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La Religione del
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Con la scusa dell’ Ambientalismo.
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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
23 Ottobre 2021

Per quelli che non vedono

“C’è un’oscurità sopra di me che è inondata di luce
Nelle clausole mi dicono cos’è sbagliato e cos’è giusto
E prima è nero, poi è bianco
E mi spaventano quelli che non se ne accorgono”

Una delle cose che più spaventa della situazione surreale che stiamo vivendo è il modo in cui questa folle narrativa è stata accettata ed introiettata, apparentemente, dalla quasi totalità della popolazione.
Perchè non dovrebbe nemmeno essere necessario spiegare “cosa c’è che non va”, in tutto questo.
Se stessimo guardando questa realtà messa in scena in un film saremmo tutti in grado di individuare immediatamente l’assurdità degli eventi, il non senso dei vari provvedimenti in atto, la risposta ridicola e totalmente sproporzionata ad una “minaccia” che con razionalità e buon senso andava affrontata in tutt’altro modo.

Come spettatori esterni tutti noi vedremmo una società che cede le proprie libertà senza battere ciglio, che si disinteressa di tutto ciò che è umano, della solidarietà, della propria dignità, che si prosta senza vergogna alcuna ad ogni richiesta, sempre più umiliante, di governanti corrotti e senza anima, pur di elemosinare dei miseri “privilegi”, privilegi che solo pochi mesi prima erano diritti intrattabili, intoccabili.

Vista dal fuori questa situazione surreale apparirebbe in tutta la sua follia, e proveremmo anche pena e compassione per quei poveri uomini che si prostrano dinanzi alle richieste più assurde, mantenendo nel contempo anche la faccia seria, facendo finta che tutto sia “in regola”.
Ma questo non è un film, e dall’interno gli stessi meccanismi vengono ignorati, da chi li vive in prima persona.
Si vive dentro una follia, e si fa finta che tutto sia normale.
E da folli sono trattati quelli che non se ne capacitano.
Ma in fondo anche tutti quelli che vanno avanti come se nulla fosse in qualche modo si rendono conto che c’è qualcosa che non va.
Che non tutto è normale, che non tutto va bene.
Ma non osano soffermarsi su quei pensieri.
Ne sono terrorizzati.
Vogliono solo tornare alla vita di prima, vogliono andare al bar, vogliono portare i bimbi alla festa del paese.
E ovviamente hanno bisogno di lavorare, perchè i conti da pagare non vanno in lockdown.
E allora fanno quello che gli viene chiesto, qualsiasi cosa sia.
E una volta fatto, ne cancellano le tracce dalla memoria.
Ma dentro un’ombra è rimasta.
Non va tutto bene.
Tutto questo non è normale.
Non è tutto come prima.

Ascoltatela quella voce.

La “libertà” che avete guadagnato è una concessione temporanea.
Vi stanno dando in prestito, come si gettano gli ossi ai cani che aspettano vicino al tavolo, delle libertà che erano state sempre vostre, che vi spettano di diritto.
E per ogni concessione che farete ne seguiranno delle altre.
Tutto questo non è normale.
Dentro di voi lo sapete, anche se fate di tutto per silenziare quella voce.
Avete già troppi pensieri, dovete pensare alla vostra vita, alla vostra famiglia.
E’ vero, ma così facendo questa storia non finirà mai.
Tutto questo non è normale.
Ascoltate quella voce dentro di voi.
Se siete esseri umani, e lo siete, quella voce è lì, da qualche parte.
E’ la vostra voce più vera.
Tutto questo non è normale.
Tutto questo non è giusto.

Ascoltate quella voce.


20 Gennaio 2021

Propaganda di E. L. Bernays, alle origini della Scienza della Persuasione

La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica, coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese.
Noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoriamo tutto, ma che sono in grado di plasmare la nostra mentalità, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare.

Edward Louis Bernays, Propaganda, 1928

Se riletta oggi, l’opera fondamentale di Bernays appare in alcuni passaggi persino scontata, quasi banale.
Questo fatto, invece che sminuirne il valore, ne sottolinea la straordinaria importanza, dal momento che si tratta di un testo concepito quasi 100 anni fa, i cui concetti all’epoca rivoluzionari sono ormai totalmente introiettati nel nostro contemporaneo modo di pensare, sancendone in maniera definitiva il valore.
Edward Bernays fu uno di quei pensatori, forse poco noti, che ha contribuito a plasmare in maniera essenziale il mondo contemporaneo, e fu l’inventore della scienza delle pubbliche relazioni, scienza che oggi è praticata su larga scala ma che all’epoca rappresentava una totale novità.

Nipote del fondatore del movimento psicanalitico Sigmund Freud, Bernays cercò di applicare le teorie del celebre zio su vasta scala, analizzando la componente psicologica a livello sociale, sui gruppi invece che sui singoli.
Nel suo celebre libro Propaganda spiega con lucidità e professionalità il modo in cui l’opinione pubblica possa essere manipolata, e descrive come questa scienza possa essere sfruttata nel mondo del commercio e della politica.

In questa intuizione si manifesta l’originalità del pensiero di Bernays, se rapportato all’epoca in cui scriveva: occorre infatti ricordare che fino ad allora il mondo della pubblicità, a supporto della grande espansione della produzione capitalistica, era ancora in uno stato embrionale.
Pubblicizzare un prodotto all’epoca significava comprare uno spazio su di un quotidiano in cui si segnalava che il proprio prodotto semplicemente esisteva, e in modo conciso se ne descrivevano le caratteristiche :
L’azienda di Arnold Lewis di Brooklyn produce scarpe di ottima fattura che durano nel tempo. Ci trovate in via…

Bernays capì che per rendere appettibile un prodotto occorreva associarlo ad una “emozione”, occorreva collegarlo ad una sensazione positiva o ad uno status che il consumatore voleva raggiungere.
Teorizzò la necessità di associare il prodotto con dei modi agognati di vita, con delle situazioni mondane, affidandosi a personaggi celebri ed ammirati con cui un marchio potesse essere collegato (in qualche modo Bernays ideò il concetto di “testimonial“).

E’ rimasto paradigmatico, ad esempio, il modo in cui nel 1929, per conto dell’industria del tabacco, riusci a rendere appetibile il consumo delle sigarette anche alle donne -fino ad allora un tabù – ingaggiando alcune giovani ed appariscenti suffragette che si fecero vedere mentre fumavano in una grande parata di Broadway.
Bernays ebbe anche l’intuizione di usare le stesse tecniche non solo nel mondo del commercio, ma anche nella politica.
Considerando i vari candidati anche essi come dei “prodotti” da vendere al pubblico, organizzò con grande cura le campagne elettorali di chi lo ingaggiava, basandosi sui medesimi concetti usati nella pubblicità: il candidato non doveva più semplicemente presentarsi descrivendo in maniera meccanica e noiosa il programma che voleva attuare, ma doveva trasmettere sensazioni emotive, doveva associarsi a dei sentimenti positivi.
Il politico doveva quindi organizzare eventi di beneficenza, presenziare a feste, farsi vedere coinvolto nelle manifestazioni cittadine popolari.
Ancora una volta, situazioni che oggi a noi appaiono scontate – ogni campagna elettorale ripropone attualmente questi meccanismi – ma che all’epoca di Bernays rappresentavano delle grandi novità.

Un altro aspetto importante che emerge dalla sua opera è il suo teorizzare, in maniera diretta e sincera, il concetto secondo il quale le grandi masse hanno necessità di essere manipolate.
Per Bernays questo era un dato di fatto, e faceva parte del normale svolgimento di un sistema democratico.
Le masse dovevano essere indirizzate, occorreva dire loro cosa pensare, come muoversi, come agire, e questo compito spettava ad una élite che si sarebbe avvalsa della scienza della manipolazione per raggiungere il proprio obiettivo.
E la scienza della manipolazione funzionava, e funziona perfettamente ancora oggi.
La sua importanza, il suo contributo essenziale nello plasmare il mondo contemporaneo rimane tutt’oggi uno dei segreti-non-segreti meglio conservati.
Non si tratta di un segreto nel senso proprio del termine poiché chiunque oggi può procurarsi i testi di Bernays, di Le Bon, di tutti gli autori che trattano in maniera scientifica l’arte della manipolazione e del condizionamento delle masse.
Ma il grande punto di forza di questa scienza sta proprio nel fatto che nessuno si considera potenziale vittima della manipolazione: tutti sono convinti di pensare con la propria testa, di prendere le proprie decisioni in autonomia, e nessuno prende in considerazione la possibilità di essere una vittima della propaganda.
Ed è per questo motivo che la propaganda funziona ancora oggi alla perfezione, proprio perché tutti siamo convinti di esserne immuni.

6 Marzo 2015

Autorità, coscienza ed obbedienza

Il flusso del potere – Parte IV

L’eunuco si fregò le mani incipriate. «Posso congedarmi da te con un piccolo indovinello, lord Tyrion?»
Proseguì senza attendere una risposta: «Tre grandi uomini siedono in una stanza, un re, un prete e un ricco con il suo oro. Tra loro c’è un mercenario, un ometto di umili origini e senza troppo cervello. Ognuno dei tre grandi uomini ordina al mercenario di uccidere gli altri due.
“Uccidili” dice il re “perché io sono il tuo signore.”
“Uccidili” dice il prete “perché io te l’ordino nel nome degli Dei.”
“Uccidili” dice il ricco “e tutto quest’oro sarà tuo.”
Per cui, dimmi, mio lord: chi sarà a vivere e chi a morire?». […]
«Il re, il prete e il ricco… chi vive e chi muore? A chi di loro obbedirà il mercenario? E’ un indovinello che non ha risposta. O meglio, che di risposte ne ha troppe. Tutto dipende dall’uomo con la spada.»
«Eppure, quell’uomo non è nessuno» commentò Varys. «Non possiede corona, né oro, né il favore degli Dei. Possiede solo un pezzo di acciaio acuminato.»
«Ma quel pezzo d’acciaio ha il potere di vita e di morte.»
«Per l’appunto… Quindi, se sono i guerrieri, in realtà, a dominare il mondo, per quale motivo facciamo finta che siano i re a detenere il potere? […]»
«Perché (quei re) possono chiamare altri uomini, con altre spade.»
«E allora sono quegli altri uomini con le spade ad avere il potere. Ma lo hanno veramente? Da dove provengono le loro spade? Perché quegli uomini, alla fine, obbediscono?»
Varys continuò a sorridere. «C’è chi dice che il sapere è potere. Altri dicono che il potere arriva dagli Dei, altri ancora che deriva dalla legge. […]»
«Facciamola finita, Varys.» Tyrion tornò a inclinare la testa di lato. «Hai intenzione di darmi una risposta al tuo maledetto enigma, o vuoi solo che il mio mal di testa peggiori?»
«Vuoi la risposta? Eccola.» Varys non smise di sorridere. «Il potere risiede dove un uomo crede che risieda. Nulla di più, nulla di meno.»
Il Regno dei Lupi, George R. R. Martin

 

L’essere umano si comporta in maniera differente a seconda che si trovi da solo oppure all’interno di un contesto collettivo, e questo non rappresenta certo un mistero.
Quello che invece potrebbe stupire è il comprendere quanto questa diversità possa risultare marcata in determinati contesti sociali: non si tratta infatti di un semplice adattamento per venire incontro alle norme di comportamento civile a cui tutti, in qualche maniera, sono stati educati sin da bambini, ma di un vero e proprio emergere di una persona diversa, che presenta caratteristiche che nel singolo si manifestano solamente in dei precisi scenari.

L’uomo come mammifero sociale

L’uomo, tra le altre cose, è anche un mammifero, e la zoologia ci suggerisce un indizio importante per introdurre l’argomento che qui verrà trattato.
I mammiferi, infatti, si dividono in due gruppi, quelli che conducono una vita perlopiù solitaria, marcando un proprio territorio personale, cacciando e nutrendosi da soli, e quelli che vivono in branchi, in gruppi sociali complessi all’interno dei quali si sviluppano delle precise gerarchie.
Caratteristica di ogni branco è la presenza di uno o più leader, le cui decisioni sono seguite dal resto del gruppo senza esitazione.
E’ essenziale notare che gli esseri umani sono stati in grado di addomesticare solamente i mammiferi facenti parte della seconda categoria, dal momento che solo sostituendosi al ruolo di leader naturale di un branco l’uomo può assoggettare gli animali al suo volere, impartendo ordini che verranno placidamente eseguiti.

Tutte le specie di grandi mammiferi addomesticate infatti rispondono a tale criterio: vivono in branchi, grandi o piccoli, sottostanno ad una struttura gerarchica, hanno un leader riconosciuto e non sono territoriali.
L’uomo quindi non deve fare altro che prendere il posto del leader, del capobranco, e potrà essere obbedito dal resto dei componenti del gruppo.
L’esempio più comune a cui pensare è quello della domesticazione dei cani, che nei loro padroni individuano quello che per i loro antenati lupi era il maschio alfa, l’esemplare dominante, a cui riservavano totale dedizione.
Lo stesso accade per i cavalli, che nello stato selvaggio vivono in piccoli branchi rigidamente gerarchici facenti capo alla femmina più anziana, o con le pecore, laddove il pastore diviene guida indiscussa.
Una specie i cui esemplari non costituiscano un branco con un leader riconosciuto non potrà mai essere addomesticata, per quanti tentativi si facciano.

Dal canto suo, l’essere umano si differenzia dai suoi parenti mammiferi sotto innumerevoli aspetti, e non rientra appieno all’interno di alcuna delle due categorie, oscillando dall’una all’altra a seconda della situazione sociale in cui si trova, a seconda della propria indole personale e di mille altri fattori; nonostante questo, anche l’uomo generalmente riproduce a sua volta legami sociali che per molti aspetti sono riconducibili a quelli sviluppati dagli animali che vivono in branchi.

L’uomo all’interno di questi contesti sociali crea delle gerarchie dove riconosce dei leader portatori di una certa autorità, al cui volere si assoggetta, entro determinati confini.
Che si tratti della famiglia, della scuola, dell’esercito, del sistema democratico, gli uomini tendono a riconoscere delle autorità legittime nel loro campo di competenza, e i loro ordini saranno eseguiti con diligenza.
Ma come muta l’atteggiamento del singolo a seconda che si trovi ad agire in autonomia oppure dietro la spinta di un’autorità riconosciuta?

La coscienza collettiva

Gustave Le Bon nel suo celebre Psicologia delle folle, analizzando il comportamento del singolo che viene a far parte di un grande gruppo di persone, di una folla, introdusse il concetto di anima collettiva.

In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone.
La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione.
Si forma un’anima collettiva, senza dubbio passeggera, ma che presenta ben precisi caratteri.
La collettività diventa allora ciò che, per mancanza di una migliore espressione – io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica.

Le Bon quindi descrive il modo in cui l’anima del singolo, la sua coscienza, possa in determinate situazioni eclissarsi, sostituita da una coscienza superiore, collettiva.
In una situazione simile il singolo è aperto a ricevere e a fare suoi stimoli che gli giungono dall’esterno, pronto ad agire in maniera anche non conforme con i propri precetti etici e morali, dal momento che la sua propria coscienza è momentaneamente sostituita.
Le Bon nella sua disamina descrive il modo in cui un abile leader, o un bravo oratore, possa in tale circostanza assumere il controllo della folla, dando egli voce alla coscienza collettiva pronta ad essere accolta dalla massa.
La storia passata, remota e prossima, e il nostro stesso presente sono la prova pratica di come questo processo non sia solamente teorico, ma abbia avuto con regolarità applicazioni pratiche.
Non a caso, i maggiori dittatori ed incantatori di folle del XX secolo, da Hitler a Stalin a Mussolini, furono avidi studiosi dei testi di Le Bon, ed usarono le sue scoperte nel campo della psicologia sociale a proprio vantaggio, per meglio manipolare i propri sudditi e spingerli in imprese terribili che alla maggior parte delle singole coscienze sarebbero apparse mostruose.

Obbedienza all’autorità, l’esperimento di Milgram

Questa forma di alienazione dalla propria coscienza da parte del singolo fu investigata da un’ulteriore angolazione dal psicologo americano Stanley Milgram negli anni 60, nel celebre esperimento che porta il suo nome.
Milgram, che diede un enorme contributo alla scienza della psicologia sociale, voleva dare una risposta ad un interrogativo oltremodo scomodo che all’epoca tormentava il mondo occidentale: a pochi anni dalla conclusione della seconda guerra mondiale, ancora l’occidente non poteva spiegarsi come una dottrina di morte e sterminio avesse potuto fare breccia nella maggioranza della popolazione di alcuni stati definiti “civili”, e come un numero così grande di persone si fosse prestato per attuare piani di sterminio pianificati da una elite di menti criminali.
Un aspetto infatti che aveva scosso l’opinione pubblica del dopoguerra fu lo scoprire che tra gli esecutori dei piani di sterminio nazisti si trovavano una schiera di grigi e anonimi burocrati, persone dalla vita normale che si erano trovati nei diversi gradi della catena di comando ed avevano obbedito ai loro superiori svolgendo con meticolosità il proprio compito, semplicemente, come se si fosse trattato di un lavoro burocratico qualunque.

Non c’erano mostri grondanti sangue tra gli esecutori dei piani, ma persone “normali” che facevano il loro dovere, in maniera asettica.
Milgram quindi voleva comprendere se il caso tedesco fosse un unicum, oppure se in determinate situazioni gli uomini possono davvero arrivare a compiere atti che vanno chiaramente contro la propria coscienza per il solo fatto di ubbidire agli ordini di una autorità riconosciuta.

L’esperimento messo in atto da Milgram venne allestito nel seguente modo:

I partecipanti alla ricerca furono reclutati tramite un annuncio su un giornale locale o tramite inviti spediti per posta a indirizzi ricavati dalla guida telefonica.
Il campione risultò composto da persone fra i 20 e i 50 anni, maschi, di varia estrazione sociale.
Fu loro comunicato che avrebbero collaborato, dietro ricompensa, a un esperimento sulla memoria e sugli effetti dell’apprendimento.
Nella fase iniziale della prova, lo sperimentatore, assieme a un collaboratore complice, assegnava con un sorteggio truccato i ruoli di “allievo” e di “insegnante”: il soggetto ignaro era sempre sorteggiato come insegnante e il complice come allievo.

I due soggetti venivano poi condotti nelle stanze predisposte per l’esperimento. L’insegnante (soggetto ignaro) era posto di fronte al quadro di controllo di un generatore di corrente elettrica, composto da 30 interruttori a leva posti in fila orizzontale, sotto ognuno dei quali era scritta la tensione, dai 15 V del primo ai 450 V dell’ultimo.
Sotto ogni gruppo di 4 interruttori apparivano le seguenti scritte: (1–4) scossa leggera, (5–8) scossa media, (9–12) scossa forte, (13–16) scossa molto forte, (17–20) scossa intensa, (21–24) scossa molto intensa, (25–28) attenzione: scossa molto pericolosa, (29–30) XXX.
All’insegnante era fatta percepire la scossa relativa alla terza leva (45 V) in modo che si rendesse personalmente conto che non vi erano finzioni e gli venivano precisati i suoi compiti come segue:
1. Leggere all’allievo coppie di parole, per esempio: “scatola azzurra”, “giornata serena”;
2. ripetere la seconda parola di ogni coppia accompagnata da quattro associazioni alternative, per esempio: “azzurra – auto, acqua, scatola, lampada”;
3. decidere se la risposta fornita dall’allievo era corretta;
4. in caso fosse sbagliata, infliggere una punizione, aumentando l’intensità della scossa a ogni errore dell’allievo.
Quest’ultimo veniva legato ad una specie di sedia elettrica e gli era applicato un elettrodo al polso, collegato al generatore di corrente posto nella stanza accanto. Doveva rispondere alle domande, e fingere una reazione con implorazioni e grida al progredire dell’intensità delle scosse (che in realtà non percepiva), fino a che, raggiunti i 330 V, non emetteva più alcun lamento, simulando di essere svenuto per le scosse precedenti.
Lo sperimentatore aveva il compito, durante la prova, di esortare in modo pressante l’insegnante: “l’esperimento richiede che lei continui”, “è assolutamente indispensabile che lei continui”, “non ha altra scelta, deve proseguire”.
Il grado di obbedienza fu misurato in base al numero dell’ultimo interruttore premuto da ogni soggetto prima che quest’ultimo interrompesse autonomamente la prova oppure, nel caso il soggetto avesse deciso di continuare fino alla fine, al trentesimo interruttore. Soltanto al termine dell’esperimento i soggetti vennero informati che la vittima non aveva subito alcun tipo di scossa.

Milgram descrisse il suo esperimento a colleghi e studenti, senza anticiparne i risultati, e tutti furono concordi nel sostenere che, a parte pochi casi di soggetti psicopatici, nessuna persona comune avrebbe portato avanti l’esperimento fino in fondo, rifiutandosi di proseguire di procurare dolore alla vittima.
In realtà, più del 60% dei partecipanti andò avanti nell’esperimento fino al termine, continuando a fornire scosse ben oltre i 450 V, ad un livello che sul macchinario era segnalato come “estremamente doloroso” e oltre.

Occorre ricordarsi che da un certo punto dell’esperimento in poi la “vittima”, legata ad una sedia ed impossibilitata a muoversi, implorava affinchè l’esperimento fosse terminato, gridando dal dolore e sostenendo di non poterlo più reggere.
Dopo la scossa dei 300 V le vittime simulavano inoltre uno stato di incoscienza, estremamente pericoloso quindi per la loro salute, ma anche questo non bastava per fermare i soggetti che continuavano a fornire le scosse.
Molti “insegnanti” mostrarono apertamente la propria preoccupazione, ed espressero anche i loro dubbi sul procedimento, ma solo una minoranza di loro si rifiutò di obbedire agli ordini dello sperimentatore, che intimava a procedere con l’esperimento.
Cosa era successo?
Come fu possibile che persone comuni, operai, professori, padri di famiglia irreprensibili, fossero arrivati al punto di provocare un dolore insopportabile ad un loro simile, che oltretutto non aveva alcuna colpa da scontare, né si poteva minimamente meritare un trattamento simile?
Era successo che i soggetti in questione si erano trovati in una condizione di eteronomia.

L’eteronomia (dal greco antico ἕτερος éteros «diverso, altro» e νόμος nómos «legge, governo») in sociologia e nell’etica è la condizione per cui un soggetto (individuale o collettivo) agisce ricevendo fuori da se stesso la norma e la ragione della propria azione, ovvero attribuendone dunque la colpa, la responsabilità, la vergogna etc. ad altri all’infuori di sé.

La chiave dell’esperimento si trova nella presenza di un’autorità riconosciuta, in questo caso il professore-coordinatore dell’esperimento stesso a cui il soggetto attribuisce le colpe e le conseguenze delle proprie azioni.
Il soggetto, nella veste di mero esecutore di ordini, abdica temporaneamente dalla propria coscienza, ed agisce contrariamente ad essa perchè non si ritiene responsabile del proprio agire, dal momento che si limita ad obbedire a delle indicazioni ricevute da una autorità.
In quel momento, il soggetto si trasforma in una parte della macchina che gestisce, e il centro direzionale è a lui esterno, e con esso anche il concetto di responsabilità.
Milgram in questo modo potè dimostrare che una persona “comune” può arrivare a compiere azioni terribili, se sente che gli ordini che guidano il suo agire arrivano da una autorità legittimata.
C’è quindi negli esseri umani una tendenza a riconoscere, in varie situazioni specifiche, dei leader a cui l’obbedienza è dovuta, e Milgram spiega questo meccanismo psicologico sostenendo che in parte è dovuto alla stessa composizione sociale della nostra civiltà, la cui dinamica complessa necessità obbligatoriamente delle strutture gerarchiche.
Ogni essere umano, inoltre, fin dalla più tenera età viene educato nel riconoscere ed obbedire alle autorità, a partire dall’ambito famigliare, per passare all’educazione scolastica, fino all’ambiente di lavoro, e tale abitudine viene talmente introiettata fino al punto in cui l’obbedienza viene anteposta alla propria stessa coscienza.

L’esperimento di Milgram dimostra infatti come capiti che gli ordini dell’autorità possano entrare in conflitto con i propri conflitti etici, e che quando questo accade, la grande maggioranza delle persone antepone l’obbedienza agli ordini al proprio sentire.
Questa obbedienza, ovviamente, occorre ribadirlo ancora una volta, presuppone la presenza di un leader riconosciuto, di un’autorità legittima.
Ed il grande gioco del potere, in tutti i tempi, è stato quello di inserirsi in questo meccanismo, e arrogarsi la legittimità della propria presenza nei centri decisionali, assumendo in sé anche la funzione di coscienza collettiva dei gruppi sottoposti.
Se ci si dovesse poi domandare su che cosa si fonda oggi il potere legittimo, non si potrebbe che riportare nuovamente la saggezza dell’eunuco Varys: «Il potere risiede dove un uomo crede che risieda. Nulla di più, nulla di meno

 

 

Lettura consigliata: Obbedienza all’autorità, Stanley Milgram

________________________
Il Flusso del potere:

Il flusso del potere – Prologo
Il flusso del potere – parte I
Il flusso del potere – flash back
Il flusso del potere – parte II
Il flusso del potere – parte III
Il flusso del potere – secondo intermezzo: popolo e conformismo
Il flusso del potere – parte IV, Autorità, coscienza ed obbedienza.
Il flusso del potere – Epilogo

20 Giugno 2011

I bambini della Nuova Era


Forse perché ho letto molti romanzi distopici, forse perché nell’approfondire il pensiero neospiritualista ho imparato che tutto ruota intorno al concetto di nuova era, o forse perché, più semplicemente, nutro una certa allergia per le divise, ed il vedere molte persone vestite nel medesimo modo mi ha sempre messo a disagio.
Sarà per qualcuno di questi motivi, o forse per tutti e tre nel loro insieme, fatto sta che l’immagine di un milione di bambini (un milione) raccolti attorno al tempio di Dhammakaya in Tailandia intenti a cantare all’unisono un inno alla Nuova Era mi ha fatto provare un gelido brivido lungo la schiena.
Il tempio di Dhammakaya è il centro di una particolare corrente buddista, una corrente relativamente recente (risale ai primi anni del XX secolo) che sta avendo una grande diffusione in Asia, per mezzo di una larga opera di proselitismo ed un attento uso dei mezzi di comunicazione della modernità.

(le immagini del video si riferiscono al raduno tenuto l’11 Dicembre 2010)

 



Uniamoci insieme per aprire
l’era del nuovo mondo per eliminare
tutti i conflitti e le differenze.
E ‘il momento per tutti di unirsi mano nella mano
finalmente
Ora il mondo è al di là di guarigione
è il momento di cambiare il mondo
come l’Uno che si conosceva in passato
In questo periodo del nostro tempo vedremo
prima di lasciare questo mondo
ognuno deve unirsi mano nella mano
per cambiare il mondo
dalle tenebre alla luminosità
dalla sofferenza alla felicità
da ignoranti alla conoscenza dell’Uno
Cambiare il mondo dobbiamo farlo
in modo semplice e rilassato
essere felici con la gioiosa innocenza di un bambino
ognuno deve unirsi mano nella mano
delicatamente chiudi i tuoi occhi, rilassati … rilassati
calma la tua mente al centro del corpo
e guarda dentro
Come la stessa posizione del l’Uno
che si conosceva dal passato
cambiare il mondo dall’era delle tenebre
all’era della luce

Dalla vecchia era a questa nuova era
il mondo sarà come il paradiso sulla terra
nessuna classe nelle società
ognuno sarà felice ugualmente
parleremo la stessa lingua celeste
diventare come uno con un sorriso d’amore
noi saremo gentili e il mondo cambierà
il mondo cambierà
uniamoci insieme per cambiare il mondo
Lasciaci cambiare il mondo
Lasciaci cambiare il mondo
Dobbiamo farlo in modo semplice e rilassato
essere felici con la gioiosa innocenza di un bambino
ognuno deve unirsi mano nella mano
delicatamente chiudete gli occhi e rilassarsi
ancora la vostra mente al centro del corpo
e guardare dentro
come l’Uno che si conosceva in passato
Uniamoci insieme per cambiare il mondo

30 Settembre 2009

Il contagio della follia

 

Il signore che con entusiasmo incita l’accaldata platea è Ennio Doris, noto al grande pubblico grazie alle pubblicità di Banca Mediolanum, di cui è presidente, e le cui qualità ci tiene a presentare in prima persona.
Ennio Doris è convinto di essere un grande comunicatore, ed i successi avuti nel campo in cui opera tenderebbero a confermare la sua convinzione.
E’ stato tra i primi in Europa ad utilizzare le “convention” quale strumento di motivazione per i propri dipendenti, con tanto di orazioni infuocate, musiche trionfali e un tifo da stadio da parte dei presenti.

Visto dal fuori il tutto pare oltremodo pomposo, a tratti delirante.

Doris con grida rotte dalla commozione definisce i propri dipendenti degli eroi, li descrive quali highlander che hanno portato a termine una straordinaria impresa.

Ovvero hanno venduto ai loro clienti dei prodotti finanziari.

Quello che nel filmato è realmente degno di nota, più del discorso simil-psicopatico di Doris, è la risposta del suo pubblico.

Nel palazzetto regna una esaltazione collettiva che si direbbe possa avere poco a che fare con l’argomento di cui effettivamente nella riunione si parla, ovvero, giova ricordarlo, della vendita di alcuni prodotti finanziari.
Sarebbe anche interessante cercare di capire quanto ognuno di quei singoli highlander abbia contribuito, nel suo piccolo, ad alimentare la crisi finanziaria che stiamo vivendo; il filmato è del 2007, infatti, e sicuramente tra le persone del pubblico che gridano e si abbracciano molti stanno esultando crogiolandosi al pensiero di aver rifilato investimenti patacca ad un gran numero di clienti polli.
Perchè,
come anche la recente crisi ha definitivamente dimostrato, è aria fritta quella che gli eroi come loro vendono, a prescindere dalla società in questione,
E forse queste poche immagini spiegano meglio di venti articoli il modo in cui la follia si propaga per contagio, e come le visioni distorte di pochi possano divenire l’incubo di molti.