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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
28 Settembre 2008

Popolo e conformismo, un appunto

la deviazione moderna […] deve necessariamente corrispondere a un “piano” ben congegnato, e cosciente per lo meno in coloro che dirigono tale “guerra occulta”
René Guénon


A commento del precedente articolo, Psicopatici e potere, Jorge Perro esprime la seguente considerazione:

perchè la parte restante di popolazione, risparmiata dalla sociopatia, incarna tanto spesso il difetto ad essa più utile: la stupidità?
Dividere il mondo in potenti-sociopatici e oppressi-vittime è assai ingenuo: si nota piuttosto come coloro che han mandato al potere i primi non ne siano affatto diversi negli intenti e nelle pratiche, cioè il desiderio di vivere a discapito altrui, ma solo nelle capacità realizzative.

Approfitto nel rispondere a tale appunto per aggiungere qualche ulteriore considerazione al discorso precedentemente iniziato.

______________________


Analizzando la struttura gerarchica della forma del potere, si può osservare che attorno ai sociopatici-psicopatici veri propri, che occupano le stanze decisionali, si ritrova il gruppo dei profittatori-esecutori.

Non psicopatici, ma con poche remore morali, e caratterialmente deboli.

Persone che sanno brillare solo di luce riflessa, abili nell’individuare le personalità influenti e  farsi loro ubbidienti servitori.

Loro compito è quello di esporsi per conto dei veri potenti, “metterci la faccia” ed in cambio ricevere ricchezza e privilegi.

Queste due categorie formano, a grandi linee, la struttura mente-braccio di ogni forma di governo.

Al di sotto, vi sono poi i governati, le “persone comuni”, la grande maggioranza, che hanno come obiettivo nella vita quello di sopravvivere degnamente, con meno preoccupazioni possibili.
Caratteristica principale della grande massa della popolazione, più che la “stupidità” è il conformismo.

L’uomo “comune” è, prima di ogni altra cosa, conformista, attributo che non ha in sé valenza necessariamente negativa.
In una società di virtuosi, per essere accettato egli si comporterebbe, nel limite delle sue possibilità, in modo virtuoso.
Al contrario, in periodi in cui l’elite è composta da criminali, questo  “uomo comune” nel suo piccolo ne assimila i comportamenti: ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per la “massa” si deduce in primis dall’esempio che danno i vertici.
La storia ci conferma che i parametri morali variano di molto nel corso dei secoli, e si differenziano anche nelle diverse culture.
Sapere in qualche modo direzionare questi parametri, significa poter definire anche i valori etici della popolazione.
E tentare questa operazione è proprio lo scopo di ogni elite che aspiri al potere.
Si è visto ad esempio, senza andare lontano, come a seguito dell’unità d’Italia la Massoneria abbia avuto come primo obbiettivo quello di prendere controllo dell’ istruzione, riuscendoci egregiamente, con i risultati che oggi possiamo osservare.
L’influenza che le elite possono avere nello creare l’etat d’espirit, e il modo per raggiungere tale risultato, è una scienza oggetto di studio all’interno della elite stessa, una scienza ovviamente difficilmente avvicinabile da chi di quella elite non fa parte.

Indagare i fondamenti su cui quella scienza si basa è attività di primaria importanza, per chi volesse tentare di sottrarsi all’indottrinamento a cui inesorabilmente si è stati sottoposti.

 

24 Settembre 2008

Psicopatici e potere

Loro ci hanno studiato. Essi sanno meglio di noi quello che noi sappiamo di noi stessi. Essi sono esperti nel premere i nostri bottoni, ad utilizzare le nostre emozioni contro di noi.

Ogni essere umano porta in sé una dote di pregi e di difetti, la sua anima è il risultato di una particolare alchimia in cui il bene e il male coesistono, creando un equilibrio che a seconda dei casi pende verso il primo o il secondo piatto della bilancia.
In questo equilibrio, quello a cui per natura gli esseri umani tendono quando si ritrovano nella collettività è una coesistenza pacifica, poiché la coesistenza pacifica è quella che garantisce un maggior vantaggio al singolo.
Si tratta di una questione pratica, prima ancora che morale: cooperare col prossimo porta vantaggi a tutti; ne beneficia il singolo, ne beneficia la collettività.
Queste considerazioni, d’altra parte, parrebbero essere smentite da una semplice osservazione degli avvenimenti che caratterizzano la storia degli uomini da millenni a questa parte.
Guerre, soprusi, saccheggi, odio ed intolleranza sono una costante nell’evolversi della civiltà umana.
Una apparente contraddizione, quindi.

Ma ad uno sguardo più attento, in seguito ad una analisi più approfondita delle vicende storiche, si può scoprire come nei secoli siano sempre stati gruppi di poche persone a determinare il corso degli eventi, gruppi di persone dotate di un particolare carisma o potere in grado di trascinare le folle e farle partecipi dei loro piani di dominio.
La grande domanda che chi studia i processi del passato e del presente dovrebbe porsi è infatti la seguente: perché sono sempre i peggiori esponenti del genere umano che detengono il potere?
Possono cambiare le forme di governo, la struttura della società, il livello di cultura o di ricchezza collettivo, ma saranno, in ogni caso, sempre i peggiori a comandare.
Persone che alla pacifica convivenza preferiscono la violenza perpetua, che spingono ed istigano le folle verso massacri distruttivi ed irrazionali.
Persone apparentemente senza sentimenti, senza coscienza, pronte a scatenare guerre ed a sacrificare milioni di uomini per raggiungere i loro obiettivi.
Apparentemente senza sentimenti.
Apparentemente?
Questo è il vero cuore della questione.
Esistono infatti persone che sono prive di quei sentimenti tipici degli esseri umani, sentimenti quali l’empatia, la capacità di provare pietà, l’istinto di protezione dei più deboli, la solidarietà.
Sono sentimenti propriamente “umani”.
Eppure, vi sono individui che questi sentimenti li ignorano del tutto.
La psicologia moderna descrive questa condizione come un disturbo, e cataloga chi ne soffre all’interno della famiglia degli psicopatici.
Ma quello che per la psicologia contemporanea viene catalogato come disturbo, all’interno della nostra società diviene un grande vantaggio.
Grazie all’impossibilità di provare qualsiasi sentimento di compassione, privo di ogni remora morale, lo psicopatico infatti ha tutte le carte in regola per scalare i gradini della gerarchia sociale, una gerarchia strutturata in modo tale da favorire la salita di chi è privo di scrupoli.
Il dottor Kevin Barrett, nel suo Twilight of the Psychopaths, sintetizza :

Gli psicopatici hanno svolto un ruolo sproporzionato nello sviluppo della civiltà, perché si prestano più facilmente a mentire, uccidere, ingannare, rubare, torturare, manipolare e, in generale, infliggere grandi sofferenze ad altri esseri umani senza alcuna sensazione di rimorso, al fine di stabilire il proprio senso di sicurezza attraverso il dominio.[…]
Quando si comprende la vera natura dell’influenza dello psicopatico, che è privo di coscienza, emozioni, egoista, freddo calcolatore, e privo di qualsiasi morale o norme etiche, si inorridisce, ma allo stesso tempo tutto improvvisamente comincia ad avere un senso.
La nostra società è sempre più senz’anima perché le persone che la portano avanti e che danno l’esempio sono senz’anima – letteralmente essi non hanno alcuna coscienza.
Nel suo libro Political Ponerology, Andrej Lobaczewski spiega che gli psicopatici clinici beneficeranno dei vantaggi anche in modo non violento nel corso della loro scalata delle gerarchie sociali.
Questo avviene perché possono mentire senza rimorso (e senza la presenza di quella spia fisiologica dello stress che viene rilevata dai test con la macchina della verità), gli psicopatici possono sempre dire ciò che è necessario per ottenere ciò che vogliono.

Gli psicopatici rappresentano un minoranza all’interno della società, ma hanno un grande vantaggio rispetto alla maggioranza.
Consapevoli della loro diversità, la usano per manipolare chi li circonda e per arrivare a posizioni di dominio.
Laggiù dove una persona mediamente onesta si fermerebbe, dinanzi a compromessi, patti con la propria coscienza, tradimenti, corruzioni, gli psicopatici avanzano senza esitare, e così arrivano senza ostacoli nelle stanze del potere.
In questo modo succede che la civiltà umana nei secoli venga guidata dai suoi peggiori rappresentanti, mentre la massa ignara viene stimolata affinché esprima le sue potenzialità più distruttive.
Ed in una società in cui i vertici dimostrano con il loro operato che è solo attraverso l’inganno e la furbizia che si può raggiungere il successo, le classi che compongono via via gli strati più bassi tenderanno ad imitare il comportamento di coloro che li precedono, portando la civiltà stessa alla inevitabile decadenza.
Quello che occorre, oggi come non mai, è comprendere il meccanismo con il quale gli psicopatici riescono a soggiogare i loro simili, comprendere che sono persone che ragionano e sentono in maniera profondamente diversa dal resto dell’umanità, capaci di gesti ed azioni inimmaginabili per un uomo comune.
Solo conoscendo il loro modo di operare, si può sperare di risvegliare l’umanità dall’incantesimo di cui attualmente è succube.
Il vero problema è che la conoscenza della psicopatia e di come gli psicopatici governano il mondo è stato effettivamente nascosto.
Le persone non hanno la benché minima conoscenza di cui avrebbero bisogno per compiere  un vero cambiamento dal basso verso l’alto.
Ancora e ancora, nel corso della storia si finisce per servire il nuovo capo, identico al vecchio capo.
Se c’è un lavoro che merita sforzi a tempo pieno e dedizione per il bene ultimo di aiutare l’umanità in questi tempi bui, è lo studio della psicopatia e la propagazione di tali informazioni in lungo e in largo e il più velocemente possibile.



Grazie a Dantem per aver segnalato i contributi del dottor Barrett e di Silvia Cattori.
Si veda anche:
Attenzione allo Psicopatico, figlio mio.
Sociopatici
Ponerologia, la scienza del male
Perchè i peggiori comandano?

 

10 Settembre 2008

Folle e condottieri - parte II

Continua la disamina del testo di Gustave Le Bon “Psicologia delle folle“.
Di seguito, alcuni paragrafi tratti dal primo capitolo: “Caratteristiche generali delle folle – Legge psicologica della loro unità mentale.”


di Gustav Le Bon

Nel senso consueto, la parola folla rappresenta una riunione di individui qualsiasi, qualunque sia la loro nazionalità, la professione e il sesso, qualunque siano i casi che li riuniscano.
Dal punto di vista psicologico, l’espressione “folla” assume un significato ben diverso.
In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone.
La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione.
Si forma un’anima collettiva, senza dubbio passeggera, ma che presenta ben precisi caratteri.
La collettività diventa allora ciò che, per mancanza di una migliore espressione – io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica.
Essa forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle. […]Il fatto più saliente manifestato da una folla psicologica é il seguente: quali si siano gli individui che la compongono, simile o dissimile sia il loro genere di vita, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza, il solo fatto che essi sono trasformati in folla, li fa partecipi di un’anima collettiva.
Quest’anima li fa sentire, pensare e agire in un modo completamente diverso da come sentirebbero, penserebbero e opererebbero isolatamente.
Certe idee, certi sentimenti non sorgono o non si trasformano in atti se non negli individui che costituiscono folla.[…]

E’ facile constatare come l’individuo che fa parte della folla differisca dall’individuo isolato; ma di una simile differenza le cause sono meno facili a scoprirsi.
Per giungere ad intravederle, bisogna ricordare prima di tutto questa osservazione della psicologia moderna : che non solo nella vita organica, ma anche nel funzionamento dell’intelligenza, i fenomeni incoscienti hanno una parte preponderante.
La vita cosciente dello spirito non rappresenta che una piccolissima parte in confronto alla sua vita incosciente. […]

Gli uomini più dissimili per intelligenza hanno istinti, passioni, sentimenti a volte identici.
In tutto ciò che é materia di sentimento : religione, politica, morale, affezioni, antipatie, ecc., gli uomini più eminenti non superano che assai raramente il livello degli individui comuni.
Tra un celebre matematico e il suo calzolaio può esistere un abisso sotto il rapporto intellettuale, ma dal punto di vista del carattere e delle credenze la differenza é spesso nulla o lievissima. […]

Nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano.
L’eterogeneo si sommerge nell’omogeneo, e le qualità incoscienti dominano. […]

Questa comunanza delle qualità consuete ci spiega perché le folle non saprebbero compiere atti che esigano un’intelligenza elevata.
Le decisioni di interesse generale prese da un’assemblea di uomini scelti, ma di diverse attitudini, non sono sensibilmente superiori alle decisioni che prenderebbe una riunione di imbecilli.
Difatti essi possono soltanto associare quelle qualità mediocri che tutti posseggono.
Le folle accumulano non l’intelligenza, ma la mediocrità. […]

Delle attente osservazioni sembrano provare che l’individuo, tuffato da qualche tempo in seno ad una folla in fermento, cade in breve in seguito agli effluvi che ne sprigionano, o per altra causa ancora ignorata – in uno stato particolare, simile assai allo stato di fascinazione dell’ipnotizzato tra le mani del suo ipnotizzatore.
Essendo, nell’ipnotizzato, paralizzata la vita del cervello, egli diventa lo schiavo di tutte le attività incoscienti che l’ipnotizzatore dirige a suo talento.
La personalità cosciente é svanita, la volontà e il discernimento aboliti.
Sentimenti e pensieri sono allora orientati nel senso determinato dall’ipnotizzatore.
Questo é all’incirca lo stato dell’individuo che fa parte della folla.
Egli non é più cosciente dei suoi atti.
In lui, come nell’ipnotizzato, mentre certe facoltà sono distrutte, altre possono essere condotte a un grado estremo di esaltazione.
L’influenza di una suggestione lo lancerà con una imperiosità irresistibile verso il compimento di certi atti.[…]

Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà.
Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro.
Egli ha la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi.
Si fa simile ad essi anche per la sua facilità a lasciarsi impressionare da parole, immagini, e guidare ad atti che ledono i suoi interessi più evidenti.
L’individuo della folla é un granello di sabbia in mezzo ad altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo capriccio. […]

Dalle osservazioni precedenti, si conclude che la folla é sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato.
Ma dal punto di vista dei sentimenti e degli atti che questi sentimenti determinano, essa può, seguendo le circostanze, essere peggiore o migliore.
Tutto dipende dal modo col quale essa é suggestionata.
Questo é quanto hanno misconosciuto gli scrittori che hanno studiato le folle solo dal punto di vista criminale.
Certo, spesso esse sono criminali, ma di frequente anche eroiche.
Facilmente sono condotte a farsi uccidere per il trionfo di una fede, di un’idea; vengono entusiasmate per la gloria e l’onore, si conducono quasi senza pane e senz’armi come nelle Crociate, per liberare dagli infedeli la tomba di un Dio, o, come nel 93, per difendere il suolo della patria.
Eroismi evidentemente un po’ incoscienti; ma é con tali eroismi che si fa la storia.
Se si dovessero mettere all’attivo dei popoli soltanto le grandi azioni freddamente ragionate, gli annali del mondo ne registrerebbero ben poche.


Folle e condottieri – parte I

 

6 Settembre 2008

Folle e condottieri - parte I

L’azione inconscia delle folle, sostituendosi all’attività cosciente degli individui, rappresenta una delle caratteristiche dei nostri tempi.
G.Le Bon, 1895.


Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d’un branco di animali o di una folla d’uomini, si mettono istintivamente sotto l’autorità di un capo, cioè di una guida.
Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole.
La sua volontà é il nodo intorno a cui si formano e si identificano le opinioni.
La folla é un gregge che non potrebbe far a meno di un padrone.
Il condottiero quasi sempre é stato prima un fanatico ipnotizzato dall’idea di cui in seguito s’é fatto apostolo.
Quest’idea ha talmente invaso che tutto sparisce all’infuori di essa, e tutte le opinioni contrarie gli sembrano errori e superstizioni.
Così Robespierre, ipnotizzato dalle sue chimereche idee, e che adoperò i procedimenti dell’Inquisizione per propagarle.I trascinatori di folle, il più delle volte, non sono intellettuali, ma uomini d’azione.
Sono poco chiaroveggenti, e non potrebbero esserlo, poiché la chiaroveggenza porta generalmente al dubbio e all’inazione.
Appartengono specialmente a quei nevrotici, a quegli eccitati, a quei semi-alienati che rasentano la pazzia.
Per quanto assurda sia l’idea che difendono o lo scopo che vogliono raggiungere, tutti i ragionamenti si smussano contro la loro convinzione.
Il disprezzo e le persecuzioni non fanno che eccitarli maggiormente.
Tutto é sacrificato, interesse personale e famiglia.
Perfino l’istinto di conservazione viene distrutto in essi, a tal punto che, spesso, la sola ricompensa che essi ambiscono é il martirio.
L’intensità della fede dà alle loro parole un grande potere suggestivo.
La moltitudine ascolta sempre l’uomo dotato di volontà forte.
Gli individui riuniti in folla, perdendo ogni volontà, si volgono istintivamente verso chi ne possiede una.

Così scriveva Gustave Le Bon nel suo essenziale Psicologia delle Folle, uno dei testi più importanti per comprendere i meccanismi dell’esercizio del potere nella società moderna.
Le Bon dimostra a tratti una lucidità disarmante, le sue intuizioni stupiscono ancora a distanza di oltre un secolo dalla loro pubblicazione.
La Psicologia delle Folle venne infatti data alle stampe nel 1895.
Per primo Le Bon seppe osservare e descrivere i sentimenti e le spinte che guidano le masse degli individui, e la sua opera, bistratta dal mondo accademico, divenne fonte di ispirazione per i movimenti totalitari che caratterizzarono la storia del XX secolo.
Mussolini e Hitler studiarono attentamente i suoi scritti, mentre nell’Unione Sovietica comunista i suoi libri venivano messi al bando, e contemporaneamente venivano attentamente studiati ed interiorizzati dai membri e dai gerarchi del Partito.

Paradossalmente i maggiori estimatori di Le Bon furono quindi quei condottieri che tristemente segnarono la storia del secolo scorso con le loro gesta, quei capi carismatici e “fanatici” così perfettamente, e profeticamente, descritti nel passo sopra citato.
I trascinatori di folle, figure che di certo non appartengono esclusivamente al passato.

22 Luglio 2008

Illusione di libertà

A commento del precedente articolo, Amare la propria servitù, che prendeva spunto dalla questione del prelevamento delle impronte digitali, Faurio esprime la seguente considerazione:

Scusate, molto pacatamente, vorrei che mi spiegaste quale tipo di problemi potrebbe avere la schedatura delle impronte digitali?
Sinceramente questo non potrebbe fare altro che aiutare la polizia nello svolgere i suoi compiti; magari qualche caso potrebbe essere facilmente risolto con un controllo delle impronte. 

Ne approfitto, nel rispondere, per aggiungere alcune ulteriori considerazioni sul concetto di “libertà”.


Antigone dinnanzi al tiranno Creonte


Dal mio punto di vista, i problemi che sorgono da un’operazione come quella della schedatura delle impronte digitali sono di due tipi.

Innanzitutto, una questione di dignità.

In quanto esseri umani abbiamo una dignità, ed al momento è tra le ultime cose che ci restano.
Lo schiavo, per definizione, è chi non può disporre del suo corpo liberamente; esistono poi diversi livelli di schiavitù.
Il fatto che qualcuno ci possa chiedere di porgergli il dito e noi non si possa rifiutare, ne rappresenta un primo gradino.
Se fossimo liberi potremmo rispondere “e chi ti ha dato il diritto di toccarmi, di prendermi il dito e di schiacciarlo sull’inchiostro?”
E’ una domanda banale, eppure, il ritenere che sia normale che qualcuno ci tocchi, ci schedi, ci cataloghi, è indice del fatto che la mentalità da schiavo, per mezzo dell’indottrinamento a cui siamo sottoposti, ha fatto breccia in noi.
Penso che tale questione sia importante.

Viviamo sotto un incantesimo, in cui una entità chiamata “stato” creata ad arte dai pochi per tenere a bada i molti si arroga il diritto di disporre di noi, decidendo quali siano i diritti e i doveri che ci sono concessi.
E qui sta il grande inganno.
I nostri diritti, i nostri doveri, non sono tali perchè così sta scritto su di un pezzo di carta.
Non è quel pezzo di carta che ci rende “uomini”.
Noi uomini nasciamo, liberi, a prescindere da sacre costituzioni e trattati solenni.
Siamo liberi per natura, a priori, e la nostra nascita porta con sé i nostri diritti e i nostri obblighi.

Per dirla con l’amata Antigone:

«Neppure pensavo i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili.
Non soltanto da oggi né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse».

Ma se con queste considerazioni si può essere più o meno d’accordo, rimane un’altra questione, indiscutibile, che dovrebbe mettere in guardia su operazioni di questo tipo.
Qualunque sia il nostro pensiero sull’importanza dello “stato”, è evidente che nei nostri tempi questa entità è gestita dagli elementi peggiori della società.
Arrivisti, persone senza scrupoli, cultori del compromesso pronti a vendere la propria dignità al miglior offerente.
Difficilmente questa realtà può essere negata: i peggiori elementi della società per una serie di motivi riescono ad assumere le postazioni di controllo.
Sperare quindi che questi individui possano agire per il bene della popolazione che tengono in smacco, è convincimento, prima che ingenuo, assai pericoloso.
La scienza del governare è l’arte con cui i pochi controllano i molti.

Ovviamente questa operazione viene propagandata come fosse un servizio reso al cittadino, ed ogni norma coercitiva viene descritta come messa in opera per il bene del controllato.
Non potrebbe essere altrimenti.
La prima fase del risveglio consiste nel rendersi conto che chi governa innanzitutto protegge se stesso e i suoi privilegi dalla massa dei suoi sudditi, sullo sfruttamento dei quali fonda la sua egemonia,

Compreso questo, il resto risulterà più chiaro.