secondo gli studi tradizionali nelle prime comunità stanziali la casta dei sacerdoti fu quella che deteneva le chiavi del potere decisionale, organizzando le attività dei guerrieri e dei servi.
In un secondo momento la casta dei guerrieri divenne predominante e relegò i sacerdoti ad un ruolo secondario.
Questo passaggio venne simbolicamente narrato in diversi miti, il principale dei quali è rappresentato dalla caccia al Cinghiale Calidonio; in questo mito dei principi guerrieri organizzano una caccia per stanare ed uccidere il celebre cinghiale, simbolo del potere spirituale dei sacerdoti: il significato dell’azione risulta quindi chiaro, così come il passaggio di cui narra.

Occorre anche ricordare che per millenni, e fino al XV-XVI secolo, la casta dei guerrieri coincideva con la nobiltà aristocratica.
L’aristocrazia, con i suoi re e i suoi principi, traeva la sua “legittimità” al potere dai propri “meriti” guerrieri.
Nobili e combattenti erano un tutt’uno, ed ancora nei secoli del medioevo la guerra fu quasi esclusivo appannaggio dei nobili, un’aristocrazia che passava la vita ad allenarsi alle arti belliche e a partecipare ad interminabili campagne militari: re, principi e nobili vari partecipavano in prima persona alle battaglie, spesso lasciandoci le penne, giustificando così, in qualche modo, i propri privilegi.
L’epoca monarchica, l’epoca delle dinastie reali e dei nobili casati, coincide dal punto di vista metastorico con il predominio della seconda casta, quella dei guerrieri, su tutte le altre.

Questa epoca, sempre da un punto di vista simbolico e metastorico, ebbe fine con la rivoluzione francese, nel momento in cui la casta dei nobili, che aveva da tempo rinunciato alla propria vocazione guerriera, venne decimata e sostituita dalla borghesia, ovvero dalla terza casta, quella dei mercanti.
Il processo ebbe termine con la fine della prima guerra mondiale e il crollo di tutti gli imperi e le monarchie tradizionali europei.
Iniziò così l’epoca delle repubbliche, un’epoca in cui il potere venne esercitato da una nuova “nobiltà”, questa volta finanziaria, una nobiltà non più fondata sul sangue, ma direttamente legittimata dal denaro.

Forse un giorno vi sarà un mito in cui si narrerà della rivolta dei banchieri, l’epoca in cui la casta dei mercanti spodestò quella dei guerrieri, o forse sarà la stessa storia della rivoluzione francese a trasformarsi in questo mito, comprensibile, dal punto di vista metastorico, da chiunque possegga ancora le chiavi di lettura adatte per poterlo fare.

continua