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-o- Too late to die young -o-
5 Settembre 2009

La crisi e i turchi sotto le mura


L’estate scorreva tranquilla e mi sono ritrovato spesso ad osservare le persone intorno a me che si godevano il sole e il mare.
Ogni tanto al kafenio si accennava alla “crisi”, ed immancabilmente c’era chi faceva notare che nonostante tutto le spiagge ed i locali erano sempre affollati.

Nel frattempo, un giornale locale abbandonato ad un tavolino a lato, lasciato aperto in una pagina a caso, raccontava dei negozi di souvenir di Patrasso che stavano registrando un calo delle vendite del 50% rispetto all’anno precedente.

Chi ne avesse sfogliato le pagine avrebbe ritrovato molte notizie simili.

Ma le spiagge in cui si faticava a trovare una sdraio erano una realtà tangibile, mentre le dichiarazioni dei commercianti e le varie statistiche economiche apparivano come voci giunte da mondi assai distanti, e noi tutti siamo come piccole formiche, col nostro sguardo che immancabilmente copre una piccola porzione del mondo circostante, e cerchiamo di interpretare l’insieme partendo dalla nostra limitata esperienza.
Succede poi nel corso della storia che enormi cambiamenti siano in qualche modo annunciati, a volte inevitabili, e nonostante tutto impieghino diversi decenni prima di compiersi; a volte diverse generazioni si susseguono mantenendo inalterato il proprio stile di vita e le proprie abitudini, mentre eventi destinati a cambiare le sorti del mondo procedono verso il loro compimento.

Mi capita spesso di cercare di immaginare, ad esempio, come poteva essere la vita a Costantinopoli nella seconda metà del XIV secolo, nei decenni che precedettero la definitiva caduta della Città del 1453.
La massima potenza della capitale era una questione che ormai apparteneva ai secoli passati, ed i turchi ottomani acquisivano anno dopo anno nuove porzioni del territorio di quello che rimaneva dello sterminato Impero d’Oriente.
Eppure, dentro le mura della Città, allora come da quasi un millennio, la vita continuava, le strade erano trafficate ed i mercanti ancora portavano avanti le loro attività, in qualche modo.
Con i turchi a pochi chilometri di distanza, una persona poteva nascere, vivere e morire dentro le mura della Città col pensiero che nulla sarebbe mai cambiato, che la vita a Costantinopoli sarebbe sempre stata la stessa, così come lo era da un millennio a quella parte. E mentre osservavo il mare e le persone che si rilassavano nelle loro vacanze, mi sembrava a volte di cogliere quella stessa spensieratezza degli abitanti della Città, convinti che nessun esercito nemico avrebbe mai potuto sovvertire un ordine che reggeva da secoli.
Oggi non ci sono invasori che premono contro le mura, e l’ordine attuale è minacciato da fattori ben diversi.
Ed oggi come allora la possibilità che da un giorno all’altro il corso delle proprie esistenze possa subire degli sconvolgimenti pare una eventualità lontana, voci di sventura a cui è bene non porre troppo ascolto.
Si poteva, nella seconda metà del XIV secolo, nascere, vivere e morire a Costantinopoli nella convinzione che le mura della Città avrebbero retto in eterno.

E si può oggi, nell’Occidente del XXI secolo, nascere e vivere con la sicurezza che il nostro modo di vita, il nostro sistema sociale ed economico possa sopravvivere nei secoli, nonostante qualche temporaneo intoppo.
E’ sufficiente non affacciarsi alle mura delle Città, ed ignorare l’accampamento dei turchi là fuori.

19 Aprile 2009

Anastasis


Nell’ iconografia ortodossa il tema della resurrezione raffigura Cristo nel momento in cui risale dall’Ade e trascina con sé Adamo ed Eva, a simboleggiare l’umanità redenta.
Sotto i piedi di Cristo si scorgono catene e lucchetti infranti, allegoria di una schiavitù che ha termine.
Osservano la scena i profeti e i Re.
Αληθώς Ανέστη

5 Marzo 2009

Markos Vamvakaris, l'aristocratico


Markos Vamvakaris fu il maggior esponente del rebetico greco.
Nacque nell’isola di Siro nel 1905 da una famiglia di contadini, e morì nel 1972.
Imparò da autodidatta a suonare il bouzouki all’età di 18 anni in soli 6 mesi, ed a distanza di oltre un secolo dalla sua nascita le sue canzoni  vengono cantate ed amate come nel periodo in cui furono scritte.
Vamvakaris visse gran parte della sua vita in povertà, senza mai rinunciare al suo essere “aristocratico”, un’aristocrazia non fondata sul sangue o sui titoli nobiliari, ma basata esclusivamente sulla dignità del non venire mai a compromessi con la propria coscienza. Come quando, nel 1962, dopo anni vissuti in estrema povertà, la sua arte veniva riscoperta, ed una televisione tedesca che stava girando un documentario sulla musica greca gli offrì 50.000 dracme per partecipare alle riprese; 50.000 dracme era una cifra che un lavoratore greco poteva all’epoca guadagnare in un anno.
Vamvakaris si presentò alle riprese, suonò al suo meglio ed al termine della registrazione rifiutò quella somma, chiedendo di essere pagato 200 dracme.
200 dracme, che potremo rapportare con 60-70 euro attuali, era la paga giornaliera che riceveva nei locali in cui si esibiva, e gli sembrava il giusto compenso per quanto aveva fatto.
Questo era Markos Vamvakaris.  
Ci sarebbe molto da raccontare di lui, ma la sua musica lo descrive meglio delle parole.

28 Gennaio 2009

Cosa succede in Grecia?

Dagli scontri di Dicembre alle proteste degli agricoltori: cronache di una nazione sull’orlo del crack.

Dopo i violenti scontri che hanno caratterizzato la fine del 2008, una nuova protesta sta avendo luogo in questi giorni in Grecia.
A manifestare questa volta sono gli agricoltori, che richiedono allo stato maggiori sovvenzioni per i loro raccolti.

Le mobilitazioni vanno avanti da una decina di giorni, e gli agricoltori hanno a lungo bloccato con i loro trattori le arterie principali del paese, permettendo il solo passaggio delle merci deperibili e dei medicinali.

Il malcontento degli agricoltori ha in verità origini lontane, e la questione è strettamente legata con l’evoluzione del mercato internazionale dei generi alimentari: i prodotti agricoli di un paese relativamente avanzato come la Grecia da un decennio a questa parte non sono più competitivi con quelli dei paesi in via di sviluppo, e questo è un problema che riguarda tutte le nazioni cosiddette benestanti.

Per evitare che i campi vengano abbandonati, in queste nazioni i governi centrali sostengono la produzione agricola con onerose sovvenzioni.

E’ il caso degli Stati Uniti e dell’ Unione Europea.

Se non fosse per questi sussidi, per i contadini molte produzioni agricole non risulterebbero economicamente vantaggiose, dal momento che il ricavato dalla vendita della produzione stessa non copre le spese della manodopera, dei fertilizzanti e delle attrezzature necessarie per il raccolto.
Complice la crisi economica e la corruzione titanica dell’amministrazione greca, le sovvenzioni dell’Unione Europea che arrivano nelle tasche dei contadini si sono ridotte sensibilmente, ed a questo si è aggiunto il crollo sul mercato dei prezzi di diverse produzioni agricole, come il cotone o gli agrumi.

Si è quindi giunti al punto in cui tonnellate di arance marciscono al suolo, poiché la manodopera necessaria alla raccolta verrebbe a costare molto di più del guadagno che la vendita degli agrumi assicura al mercato, così come enormi distese di campi di granoturco si offrono spontaneamente quale banchetto per i corvi ed altri volatili.
Questa situazione è paradossale specialmente per una nazione come la Grecia, praticamente sprovvista di un settore industriale e che basa la propria economia sull’agricoltura e sul turismo, mentre la maggioranza della popolazione è impiegata nel terziario, a gestire non si sa bene che cosa.

E se in un paese la cui più grande ricchezza sono i prodotti del suolo non è più conveniente coltivare la terra, diviene naturale nutrire una certa preoccupazione per i periodi che verranno.

La Grecia nel panorama europeo è sempre stata considerata una nazione povera, fino agli anni 70, un angolo di Europa in cui praticamente la rivoluzione industriale non è mai arrivata, dove si è passati da una economia da ancien regime all’era informatica senza passaggi intermedi.

Una nazione povera che era riuscita comunque a raggiungere la autosufficienza alimentare, e che era entrata nel salotto dell’Europa che conta con il vestito buono della festa ereditato dai nonni e le scarpe bucate.

Negli ultimi 30 anni la Grecia è comunque diventata a tutti gli effetti una nazione occidentale, raggiungendo il benessere dei parenti europei e colmando il divario dei decenni precedenti.

Ma è stato un falso benessere, frutto di sovvenzioni europee e di un’economia che si è mossa esclusivamente sul debito; una ricchezza che non corrispondeva alla reale redditività della nazione.

Fare i conti con i propri debiti, questa in qualche modo sarà la sorte che attende anche gli altri paesi europei, una sorte che la Grecia ha sperimentato per prima a causa del suo debole sistema produttivo.
E non sarà semplice per i cittadini ritornare al livello di vita precedente.
Con una ulteriore complicazione, rispetto al passato, inoltre.
Per quanto infatti la Grecia fosse una nazione povera fino agli anni 70, quasi tutta la popolazione poteva contare su di una personale periusia, ovvero una proprietà.
La quasi totalità dei greci aveva infatti almeno una casa di proprietà, magari nel paese dei nonni, e qualche distesa di terra da far fruttare.
Negli anni 80 e 90 la gran parte di queste periusie sono state vendute, e dal ricavato delle vendite le famiglie greche hanno ottenuto il necessario per adeguarsi agli standard di vita europei, con l’acquisto di apparecchi tecnologi, automobili ed altre comodità in precedenza poco comuni nella nazione ellenica.
Così, la popolazione greca è passata ad essere da povera ma autosufficiente a benestante ed indebitata.
Ed ora che la crisi è dilagata, ora che il flusso di denaro in prestito si è interrotto, la Grecia si è improvvisamente svegliata senza fondi e con una marea di debiti.

Si sta concludendo un banchetto durato 30 anni.


8 Dicembre 2008

Grecia, prove tecniche di sommossa

Continuano in diverse parti della Grecia le manifestazioni di protesta a seguito dell’uccisione da parte della polizia di Alexis Grigoropoulos, un ragazzo di 15 anni, episodio avvenuto lo scorso sabato nel corso di violenti scontri tra la polizia in assetto antisommossa e alcune centinaia di giovani “anarchici”, nel quartiere di Exarhia ad Atene.
I media internazionali stanno dando grande risalto agli episodi, e si tratta effettivamente di una serie di manifestazioni caratterizzate da una grande violenza, come non si vedevano in Grecia dai tempi della dittatura dei colonnelli negli anni 70.
Il movimento dei dissidenti è ben organizzato, e il quartiere di Exarhia, da dove sono iniziati gli scontri,  rappresenta un caso unico nel panorama europeo.
Si tratta infatti di una zona franca, quasi interdetta ai controlli della polizia, dove trovano rifugio ed hanno la propria base i maggiori gruppi anarchici ellenici.

Gruppi anarchici è il termine semplicistico che usano i media per descrivere la varia umanità che controlla Exarhia, ma al suo interno si ritrovano diversissime tipologie di persone.
Vi sono innanzitutto movimenti politicizzati di estrema sinistra che si autodefiniscono anarchici, ed in mezzo a loro si mischiano numerosi comuni criminali, bande specializzate in furti e rapine, che approfittano dell’impunità che regna nel luogo.
A loro si uniscono centinaia di vari “dissidenti”, principalmente studenti e giovani alternativi, spinti dal desiderio adolescenziale di manifestare la propria avversità al sistema.
Il ragazzo ucciso era uno uno di loro, uno studente di 15 anni  figlio di un direttore di banca e di una gioielliera.
Vi sono poi ad Exarhia numerosi agenti della polizia infiltrati, mandati all’interno per monitorare la situazione.

Da anni la polizia greca usa il quartiere di Exarhia come una sorta di esperimento sociale.
Permette che vi si radunino gli elementi disturbanti della società e li controlla dall’esterno; cariche e scontri sono all’ordine del giorno, ma essendo routine i mezzi di informazione non ne trattano.
Alla fine ci è scappato il morto, un ragazzino è stato giustiziato a freddo da un agente che ha sparato ad altezza d’uomo.
E gli episodi di violenza che sono seguiti sono andati probabilmente al di là delle previsioni della polizia stessa
La furia distruttrice dei manifestanti è stata cieca: solo in Via Ermou, la via più centrale di Atene, sono andati distrutti centinaia di negozi, decine di filiali di banche, e centinaia di automobili sono state date alle fiamme.
Contemporaneamente a Salonicco, a Patrasso ed in altre importanti città greche si verificavano gli identici episodi, una vera e propria guerriglia urbana incontrollata.

L’uccisione del ragazzo, Alexis, è stata una scintilla che ha fatto esplodere un malumore generale che covava da tempo, in una Grecia che è tra le nazioni che più stanno soffrendo le conseguenze della crisi economica mondiale, un malumore che gli elementi meno inquadrabili della società esprimono con una furia distruttrice cieca.
Il governo ha chiaramente perso il controllo della situazione: abituato ad usare il corpo degli agenti in assetto antisommossa per reprimere le numerose scaramucce che si verificavano in passato, pare non avere più alcuna arma a disposizione per fermare la protesta, dal momento che proprio l’uso indiscriminato della violenza da parte delle forze dell’ordine ha causato la vittima.
Prove tecniche di una sommossa ancora più grande.