Una legge per il leone e il bue è oppressione
William Blake
La dissonanza cognitiva […] riguarda un atteggiamento molto usuale tra noi umani che spesso mettiamo in atto inconsapevolmente o non volendocene rendere conto per comodità, convenienza o perché si tratta di situazioni di cui non riusciamo a fare a meno.
Tale teoria è basata sull’assunto che un individuo mira normalmente alla coerenza con se stesso, o per lo meno ci prova e ci riesce in quasi tutte le cose che fa, vi sono però delle situazioni in cui il soggetto stesso cade in contraddizione con quello che asserisce.
Quando i pensieri, le emozioni o il comportamento entrano in conflitto tra loro l’individuo prova disagio e tende a eliminare quelli in contraddizione inventandosi delle scuse, delle teorie, degli assunti che ritiene veritieri ma che in realtà sono il frutto della sua capacità creativa per non ammettere di essersi sbagliato e contraddetto.
Dissonanza cognitiva: rapporto di incongruenza tra atteggiamenti cognitivi dell’individuo (conoscenza, opinione ecc.) ed elementi dell’ambiente esterno; essa è percepita come spiacevole dall’individuo, che è spinto a ridurla.
Gran parte di quello che siamo e di quello che pensiamo, di quello in cui crediamo e dei nostri valori, è irrimediabilmente frutto dell’ambiente in cui ci siamo trovati a nascere, della cultura che abbiamo ereditato e degli insegnamenti che abbiamo appreso fin dalla più tenera età.
Molte delle verità che diamo per scontate, incontestabili, sono in realtà concezioni che abbiamo ereditato, e che i nostri avi si trasmettevano di generazione in generazione per migliaia di anni.
Così anche il nostro occidente* usa quali concetti chiave per descrivere la propria civiltà idee quali l’egualitarismo, la cooperazione, la fratellanza, la generosità, il coraggio, la sincerità, l’onore, la compassione, la giustizia.
Che siano mera retorica o raffinata ipocrisia, tali qualità sono nondimeno considerate nobili a priori, su di esse si fondano il diritto contemporaneo e tutte le nostre istituzioni.
Nondimeno, risulta evidente anche ai più ingenui che vi è una totale dicotomia tra i valori fondanti della società occidentale e il modo in cui essa opera, ed ha operato, nei secoli.
La nostra economia si fonda sulla prevaricazione, la furbizia seppur condannata viene dietro le quinte considerata un pregio essenziale per la sopravvivenza quotidiana, e per quanto concerne le istituzioni e i sistemi di governo che hanno guidato i popoli, le guerre e le prevaricazioni sono state la norma nei secoli.
Sarebbe fin troppo semplice spiegare tale dicotomia quale mera espressione della natura ipocrita degli esseri umani.
L’ipocrisia in sé non è necessaria, né è necessario celare in maniera così plateale la propria vera essenza, per un essere umano così come per una società intera.
Si potrebbe anche sostenere, correttamente, che spinte diverse agitano e guidano l’anima di ogni uomo: bene e male, volontà di prevaricazione ed empatia, aggressività e compassione abitano in ognuno di noi.
Questo è indiscutibile, ma è altrettanto vero che ogni epoca, ogni ambiente, ogni società, trasmette degli stati d’animo, indica delle priorità, stabilisce una scala di valori (valori che possono variare nel tempo), e l’essere umano assorbe tali stimoli e ne fa nutrimento per le sue varie componenti.
Alla fine in ogni uomo emerge la parte di sé che maggiormente viene nutrita, alimentata, e per la grande maggioranza degli esseri umani l’aria che si respira contribuisce in maniera decisiva per far prevalere questa o quella componente.
E nella nostra epoca in particolare vi sono due morali nettamente distinte che coesistono, e si diffondono, una in maniera aperta, la seconda in modo subdolo, non ufficiale.
Ed è quest’ultima a dettare effettivamente il corso della storia.
Uno dei motivi quindi per cui tale dicotomia – la discrepanza tra i valori propagandati e quelli che invece vengono attuati – si è verificata va ricercato agli albori della nostra civiltà, qualche migliaio di anni fa, nel momento in cui due culture diametralmente opposte si incontrarono nella vecchia Europa, si scontrarono, ed infine si fusero dando origine alla storia per come la conosciamo, ponendo le basi per la creazione della nostra mentalità, e del nostro modo di vivere nel mondo.
*il termine “occidente” va letto in chiave simbolica, per definire la cultura e la civiltà che si è sviluppata in Europa negli ultimi 7.000 anni ed in seguito si è diffusa nel resto del globo.
Il termine, pur impreciso ed approssimativo, verrà usato per sintetizzare il carattere della cultura di cui l’articolo si occupa.
Gli Indoeuropei arrivano in Europa, la nascita della nostra scala di valori.
Ci sono ancora molti aspetti oscuri per quanto riguarda la storia degli Indoeuropei, ma i fatti assodati ci offrono una visione sufficientemente chiara per poter avere una idea di base sul chi fossero e come agissero le popolazioni che sotto tale nome vengono raggruppate.
Di essi sappiamo che parlavano un idioma da cui sono derivate molte delle lingue diffuse oggi nel mondo: lingue di origine indoeuropea sono il latino e di conseguenza le lingue neo romanze (italiano,francese, spagnolo ecc), le lingue germaniche (tedesco, olandese, inglese…), il greco, l’iraniano e alcune lingue indiane.
Era un popolo che usava parole quali paeter, meter, da cui i nostri padre e madre, i greci pater e mitera, gli inglesi father e mother, e contava, sette mila anni fa, in un modo che sarebbe risultato familiare anche a noi: oinos, dwo, trjes, kwettwor, penqwe, sewks, septm, hocto, newn, dectm, e così via.
Si trattava quindi di un popolo capace di trasmettere la propria lingua e di diffonderla ai quattro lati del pianeta nei millenni a seguire, in grado di dare una impronta decisiva alla cultura e alla mentalità delle genti che andava via via assoggettando.
Gli indoeuropei sapevano come imporsi: furono un popolo guerriero, conquistatore; erano abili combattenti, usavano cavalli e armi, e onoravano le divinità del cielo.
Questi sono alcuni punti essenziali per iniziare a comprendere la mentalità e l’ideologia che gli indoeuropei portavano con loro.
Tenevano in massima considerazione il coraggio, la forza fisica, e nel loro schema di valori un uomo aveva il diritto di impossessarsi di quello che poteva prendere con la violenza.
Il diritto di conquista era una regola, la guerra un atto glorioso che definiva un uomo ed un popolo.
E’ di estrema importanza notare come l’ideologia di fondo dei popoli indoeuropei e il loro agire coincidevano perfettamente: non lodavano la pace né predicavano la tutela e il rispetto del debole; la forza fisica, l’abilità guerriera e la prevaricazione del meno potente erano in sé dei valori.
Gli indoeuropei quindi, con il loro spirito di conquista, si spostarono dalle steppe centro asiatiche (la loro originaria ubicazione è ancora oggetto di dibattito) e in diverse ondate arrivarono anche in Europa, a partire probabilmente dal 5.000 avanti Cristo e fino al II millennio prima dell’epoca storica.
Quando arrivarono nella vecchia Europa incontrarono delle popolazioni che vi abitavano da migliaia di anni, popoli che avevano sviluppato a loro volta una cultura avanzata con delle caratteristiche ben precise.
Anche di questi popoli arcaici sappiamo poco, ma gli indizi archeologici ci suggeriscono alcuni aspetti certi: si trattava di popoli sedentari che vivevano prevalentemente di agricoltura, possedevano ottime capacità nel lavorare la terracotta e producevano utensili di ottima fattura, in particolare vasi e contenitori; vivevano in villaggi e città di piccole-medie dimensioni, e i loro centri abitati erano privi di mura difensive.
E’ importante specificare che l’agricoltura praticata da queste popolazioni non era ancora quella che si sarebbe in seguito diffusa in maniera capillare: si trattava di un’agricoltura di “sussistenza”, in cui l’intervento dell’uomo nello sfruttare la terra in modo sistemico era limitato.
La raccolta dei frutti del terreno era complementare alla caccia e all’allevamento, e fatto essenziale non era ancora comparsa la presenza del “surplus”, ovvero il prodotto del suolo eccedente, adatto ad essere immagazzinato o ad essere scambiato con altri beni.
Tale surplus, che fa la sua comparsa proprio nelle culture agricole più sviluppate, è il fattore determinante che segnerà in seguito la divisione della società in classi, dal momento che l’organizzazione e lo sfruttamento delle eccedenze avrebbe permesso ad una elite di esentarsi dal lavoro manuale sfruttando quello dei coltivatori subordinati.
Non dovendo più occuparsi materialmente del proprio sostentamento, questa elite avrebbe potuto così dedicarsi alla gestione della società, creando istituzioni e leggi che ne garantissero i privilegi e mantenessero lo status quo, finché tale divisione tra sfruttati e sfruttatori non si fece “regola” e divenne consuetudine, fino ad essere assorbita ed accettata dalla società quale “stato naturale delle cose”.
I popoli di questa Europa antica non erano nemmeno specializzati nella costruzione di armi, d cui si può dedurre che si trattasse di popoli sostanzialmente pacifici.
Seppellivano i loro morti e le tombe non mostravano differenze sostanziali per quanto riguarda gli oggetti che accompagnavano i vari defunti: da ciò si è dedotto che non esistevano grandi differenze di status sociale tra gli abitanti, e si trattava quindi di società probabilmente egualitarie.
La loro religione era incentrata sul culto delle divinità ctonie, terrene, e ciò è ovviamente coerente con il fatto che la terra stessa fosse la fonte primaria del loro sostentamento.
I culti che si rifacevano alla fertilità della terra e alla morte e rinascita della natura degli esseri viventi avevano una importanza primaria, così come la figura della Grande Dea Madre che sintetizzava la visione del creato che questi popoli avevano sviluppato.
Basandosi su questi fatti, alcuni autori si sono spinti ad ipotizzare nella vecchia Europa pre-indoeuropea una sorta di età dell’oro di stampo matriarcale, dove attorno al culto della Madre Terra si era sviluppata una società pacifica e priva di contrasti, dove la violenza e la prevaricazione, pur inevitabilmente presenti, erano stigmatizzate e bandite.
Per quanto tali considerazioni possano facilmente dare vita ad eccessive idealizzazioni (vari movimenti di stampo femminista ad esempio hanno voluto vedere in quelle arcaiche società una sorta di eden fondato su una struttura matriarcale, spazzato via dalla violenza del patriarcato dei popoli invasori), resta indubbio che le evidenze giunte a noi descrivono comunque una cultura di stampo prevalentemente pacifico ed egualitario, che onorava nei suoi culti la Terra quale dispensatrice della vita stessa dal momento che da essa e dai suoi frutti traeva il proprio sostentamento.
Ecco quindi che quando i popoli indoeuropei giunsero nella vecchia Europa e vennero a contatto con queste popolazioni l’esito dello scontro era già scritto: una cultura guerriera e bellicosa ha infatti gioco facile nel soggiogare delle genti che conducono una vita prevalentemente pacifica, prive di armi.
Gli indoeuropei si imposero come nuovi dominatori, e dalla loro fusione con le genti autoctone ebbero origine i popoli storici che in seguito definirono il destino del nostro continente: celti, greci, germani, slavi, italici, iberi…
Questa “fusione” avvenne in modalità diverse, a seconda delle circostanze.
Vi furono casi in cui i conquistatori soggiogarono completamente i popoli autoctoni, mantenendo per sé il ruolo di classe egemone e relegando gli altri al ruolo di schiavi/servi, come presumibilmente fecero gli antichi spartani quando divisero la società in classi nettamente distinte, riservando per sé l’arte del governo e della guerra e confinando gli iloti al compito di schiavi-coltivatori.
In altri casi la fusione avvenne in maniera più graduale e la società che ne derivò risultò un amalgama tra la cultura dei vincitori e dei vinti.
Questo secondo caso fu quello che prevalse nel corso della storia, ed è quello che propriamente dette origine alla nostra civiltà.
Occorre a questo punto considerare un aspetto fondamentale: quando una cultura guerriera intraprende delle campagne militari, davanti a sé apre due distinte possibilità, il saccheggio e la conquista permanente del suolo.
Nel saccheggio un determinato territorio viene assalito, ci si appropria con la violenza dei beni che può offrire e ci si muove oltre.
In un’operazione di questo tipo lo sterminio delle popolazioni locali che si oppongono all’incursione non rappresenta un problema, così come il fare “terra bruciata” alle proprie spalle quando l’operazione è conclusa.
Quando invece, ed è il caso di cui stiamo trattando, una conquista vuole essere definitiva, con conseguente occupazione del suolo, la popolazione assalitrice una volta preso il controllo del territorio deve scendere a compromessi con gli sconfitti.
Anche mantenendo per sé infatti il ruolo egemone, c’è bisogno di persone adatte a procurare il sostentamento e le materie prime per la sopravvivenza della classe egemone.
In altre parole, se tutti gli sconfitti venissero eliminati, non resterebbe più nessuno disponibile a servire i nuovi padroni.
Sorgono quindi delle problematiche nuove: la vita degli sconfitti va preservata, e occorre anche fare in modo che essi siano disponibili a lavorare per i vincitori.
Un metodo possibile per ottenere tale obiettivo è quello utilizzato dagli spartani, ovvero il separare nettamente la società in classi e mantenere in stato di schiavitù i vinti.
Ma tale sistema risulta alla lunga fragile, ed i conquistatori, essendo sempre una piccola minoranza all’interno della nuova società formatasi, non potranno mai governare con totale sicurezza: le rivolte dettate dal malcontento dei soggiogati saranno sempre alle porte.
Il modello che invece ha alla lunga prevalso è stato quello della fusione graduale.
I vincitori hanno tenuto per sé il potere, formando l’aristocrazia, mentre i vinti sono stati inglobati all’interno di un sistema più morbido, dando loro anche la possibilità di partecipare attivamente, fino ad un certo punto, alla vita sociale della nuova realtà.
Col tempo poi le divisioni tra vinti e vincitori si sarebbero fatte sempre meno marcate, fino ad ottenere una società sempre composta da classi, ma in cui tale separazione sarebbe stata vissuta ormai come un dato di fato, come fosse “il corso naturale delle cose”.
In questo preciso momento storico, quello della fusione, trova origine anche il bagaglio di valori che l’occidente si è poi trasmesso per generazioni.
I vincitori, infatti, con la loro ideologia della conquista e la loro esaltazione delle virtù virili e violente, vennero a contatto con l’ideologia dei vinti, i cui valori rispecchiavano il rispetto del creato, la venerazione della terra e dei suoi prodotti e di conseguenza una naturale predisposizione verso la fratellanza e il rispetto reciproco.
La stessa società indoeuropea era nettamente separata in tre caste: vi erano i sacerdoti, i guerrieri, e i servi, ovvero coloro che avevano il compito di produrre i beni necessari alla sopravvivenza della comunità.
La casta dei guerrieri diede origine in seguito alla classe aristocratica, mentre a partire dal tardo medioevo alla casta dei servi si aggiunse quella dei mercanti, da cui poi si sviluppò la borghesia della società moderna; la casta dei servi fu formata dalla grande massa di contadini, per millenni la grande maggioranza della popolazione, che aveva il compito di coltivare il suolo e fornire il primo nutrimento per tutta la società; prese infine il nome di “forza lavoro” e di proletariato nell’età contemporanea.
Come si può notare, la separazione della società in classi della cultura indoeuropea è stata da noi ereditata in pieno, tanto da risultare per tutto il corso della storia occidentale un semplice “dato di fatto”.
Le società della Europa antica al contrario non seguivano una ripartizione tanto rigida: vi era una certa separazione dei compiti, ma in un contesto molto più fluido, e soprattutto non risulta che vi fossero differenze di status tra i componenti delle comunità tali da dare vita a strutture sociali piramidali.
Le stesse religioni dei due popoli guardavano verso direzioni diverse: gli dei degli indoeuropei abitavano il cielo, con Zeus Pater, lo Juppiter romano, a capo del pantheon.
Erano divinità guerriere, iraconde, scagliavano fulmini e dominavano le tempeste.
Le divinità dei popoli dell’Europa arcaica erano invece ctonie, abitavano la terra, e come la Madre Terra accoglievano nel loro grembo le creature.
Erano materne e offrivano sostentamento, e possedevano anche aspetti oscuri e terribili, dal momento che incarnavano l’essenza del femminile (questi aspetti oscuri inquietarono non poco i popoli conquistatori: la potenza celata e terrificante della Dea Madre appariva molto più spaventosa dell’ira guerriera delle divinità celesti).
Ne nacque un universo religioso del tutto nuovo, in cui nel pantheon celeste entrarono ora a far parte anche divinità femminili e protettrici, e accanto al culto degli dei guerrieri e degli eroi sopravvissero e prosperarono i culti misterici femminili e ctoni.
E la classe dirigente da allora dovette sviluppare anche un nuovo universo immaginale, un nuovo racconto ideologico ed una nuova scala di valori per mantenere in equilibrio la nuova società che ora si era formata.
Il guerriero indoeuropeo poteva infatti condurre la sua esistenza di conquistatore esaltando la violenza e le virtù guerriere, ma nel momento in cui divenne signore di popoli necessari al suo sostentamento dovette dare una nuova forma espressiva ai valori che gli sono propri.
Il coraggio e la forza rimasero sempre delle virtù indiscutibili, ma la violenza veniva ora giustificata solamente nei confronti delle popolazioni nemiche, e in altri casi particolari.
La nuova classe dirigente dovette mantenere l’ordine civile; di conseguenza concetti quali solidarietà, fratellanza, rispetto reciproco furono opportunamente sfruttati, approfittando del fatto che essi già facevano parte del bagaglio culturale degli sconfitti.
Tutto il complesso monumentale delle leggi, del diritto occidentale, non nasce come atto di spontanea benevolenza dei governanti nei confronti dei sudditi, ma come operazione necessaria per mantenere un ordine tra la massa degli sfruttati: la classe dirigente aveva infatti bisogno dei beni che i contadini e gli artigiani fornivano, e affinché questi ultimi potessero continuare ad essere produttivi necessitavano anche di agire in un contesto sufficientemente “sicuro”.
Si mise nero su bianco, da quel momento in poi, che la prevaricazione dell’uomo sull’uomo non era più accettabile; in realtà, la classe dominante non fece altro che assicurare tale prerogativa per se stessa.
E’ in questo momento che nasce la dicotomia tra azione e pensiero dell’occidente: mentre il guerriero indoeuropeo esaltava la guerra e la violenza e le praticava, e il contadino europeo credeva nella pace e viveva di conseguenza (e c’era quindi coerenza tra i valori predicati e la loro attuazione ) la nuova classe dirigente predica d’ora in poi le virtù dei vinti mentre continua ad agire secondo la propria scala di valori.
Si predica la fratellanza ma si sfruttano gli sconfitti, si esalta la pace ma si continuano a preparare le guerre.
Ha inizio la dissonanza cognitiva dell’occidente.
Da quel momento in poi nel corso della storia i due sistemi di valori si sarebbero sovrapposti in maniera precaria.
Tutta la civiltà europea ed occidentale si sarebbe sviluppata facendo propria a parole, nelle sue istituzioni e nei suoi componimenti, la morale degli sconfitti.
La bontà d’animo, la fratellanza e la pace sarebbero state ovunque osannate, lodate, indicate come obiettivo supremo che la civiltà stessa si pone.
Nello stesso momento, nell’atto di agire, ogni civiltà storica avrebbe fatta propria la concezione guerriera, laddove la guerra e la conquista rappresentavano un modo “lecito” per appropriarsi delle risorse altrui.
Morale dei servi, morale dei signori.
Diciamocelo francamente, come sino a oggi ogni civiltà superiore è cominciata sulla terra!
Uomini con un’indole ancora naturale, barbari in ogni terribile significato della parola, uomini da preda ancora in possesso di non infrante energie volitive e bramosie di potenza, si gettarono su razze più deboli, più ben costumate, più pacifiche, forse dedite al commercio o alla pastorizia, o su antiche civiltà marcescenti, in cui appunto l’ultima forza vitale fiammeggiava in rutilanti fuochi artificiali d’intelligenza e di pervertimento.
La classe aristocratica è stata sempre, in principio, la casta barbarica: la sua preponderanza non stava in primo luogo nella forza fisica, ma in quella psichica, – erano gli uomini piú interi (la qual cosa, a ogni grado, significa anche lo stesso che “bestia piú intera”).
F. Nietzsche, Al di là del bene e del male.
Friedrick Nietzsche fu tra i primi ad individuare tale dicotomia nella società occidentale: nei suoi scritti chiama questi due sistemi morali “morale del signore” e “morale del servo”.
Mentre la prima, tipica dei guerrieri e degli uomini liberi, esalta la forza, la nobiltà, la spregiudicatezza e determina il valore di una azione in base al suo risultato, la seconda, tipica dei “deboli”, predica invece la bontà, la compassione, l’amicizia, e si confà a coloro che non hanno la forza necessaria per agire e covano rancore nei confronti dei potenti.
Nietzsche sosteneva che fosse il cristianesimo, e prima ancora l’ebraismo, il vero colpevole della diffusione della morale dei servi in occidente, e predicava un ritorno alla celebrazione della spinta vitale e della forza d’animo degna degli “spiriti liberi”.
In realtà, quella che Nietzsche chiamava con intento dispregiativo morale dei servi era un sentire diffuso nel nostro continente molto ben prima dell’arrivo delle religioni abramitiche.
Occorre qui fare una doverosa precisazione: si possono considerare le scale dei valori dei popoli in base a due criteri.
Il primo criterio è quello della propria coscienza personale, quella che ci suggerisce cosa sia “giusto” o “sbagliato” a priori.
L’altro criterio è quello della coerenza.
Un popolo guerriero che considera la forza fisica una virtù, e la soppressione del più debole quale legge naturale, nel momento in cui attua la guerra e la conquista si comporta in maniera coerente con il suo pensiero.
Il vero problema della società occidentale contemporanea è che non esiste coerenza tra lo schema di valori che diciamo di seguire e il modo di agire del sistema che abbiamo costruito.
La retorica occidentale, democratica, egualitaria, solidale, compassionevole, è in netto contrasto con una società strutturata invece sul prevalere continuo sul prossimo.
Dal singolo essere umano, che deve calpestare gli altri per farsi strada nella società, agli stati stessi, che onorano la pace e la fratellanza e praticano incessantemente guerre di conquista, militari ed economiche.
L’occidente è schizofrenico, e la dicotomia tra retorica e prassi rappresenta la vera malattia che corrode gli uomini e la società dall’interno.
I segnali che giungono e che formano la nostra ideologia sono sempre più contrastanti: la bontà e la generosità vengono apertamente lodate quali virtù, mentre in privato si dileggiano e si indicano quale sintomo di debolezza.
La furbizia e l’arte dell’inganno vengono stigmatizzate a parole, mentre si coltivano alacremente dietro le quinte.
Nel suo profondo la nostra società porta ancora l’impronta dell’ideologia degli antichi indoeuropei: il più forte attua la conquista, la soppressione del più debole è ancora considerata espressione del corso naturale delle cose.
La maschera che indossa ha invece il volto pacifico della Dea Madre nella sua versione accogliente: si augura ogni bene al prossimo, si fa beneficenza, ci si commuove per i meno fortunati.
Queste due ideologie stanno alla base del nostro schema di valori, della nostra morale condivisa: si tratta di due ideologie contrapposte, che nei millenni l’occidente ha tentato di amalgamare.
Il risultato è una malattia di fondo irrefrenabile, perché il contrasto tra le parole e gli atti logora gli uomini così come la società.
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Letture consigliate
Francisco Villar, Gli indoeuropei e l’origine dell’Europa
Marija Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea
Iaroslav Lebedynsky, Gli Indoeuropei. Fatti, dibattiti, soluzioni
Georges Dumezil, Ideologie miti massacri : indoeuropei
Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni
Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni
Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno
Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’occidente. Manifesto dell’antimodernità
Friedrick Nietzsche, Genealogia della morale
Friedrick Nietzsche, Al di là del bene e del male
William Blake, Il matrimonio del cielo e dell’inferno
Analisi molto poco convincente. Il pensiero di Nietzche è inficiato da una parzialità sconcertante. Egli vede il mondo dal punto di vista di un Asura, ovvero di chi è dominato dall’egoismo e dalla volontà di potenza. Nella società indoeuropea le classi esistevano non perchè vi erano popoli sottomessi da soggiogare, ma perchè la classi, o varna, erano esistenti in natura, e consostevano nel fatto che gli esseri umani, come gli animali, non sono affatto tutti uguali, ma ciascun individuo ha particolari talenti e predilezioni. Chi è portato per la guerra, chi per lo studio, chi per il commercio, eccetera. La natura è costituita dalla diversità, infatti le specie animali sono diverse, specializzate e innumerevoli. La conquista e la guerra sono praticate dai guerrieri, tuttavia ciò non significa che tutti gli indoeuroperi fossero guerrieri. C’erano fra loro anche gli agricoltori, eccetera. L’originario concetto di casta non si basa sul dominio e sulla sopraffazione, ma sul rispetto delle caratteristiche innate e naturali del singolo. La sopraffazione deriva dal punto di vista invidioso e ambizioso degli asura, ed è tipico di chi ha il gruppo sanguigno 0. Sono questi che hanno trasformato il concetto di casta, che è pacifico e naturale, in una perversione culturale nata dalla violenza e volta alla propotenza. Peraltro, che il sottomesso provi rancore è nuovamente un punto di vista parziale: l’eccesso di energia dinamica che fomenta le azioni di chi sta subendo un sopruso è, in essenza, identico all’impeto saccheggiatore di un barbaro che conquista un villaggio. L’emozione è identica, ma siccome chi la descrive è un asura, che calibra ogni cosa in base a quanto potere qualcuno abbia, allora se la prova un guerriero diventa forza e coraggio, se la prova un sottomesso diventa rancore. Cambiando punto di vista, ovvero facendo finta di essere dei (celesti o ctoni, come vi pare), si riconosce che si tratta della stessa energia. Identica. Provata da persone diverse, ma essenzialmente la stessa. Quello che a mio parere provoca la dissonanza cognitiva dell’occidente non è la presenza di una casta di guerrieri, che è indispensabile e conforme all’ordine naturale, ma la natura asurica della sua cultura, cioè la profonda ignoranza della sua classe intellettuale, che anzichè essere composta da puri bramani capaci di interpretare la realtà mettendosi dal punto di vista degli dei (ampie vedute, non-ideologia, non parzialità, eccetera) è composta da guerrieri rinnegati e incapaci di pensare, perchè troppo impazienti di schierarsi e di governare la cultura seguendo le stesse regole della guerra. La dicotomia non sparirà finpo a che gli shudra, i vaishya e gli kshatrya non riconoscerano di essere degli idioti, e che gli unici a poter governare il mondo della conoscenza e della cultura sono i bramani, che a tutt’oggi in occidente non esistono. Solo un vero bramano può capire e quindi arrogarsi l’ambizione di spiegare alle altre caste per quale motivo esistono le caste, e la natura, e il cosmo intero. Non di certo Nietzsche, che era un asura e per giunta pure matto.
“Nella società indoeuropea le classi esistevano non perchè vi erano popoli sottomessi da soggiogare, ma perchè la classi, o varna, erano esistenti in natura, e consostevano nel fatto che gli esseri umani, come gli animali, non sono affatto tutti uguali, ma ciascun individuo ha particolari talenti e predilezioni.”
Se vogliamo portare il discorso ad un livello “tradizionale”, allora anche le caste in sè, lungi dal seguire il corso della natura, sono esse stesse un sintomo della degenerazione e della decadenza, prodotto necessario del Kali Yuga.
Nell’età dell’oro infatti non esistevano caste, e tutti gli uomini godevano di un naturale stato “braminico”.
Detto questo, naturali o meno, le caste non erano presenti in europa prima dell’arrivo degli indoeuropei, quindi sono tutt’altro che “espressione naturale” della diversità degli uomini.
Si potrebbe anche sostenere, seguendo il punto di vista tradizionale, che le società neolitiche, proprio perchè prive di caste, fossero più vicine spiritualmente a quella età dell’oro persa in epoche assai remote.
Gli uomini, poi, sono sì diversi gli uni dagli altri, ma il sistema delle caste presuppone che ognuno nasca già nella classe che le sue inclinazioni indicano.
Ci viene detto che una volta era così.
crederlo oggi significa non aver compreso cosa effettivamente il kali yuga implichi.
Il fatto è che invece accade proprio così: si nasce nella casta cui le proprie inclinazioni rinviano. Solo un bramano, che medita giorno e notte, può avere una chiara visione di questi fenomeni. Gli altri dovrebbero evitare di pontificare in questa materia, ed evitare di smontare con ipotesi infantili dati di fatto della realtà. Il non riconosceimento della naturalità e necessarietà delle caste provoca il caos e la mentalità comunista e asurica, la volontà di rivalsa e di potenza niciane. Naturalmente esistono persone che nascono in posizione di transizione, e vivono la vita tra una casta e l’altra. La loro è una condizione infelice, ma necessaria, perchè nel percorso della coscienza ci sono anche momenti in cui si passa da una casta all’altra.
Le caste esistevano in qualsiasi yuga, anche al tempo dei dinosauri. Ove c’è natura e diversità, e quindi c’è casta. Per eliminare le caste bisognerebbe uscire dal pianeta terra e dalla vita come qui si manifesta. Il problema del kali yuga non è la nascita delle caste, ma il fatto che grazie al mescolamento delle razze e alla perdita di contatto con il dharma, non esistono più persone di casta pura (sono scomparsi i veri bramani, i veri guerrieri, eccetera) e tutti siamo mediocri e incapaci. Questa incapacità ha fatto sì che il sistema delle caste venisse frainteso e male intepretato, in modo rigido e chiuso, e che personaggi come Niezsche ne ricostruissero l’origine in modi fantasiosi e lontani dalla realtà, atti solo a dimostrare la propria visione parziale del mondo.
Che un sistema di specializzazione e differenziazione delle persone e delle loro mansioni non fosse presente in Europa prima dell’arrivo degli indoeuroperi, non mi pare affatto dimostrato. Come non è dimostrato che il matriarcato fosse pacifico e sereno. Stando ai miti e a quanto rimane delle religioni antiche, era feroce anche più del patriarcato.
Se solo un bramano che medita giorno e notte su questi fenomeni può avere una chiara visione allora è inutile che ne parliamo noi qui.
Ma un bramano difficilmente userebbe il suo tempo per commentare un articolo che ha letto su internet.
In ogni caso conosco bene le argomentazioni di chi sostiene il fondamento tradizionale del sistema delle caste.
E ripeto, nel mondo di adesso, qui e ora, tali nostalgie non possono che essere deleterie.
Infatti io mica sono bramano. Però mi sono informata sulla tradizione vedica, dove si afferma che, contrariametne quanto afferma lei, nel Kali Yuga le caste verranno eliminate, e ne rimarrà soltanto una. Questo non sarà affatto un guadagno per l’umanità, come una sorta di ritorno ad un mondo paradisiaco, ma una degenerazione grave, dal momento che gli shudra (l’unica casta rimasta a causa del mescolamento delle razze) non saranno molto evoluti spiritualmente.
Non mi interessa affatto continuare a rimestare vecchie erronee interpretazioni e fallaci applicazioni del sistema delle caste. A questo ci pensa già il tempo e la storia. Mi preme tuttavia che chi si permette di scrivere in un blog di argomenti tanto ambiziosi non dica falsità.
La falsità consiste nel ritenere che il sistema delle caste sia una degenerazione e che si vivrebbe meglio se non ci fossero. Se non ci fossero le caste non ci sarebbe vita sulla terra. Quando tutti gli uomini saranno bramani, se mai accadrà, la specie umana si estinguerà perchè nessuno avrà più voglia di reincarnarsi come uomo, date le tribolazioni che questa specie porta con sè.
Auspicare la fine delle caste significa augurarsi niente di meno che l’estinzione della vita umana sulla terra. E’ una pensiero molto peggiore del nazismo o di altre aberrazioni passate, a mio vedere.
Oserei dire che si tratta di un pensiero satanico. Cioè massonico. Cioè di sinistra.
Cioè, il male.
E io ti ripeto che se ci si vuole attenere ad un discorso “tradizionale” allora si deve tenere conto che la nostra età è quella del kali Yuga, e si dovrebbe essere consapevoli che la presenza delle caste in tale epoca rappresenta una parodia del concetto stesso di differenziazione degli uomini per inclinazioni personali.
La storia umana degli ultimi 7 mila anni, quella che noi conosciamo, è storia di sopraffazione del forte sul più debole, mentre in teoria il sistema delle caste idealizzato è strutturato in modo che le caste al vertice trasmettano alle altre la loro influenza spirituale.
Sempre secondo la tradizione vedica, noi vivendo nel kali Yuga possiamo sperimentare solo una falsificazione nefasta di tale sistema.
Il punto di vista cristiano, inoltre, proprio di chi scrive, vede in Gesù Cristo la discesa di Dio nel mondo, l’incarnazione del Logos, evento unico che ha sancito definitivamente l’unione di tutto il genere umano in una unica “classe”, quella dei figli di Dio, in attesa della seconda venuta e della “fine dei nostri tempi”.
Davanti a tale Epifania ogni altra divisione primordiale viene a cadere.
Detto questo, i nostri punti di vista restano distanti.
Per me non è un problema, nè una novità.
A presto
Nimue ha gia’ fatto molte considerazioni giuste e assolutamente condivisibili. E non si piu’ comprendere il ruolo delle caste senza comprendere il VERO valore del sangue.
Presentare gli indoeuropei – ovvero Ariani… si, sono loro – come la causa della degenerazione europea e’ molto scorretto e assolutamente parziale. Sa tanto di qualche retaggio semita riafiorato (anima lunare).
Nell’articolo si parla di due sistemi di valori che nel momento della loro “fusione” hanno generato quella che avrebbe dato luogo ad una dissonanza cognitiva sociale.
Per il resto, se si vogliono tessere le lodi degli Ariani partendo da considerazioni basate sul sangue, ci sono molti siti nel web che se ne occupano.
A me questi discorsi annoiano assai.
Mi interessa la storia, e benchè riconosca che certe culture possano trasmettere degli ideali e degli stati d’animo, come scrivo anche all’articolo, non ritengo il “sangue” la causa di questo trasmettersi.
La Storia è una cosa. L’Interpretazione della storia è un’altra. Lei ha proposto un’interpretazione ideologica, cioè parziale, della storia. Per sostenere le sue tesi ha falsificato la tradizione vedica, che non ha mai auspicato l’eliminazione delle caste, ma le ritiene necessarie e naturali, e descrive le loro cancellazione come l’ultima e peggiore degenerazione, tale da condurre al Pralaya.
Non so cosa intenda Maksi per sangue. Ciò che conta nei Veda non è il sangue, ma il Varna, cioè il colore dell’anima, o della personalità. Nella cultura indù la tradizione lunare e quella solare non sono incompatibili, ma complementari e capaci di coesistere in un sistema filosofico-religioso coerente e profondo.
Tutte le “intepretazioni” della storia vanno bene, se fatte con onestà. Nel suo caso, l’onestà consisterebbe nell’ammettere di vivere nella forma mentis parziale e intrisa di egopatia di un Asura e di usare nel mondo del pensiero lo stesso tipo di falsificazione ideologica e conseguente PREPOTENZA, tipicamente asuriche, che poi illogicamente depreca se vede applicate al sistema economico e sociale.
Gesù Cristo, che può essere visto come un avatar dell’era dei Pesci, è stato portavoce della visione asurica della realtà. Non per niente è morto in croce: per gli asura infatti il progresso viene dalla sofferenza. Dinnanzi a tale concezione del mondo un Deva prova sgomento e orrore.
Quando parlo di Deva e Asura non mi riferisco a cose simili a draghi e fatine, ma alla forma mentis dell’uomo e alla sua cultura.
Nimue sono d’accordo su ogni cosa.
Col sangue intendo come conduttore di energia animica (appunto il colore). La sua preservazione e’ anche esplicitamente dichiarata nei Rigveda. C’e’ questo archetipo proprio della guerra del sangue contro oro. Il sangue non e’ acqua si dice in effetti. Io sono convinto che il nostro sangue e’ la nostra ricchezza piu’ importante da preservare, perche’ proprio in esso e’ custodita la nostra natura spirituale (il nostro DNA “dinamico”). Ne sono convinto e nessuna intromissione asurica (come dici te) potrebbe farmi cambiare idea.
Anima lunare non e’ un insulto. L’anima lunare e’ complementare se accetta la passivita’ verso l’animo solare. Senno’ e’ il Kali Yuga.
PS: hai una e-mail? Mi piacerebbe “chiacchierare” con te :-)
Se volete scambiarvi le e-mail senza renderle pubbliche ci posso pensare io.
Scusa Santa :-)
No dicevo davvero. :-)
le vostre mail a me compaiono nel momento in cui lasciate un commento.
(non è obbligatorio lasciare la mail per scrivere un commento, ma se uno lo fa io poi la vedo)
A presto
“Gesù Cristo, che può essere visto come un avatar dell’era dei Pesci, è stato portavoce della visione asurica della realtà. Non per niente è morto in croce: per gli asura infatti il progresso viene dalla sofferenza. Dinnanzi a tale concezione del mondo un Deva prova sgomento e orrore.”
O Gesù Cristo può essere visto come quello che è. Il sole incarnato. Il titolo di “figlio dell’uomo” enfatizza l’importanza della genealogia e viene usato per sottolineare la sua contrapposizione ai figli del serpente. L’interpretazione egualitaria, quasi marxista, del cristianesimo e solo una degenerazione della nostra epoca.
La chiesa cristiana, no sono i muri delle cattedrali ma la carne e il sangue del Suo popolo, quelli fatti a Sua immagine. E quale è Sua immagine? quella di un canne? quella di un ratto? quella di un negro o di un mongoloide?
Non ce cristianesimo al di fuorri del arianismo perche non e questione di fedde ma di genetica, e come non basta batezzare una bestia a quatro zampe un un edificio impropriamente detto chiesa per chiamarala cristiana cosi anche con le bestie a due zampe.
Quelli che servono la volontà del Cielo accettano di fare parte delle gerarchie di una monarchia divina e assoluta dove Christus rex est e Michele e il suo generale, uguaglianza c’è sollo tra gli sciavi del inferno.
L’Eden no era un giardino ma una prigione; nascere vuol dire essere crocifissi, vuol dire entrare su un campo di battaglia.
Grazie Santaruina, non sono interessata ad approfondire la conoscenza di qualcuno che proclama di essere d’accordo con me ;)
Ok :-)
Era la giornata della scrittura per caso? :’D
Che poi a me il post è apparso solo oggi…ben svegliato dal letargo!
Era un articolo che avevo in mente già da tempo, solo che occorreva un certo impegno per essere messo giù :-)
Ciao Santa,
senti che bella questa:
Ci capisci qualcosa? ;-)
Saluti
Mass
Scusa l’OT
Saluti
Mass
Bella davvero…
Capisco poco purtroppo, la pronuncia è particolare , ma parla di mare e barche :-)
A presto
Sono studi superati Santa: Alinei, Renfrew, Semeraro…non ho tempo però…un salutone e bentornato
Ciao Daouda,
È una critica che mi è già stata fatta.
Immagino ti riferisca anche tu agli studi della Gimbutas. A parte che ci sono studi successivi che riprendono quella linea, le raccolte di Lebedynsky sono del 2006, i dati di cui si parla (tombe, assenza di fortificazioni, migrazioni, cucuteni,) sono dati di fatto, non interpretazioni, superate o meno.
A presto
Nessuno nega certe invasioni da Oriente maa semiti camiti e japetiti sono tutti bianchi solo gli japetiti sono indoeuropei e non hanno avuto a che fare con le civiltà mesopotamiche od egizia
L’indoeuropeo non era prettamente guerriero.La sete di sangue è anche di Jahvéh, deL popolo sacerdotale. Tu ancora reputi che siano i sacerdoti i bramani la pima casta.Ma Roma ha dimostrato che il sacerdozio come nell’India per gli arya è pertinente a tutte le caste…ai patrizi, agli equites ed ai plebei.
Gli autoctoni europei, che poi bisogna veder bene cosa si intenda per Europa territorialmente, non erano pacifici, adoravano anch’essi il Cielo. Avevano si un approccio diverso ma perché erano principialmente Camiti forse tranne gli etruschi che io giudico semiti. Si dedicavano anch’essi alla guerra tra di essi. I berberi hanno un kanun loro proprio per dire, ed è guerriero. Non perché la stratificazione è orizzontale è di per sé inesistente. Se non stratifici periferizzi.
E la fusione di cui parli ha proprio fatto unione di queste due visioni. Il fregare dunque inerisce all’uomo in ogni situazione bio colturale e culturale oltre che cultuale. Pensa comunque all’Italia dove si è mantenuta la transumanza un misto di pastorizia agricola.
Per il resto voglio chiederti perché non citi il cristianesimo e arrivi da Macchiavelli a Nietzche.
Non ho citato il cristianesimo perché avrei dovuto scrivere un articolo a parte, un articolo lungo che avrebbe interessato pochi, e che avrebbe avuto due – tre commenti, tutti critici nei confronti di quanto avrei sostenuto.
Magari lo scrivo.
Bravo articolo
bellissimo
rifletto prima di commentare nel
merito
Grazie per l’interessante articolo.
Immediatamente mi chiedo come uscire dalla situazione creatasi?
Con nuova violenza? per poi arrivare dove?
Il tuo lo ritengo un invito a riflettere sulla venuta di Gesu’ Cristo, al suo messaggio, alla esatta interpretazione del suo Logos, al discorso delle Beatitudini.
Noi dobbiamo Entrare nel Verbo ed il Verbo compenetrarsi in noi, forse allora riusciremo a Vedere.
Di fronte all’intraprendere nuove guerre, ribellioni, rivoluzioni, preferisco sembrare “Pavido” e conservare la forza della Fede:
quasi si debba diventare un Muro contro cui verranno a sbattere.
Per me questo e’ un periodo di vita in cui mi sto convincendo che il tempo non scorra infinito lungo una retta orizzontale, bensi’ scorra su una Linea Elicoidale orientata verso l’Alto, rappresentante la Storia che si ripete sempre simile ma mai uguale.
Lo spazio che si delimita all’interno costituisce la Memoria e la Conoscenza che si stratificano una sull’altra continuamente, generando Humus per nuova Conoscenza e Memoria, costringendoci a “scavare” per poter salire….
Un caro saluto Giovanni
Ciao Giovanni
una nuova violenza in effetti penso che non possa mai essere la risposta.
E dalle tue parole, mi pare che una direzione giusta l’hai già indicata.
A presto
L’arresto del presidente Puidgdemont avvenuto in Germania su ordine della Spagna, mette in evidente luce la Dicotomia espressa nell’articolo.
Spero che questo fatto riesca in qualche modo ad aprire gli occhi a tutti i cultori credenti nella Democrazia.
Non a caso in Spagna esiste ancora il Re….
A mio avviso il popolo Catalano, scissionista, anziche’ fare dimostrazioni nelle varie piazze, dovrebbe Limitarsi ad andare nella propria banca e ritirare tutto il contante.
Ci potrebbe essere la possibilita’ di mettere in crisi il Sistema e pertanto l’Europa medesima e quindi costringerla a diventare “Piu’ Democratica” mediante una nuova “Ipocrisia” a favore del popolo, in ottemperanza della “Doppia Morale” al potere.
(… un ottimistico piccolo passo…)
saluti Giovanni
Un’europa più democratica sarebbe appunto un’europa più ipocrita, non ci si scappa :-)
[…] Fonte: Tra Cielo e Terra […]
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