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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
2 Aprile 2008

Papponi

 

Uno dei più celebri personaggi di Totò, Antonio La Trippa, sempre d’attualità nei periodi di campagna elettorale, conclude e brucia la sua corsa verso il parlamento nel famoso comizio, in cui denuncia gli esponenti del suo partito definendoli “papponi”.
Quello che ogni volta fa riflettere alla visione di questo film, è la sua verosimiglianza.
Le parole con cui i membri del partito presentano il candidato La Trippa sono parole che ancora oggi si sentono nelle migliaia di comizi elettorali dei vari movimenti.
I loro gesti, le parole retoriche e vuote, sono identiche a quelle pronunciate dai nostri “rappresentanti”.
Eppure, nel film si coglie la palese falsità e vacuità di tali personaggi, mentre nella vita reale a quelle stesse parole milioni di “cittadini” sono disposti a credere.
Gli stessi cittadini che probabilmente si divertono alla visione di questa scena.
E le parole conclusive del candidato La Trippa, (“perchè sono papponi…”) sono amaramente vere, oggi più che ieri.
Eppure, il rito del voto si ripeterà, sempre eguale, ancora disposti a credere alle promesse dei “papponi” di turno.
Ma si sa, quello di Totò era solo un film.

 

31 Marzo 2008

Cossiga, Goldman Sachs, Britannia

Il presidente Cossiga, intervenendo telefonicamente ad una trasmissione televisiva, ha lanciato accuse gravissime nei confronti del governatore della banca d’Italia Mario Draghi.
L’intervento di Cossiga viene riproposto dalla trasmissione satirica Striscia la Notizia in maniera scherzosa, ma le dichiarazioni del “picconatore” hanno un certo interesse


L’episodio a cui Cossiga fa riferimento è il celebre incontro avvenuto sul panfilo Britannia nel 1992, un incontro in cui i poteri dell’alta finanza decisero la svendita del settore produttivo italiano, segnando così l’inizio della fase declinante del nostro paese, fase declinante i cui effetti si stanno attualmente sperimentando.
Esponenti della destra e della sinistra, in perfetto accordo, fecero allora la loro parte, obbedendo ai poteri superiori che avevano già stabilito le linee guida per la politica del nostro paese.

…negli splendidi saloni del panfilo si son dati appuntamento oltre centro tra banchieri, uomini d’affari, pezzi da novanta della finanza internazionale, soprattutto di marca statunitense e anglo-olandese.
A guidare la nostra delegazione – raccontano in modo scarno le cronache dell’epoca – proprio lui, Draghi, che ai «signori della City» illustra per filo e per segno il maxi programma di dismissioni da parte dello Stato e di privatizzazioni.
Un vero e proprio smantellamento dello Stato imprenditore.
A quel summit, secondo i bene informati, avrebbe partecipato anche […] Giulio Tremonti, che sul programma Draghi cercò di far da pompiere: «non venne programmata alcuna svendita – osservò – fu solo il prezzo da pagare per entrare tra i primi nel club dell’euro».
Più chiari di così….
[…]
Guarda caso, tra gli invitati “eccellenti” del Britannia fa capolino George Soros, super finanziere d’assalto di origini ungheresi ma yankee d’adozione, a capo del Quantum Fund e protagonista di una incredibile serie di crac provocati in svariate nazioni nel mirino degli Usa, potendo contare su smisurate liquidità, secondo alcune fonti di origine anche colombiana.
E guarda caso, per l’Italia sarà settembre nero, anzi nerissimo, con una svalutazione del 30 per cento che costringerà l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi (direttore generale Lamberto Dini) a prosciugare le risorse della banca centrale (quasi 50 miliardi di dollari) per fronteggiare il maxi attacco speculativo nei confronti della lira.
continua…

La Goldman Sachs, a cui ancora allude l’ex presidente, è una delle più grandi banche d’affari del pianeta, e conta tra i suoi dipendenti, tra gli altri, lo stesso Draghi e Romano Prodi, che diligentemente si limitano dalle loro posizioni a fare gli interessi della colossale banca.

si veda anche: 1993 Draghi in imbarazzo

24 Marzo 2008

Esperienze di voto

…chi è senza peccato…

La prima volta che venni chiamato ad esercitare il mio sacro diritto dovere del voto era il 1996, e avevo da qualche mese compiuto i 18 anni.
All’epoca ero alquanto a digiuno di questioni politiche, ed era da poco passata la bufera di Mani Pulite che aveva “spazzato via” i partiti della prima repubblica.
Si presentarono alle elezioni sostanzialmente due coalizioni, quella di centrosinistra guidata dal PDS, erede del Partito Comunista, e lo schieramento di centrodestra, guidato dal carismatico Silvio Berlusconi.
Pur avendo scarse conoscenze sulle questione politiche, vedevo in Silvio Berlusconi un imprenditore sull’orlo della rovina che necessitava assumere la guida del paese per evitare il proprio fallimento economico personale.
Un uomo che sicuramente non aveva mire “altruiste”.
Di conseguenza, il mio voto alla coalizione del centrosinistra era assicurato.
Ma a quella età era forte anche l’influenza dell’ambiente famigliare; il termine “comunista” in casa suscitava all’epoca profondo orrore.
Mio padre veniva da una famiglia cattolica di contadini bergamaschi  che da sempre avevano votato per la Democrazia Cristiana, in un paesino in cui  il parroco era visto come la persona più autorevole.
Mio nonno materno invece durante la guerra civile greca che seguì la fine della seconda guerra mondiale era stato fatto prigioniero dai partigiani comunisti, la cui vicenda si discosta assai da quella dei loro compagni italiani.
La falce e il martello erano tabù nella casa greca, riportando alla memoria le sofferenze passate dal nonno durante la sua prigionia, sofferenze che furono tra le concause della sua morte prematura.
Al momento del voto quindi dovetti riflettere a lungo, il logo del PDS infatti  presentava ancora la falce e il martello, e mi sembrava un affronto alla memoria del nonno apporre un segno su tale simbolo.
Da una parte vi era la coalizione di un imprenditore ai miei occhi non sincero, e dall’altra un movimento ispirato da una ideologia a me avversa.
Ma il desiderio di votare e di esprimere il mio diritto dovere era troppo grande, così decisi di dare la mia preferenza ad un partito denominato “Rinnovamento Italiano”, capeggiato da Lamberto Dini, che appoggiava la coalizione del centro sinistra.
Quando mio fratello maggiore sorpreso mi chiese il perchè di tale scelta, gli risposi con aria seria e convinta :
“Lamberto Dini è un uomo di destra che appoggia una coalizione di centrosinistra. La sua presenza all’interno dello schieramento farà in modo che sposti gli equilibri della lista verso il centro, evitando pericolose derive verso gli estremismi di sinistra”.

All’epoca fui molto orgoglioso di questo mio ragionamento, e mi compiacqui della mia consapevolezza politica e della serietà della mia decisione molto ponderata.
Ripensandoci oggi, non posso che rimanere sconcertato dinnanzi ai danni che il linguaggio politicante propinato da telegiornali e quotidiani può produrre ad una giovane mente.
E così accade anche questo, votai per Dini.
Ma chi è senza peccato…
Negli anni successivi la presenza di Silvio Berlusconi nel panorama della politica italiana continuava ad apparirmi una anomalia che il paese doveva superare.
Questo, unito alla mia voglia giovanile di fare qualcosa di concreto per il mondo che mi accoglieva, mi portò ad entrare a far parte di un gruppo universitario di sinistra.
Rifiutai la tessera, essendo ieri come oggi allergico ad ogni forma di catalogazione, ma vidi in quel gruppo il posto migliore per fare qualcosa di concreto e di buono per migliorare le cose.
La mia esperienza in quel gruppo fu breve, anche se non faccio fatica ad affermare che la maggior parte dei ragazzi che ne facevano parte erano sinceramente animati da un desiderio di compiere qualcosa di positivo; le elezioni del 2001 furono anche le ultime in cui votai uno schieramento con convinzione.
Dal 2002 in poi la mia visuale cambiò radicalmente.
Come se nel velo di maya si fosse aperto un piccolo varco, iniziai a vedere i rappresentanti democratici per quello che effettivamente erano e sono: pallide marionette, arrampicatori facenti parte di una unica casta che si auto sorregge e che vive come un parassita sulle spalle dei “cittadini”.
Approfondii questioni storiche note e meno note, scoprii col tempo molti aspetti che ignoravo del tutto in precedenza.
Nel 2004 lo stato mi richiamò alle urne, questa volta per decidere la composizione del parlamento europeo e per l’elezione delle cariche locali.
Avevo da poco iniziato le mie letture sulla massoneria, così mi venne in mente un nome per un partito che avrei potuto votare:

 

In un pomeriggio mi armai di paintshop e creai il logo, poi ne feci alcune stampe su carta adesiva, in un formato compatibile con la dimensione dei simboli presenti sulla scheda elettorale.
Il giorno delle elezioni mi recai alle urne, applicai il mio adesivo su uno dei simboli scelto a caso e lo barrai.
Avevo votato per la Lega Anti-Massonica.
Devo ammettere che il tutto mi divertì parecchio.
Più che un gesto di protesta fu proprio una goliardata, e fu anche l’ultima volta che mi presentai per votare.
Inoltre, ancora adesso, poco modestamente, sono convinto che il mio logo sia uno dei più belli che mai sia apparso in una scheda elettorale italiana.
Ovviamente, ciò non basta a cancellare l’onta di aver votato, seppur in giovane età, per Rinnovamento Italiano.

 

20 Febbraio 2008

Senza stato: una storia reale

…dalle ossa estratta, dei greci le sacre…

Nel discorrere della società e della sua struttura, si sostiene spesso la necessità di uno stato ben organizzato in grado di garantire la sicurezza dei cittadini e la difesa dei più deboli.
La sicurezza, l’ordine e l’organizzazione del vivere civile sono, secondo questo punto di vista, gli elementi che rendono imprescindibile la presenza di un potere centrale che sappia regolare lo svolgimento del vivere quotidiano. Chi sostiene invece la nocività di un potere centrale, e vede lo stato come un ente costrittivo che limita enormemente la libertà del singolo, è tenuto a rispondere ad una serie di naturali obbiezioni, che riguardano le funzioni principali dello stato stesso prima menzionate: chi eviterebbe, in mancanza di un potere forte, che la società si trasformi in una giungla?
Lasciando da parte per il momento una disquisizione tanto impegnativa, credo che un ottimo spunto per eventuali riflessioni possa essere dato dall’analisi di alcuni fatti storici, esperienze reali che possano offrire un interessante paradigma.
A tal proposito mi piace spesso ricordare ciò che avvenne nella nazione greca in seguito alla rivoluzione del 1821, e la fine della egemonia ottomana.

Nel XIX secolo in Grecia si concluse la dominazione turca, che si protraeva da circa quattro secoli.
La gestione del territorio era fino allora in mano ai rappresentanti del potere ottomano, e la terra era proprietà delle nobili famiglie turche.
Come accade in ogni dominazione straniera, la maggior parte degli autoctoni lavorava queste terre in condizione di semi schiavitù.
Con la fine della rivoluzione e l’allontanamento dei dominatori turchi, verso la metà del XIX secolo in gran parte della penisola greca si venne a creare quello che gli storici chiamano un vuoto di potere.

Lo stato greco si stava lentamente organizzando, venne scelta come capitale Atene, all’epoca un piccolo centro di poche migliaia di abitanti, e nel frattempo la popolazione nel resto del paese dovette continuare la propria vita.
La prima questione da risolvere era la distribuzione della terra lasciata libera dai vecchi dominatori turchi.
Nella provincia dell’Elide i campi vennero divisi in lotti dagli abitanti stessi, e per decidere come distribuirli si organizzarono delle corse con i cavalli.
Ogni famiglia fu rappresentata da un cavaliere, ed in seguito alla gara il vincitore avrebbe scelto la porzione a lui più congeniale.
Il secondo classificato sceglieva un altro lotto, e così via, fino che tutte le terre coltivabili fossero divise.

Prima della gara le comunità avevano stabilito quali terre assegnare alle vedove e agli orfani, affinché anch’essi potessero avere una fonte di sostentamento.
In questo modo la vita ricominciò a prendere il suo ritmo, e le popolazioni del luogo furono, per la prima volta dopo secoli, proprietarie delle terre che coltivavano.
Essendo la terra alquanto fertile era in grado di dare sostentamento a tutti gli abitanti, e nel giro di pochi anni si poterono avviare anche le prime forme di commercio con mercanti stranieri, sfruttando il surplus della produzione.

Lo Stato centrale non si era ancora organizzato, e le varie comunità si amministravano in maniera autonoma, prevalentemente con le riunioni dei capofamiglia e la guida degli anziani di ogni paese.
La vita procedeva tranquilla, pur senza polizia per le strade la gente non si ammazzava a vicenda.
Finchè il governò centrale di Atene finalmente si diede una struttura, emanò le prime leggi, e formò un esercito nazionale.

Una delle prime leggi emanate riguardava la nazionalizzazione delle terre.
Tutte le terre della nazione da quel momento divenivano proprietà dello Stato greco, in nome del popolo greco, ovviamente, e il primo compito dell’esercito greco neoformatosi fu espropriare con la forza le terre ai contadini che nel frattempo le avevano lavorate.
In seguito le stesse terre furono rivendute dal governo, e finirono in gran parte in mano ai grandi latifondisti protettori dei governanti.
I pochi contadini che riuscirono a ricomprarsi la propria terra dallo stato dovettero rivenderla a breve, poiché le tasse che nel frattempo il governo aveva imposto rendeva impossibile trarre guadagno dalla coltivazione diretta di piccole proprietà.

Nel giro di un decennio quindi i contadini si ritrovarono nuovamente a fare i braccianti, nuovamente in condizione di indigenza.
Ai vecchi padroni turchi si erano semplicemente sostituiti quelli greci.
Questo breve lasso di storia greca offre numerosi spunti di riflessione.
Ovviamente è una storia che risale a più di un secolo e mezzo fa, e diversa era la società del tempo rispetto a quella attuale.
Ma risultano, a mio parere, comunque significativi alcuni fatti.

Innanzitutto la popolazione dimostra di saper gestire e dividersi la terra in modo oculato ed equo, mostrando solidarietà verso gli elementi più deboli della comunità.
La divisione non avviene mediante atti violenti, ma in base ad un comune accordo.
In secondo luogo, la comunità prospera con il semplice esercizio della coltivazione della terra, laddove ognuno provvede ai propri bisogni lavorando la propria porzione.
Infine, nessuna polizia risulta necessaria per il “mantenimento dell’ordine pubblico”.
Le persone dimostrano di avere più convenienza nel collaborare che nello scannarsi a vicenda.

Al contrario, il primo gesto che lo stato appena formatosi compie è il togliere le terre ai contadini che le coltivavano e il concederle ai ricchi protettori latifondisti, che con i loro mezzi avevano permesso la formazione della elite governativa.
E le tasse, imposte dal governo centrale per il proprio mantenimento, hanno fatto in modo che non risultasse più vantaggioso per i piccoli proprietari il mantenimento dei loro limitati possedimenti.
Storie lontane, forse, ma gli esseri umani nel loro profondo rimangono sempre gli stessi.
Sempre ci saranno coloro che vogliono solamente vivere in pace gli uni con gli altri, e coloro che con la scusa dell’organizzazione si ingegneranno per togliere ai molti e dare ai pochi.

 

17 Febbraio 2008

Qualunquismo

La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta
Theodor Adorno

Ci sono due tipi di persone, tra coloro che decidono di non recarsi alle urne per esercitare il proprio sacro diritto-dovere del voto democratico.
Innanzitutto vi sono coloro che non si interessano delle questioni politiche, che a priori hanno deciso che l’esercizio del voto è totalmente inutile, e che nulla mai potrà cambiare le loro condizioni.
E vi sono poi coloro che delle questioni politiche si interessano eccessivamente, che sono alla perenne ricerca di notizie che ne spieghino i retroscena, che tentano di fare luce sulle questioni di cui normalmente i media non trattano.
La differenza tra le due tipologie di astenenti consiste nel fatto che i primi impiegano molto meno tempo e molte meno energie per comprendere quello che i secondi scoprono dopo lunghe ricerche.
Decenni di indottrinamento hanno fatto in modo infatti che il cittadino si convincesse che il modo migliore per partecipare attivamente alla vita del proprio paese, per avere un ruolo attivo nel processo di presa delle decisioni utili al bene comune, fosse l’esercizio del diritto-dovere del voto.
Il cittadino modello, educato, responsabile, si informa attraverso i telegiornali, legge i quotidiani, confronta le diverse idee proposte per la soluzione dei problemi e la gestione del bene pubblico, e di conseguenza esprime democraticamente la sua preferenza.
Il cittadino, in questo aulico paradigma, è protagonista.
E i rappresentanti democratici, che ne fanno le veci, sono i degni delegati atti ad esercitare la volontà popolare.

In questo scenario commovente, chi esprime dubbi sulla reale legittimità del sistema ricade nel vortice del qualunquismo.
L’origine del termine risale storicamente al movimento politico fondato da Guglielmo Giannini, il celebre Fronte dell’Uomo Qualunque, un movimento che si proponeva di limitare i poteri dello Stato e la sua ingerenza nella vita quotidiana del singolo.
Rivendicazioni portate avanti in maniera a volte teatrale, all’italiana, e denigrate dagli avversari politici e dai mezzi di informazione ufficiali.
Attualmente il termine “qualunquismo” è usato in modo dispregiativo, volendo caratterizzare l’atteggiamento superficiale di coloro che esprimerebbero pareri sommari e demotivati sulle questioni politiche, giudizi dettati da una ignoranza riguardo le suddette questioni.
Un frase qualunquista potrebbe essere ad esempio “i politici sono tutti ladri”, oppure “tanto chiunque vada al governo non cambia nulla”.
Appare quindi evidente che il tacciare una idea di “qualunquismo” è un chiaro meccanismo escogitato dai rappresentanti stessi del sistema per svilire coloro che hanno compreso delle verità sulle quali è meglio non investigare.
Che a tali verità si sia arrivati per intuito, pigrizia, o attenta valutazione, poco importa: l’essenziale per il sistema del potere è che la commedia del suddito-elettore-protagonista continui a propagandarsi, e che la fiducia nelle istituzioni non venga mai meno.