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Con la scusa dell’ Ambientalismo.
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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
29 Giugno 2010

Pensiero magico ed evocazione

…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore.
Capire la propaganda, R. Winfield


Diffusione del simbolismo occulto

Il costante aumento della presenza del simbolismo occulto nella cultura popolare contemporanea è un dato di fatto, mentre divergono le opinioni sul reale significato di tale fenomeno.
Il parere più diffuso vede nell’utilizzo di queste tematiche una semplice moda del momento, oppure un banale esercizio commerciale studiato per rendere più appetibili ed intriganti i prodotti dell’industria del divertimento e dell’intrattenimento.

Si tratta di una opinione legittima, ovviamente, specialmente all’interno di un’epoca in cui al linguaggio simbolico non viene riservata la medesima attenzione di cui era oggetto nei secoli passati.
Questa diffusione, divenuta negli ultimi tempi vera e propria ostentazione, genera tuttavia parecchi interrogativi, sopratutto in coloro che ritengono l’uso del simbolismo un mezzo assai efficace di comunicazione, un metodo attraverso il quale determinati messaggi possono essere trasmessi in modo diretto e profondo.
Tuttavia, anche coloro che non concedono al simbolismo tale valenza, potrebbero comunque rimanere perplessi dinanzi a tale diffusione, se non altro per una questione di buon gusto.

Se si dovessero prendere in considerazione altre motivazioni, che non si riducano a semplici questioni di moda e di marketing, ci si potebbe di conseguenza domandare quali motivi possano giustificare questo fenomeno.
Considerato il carattere della questione, si dovrà necessariamente restare nel campo delle ipotesi; nonostante ciò, è comunque possibile cogliere una certa logica di fondo nell’intera operazione, sopratutto se analizzata da un punto di vista più vasto.

Organizzazioni segrete poco segrete

Negli ultimi anni, in particolar modo grazie all’esponenziale crescita del materiale informativo reso disponibile dalla diffusione della rete, sono divenute popolari analisi che cercano di indagare il ruolo giocato da gruppi di potere più o meno segreti, più o meno occulti, all’interno dello svolgimento dei grandi eventi sociali e culturali che caratterizzano la nostra storia recente, e non solo.
Concetti quali il Nuovo Ordine Mondiale, organizzazioni elitarie quali il gruppo Bilderberg, il CFR, i cosiddetti Illuminati, relegati fino a qualche anno fa ad oggetto di studio di pochi visionari catalogati sotto l’etichetta di “teorici della cospirazione”, hanno ormai guadagnato nel tempo una certa dose di popolarità, perlomeno all’interno del mondo della rete, e timidamente iniziano ad essere trattati anche dai mezzi di comunicazione tradizionali.
Vi sono trasmissioni televisive in prima serata che si occupano del simbolismo massonico, altre che addirittura danno risalto alle teorie più estreme sugli “Illuminati”, che danno voce ad analisti che espongono teorie della cospirazione che vorrebbero rivelare piani di dominio segreti e a loro modo diabolici.

 

La statua del grande gufo nel Bosco Boemo

Ed in effetti, parrebbero assai poco “segrete” delle organizzazioni i cui piani vengono analizzati e discussi in prima serata in trasmissioni di intrattenimento seguite da milioni di persone.
Coloro che da sempre tengono posizioni scettiche dinanzi a tali argomenti vedono in tale diffusione una chiara conferma della loro opinione: non vi può essere nulla di misterioso od occulto in qualcosa di così pubblicizzato.
E, senza dubbio, tale posizione è del tutto logica.

Dal lato opposto, chi si occupa di questi argomenti da diversi anni, da quando il reperire informazioni sulle società segrete e sui gruppi elitari di potere era tutt’altro che agevole ed immediato, vede in questa loro improvvisa “notorietà” un chiaro segno del fatto che certi programmi sono entrati nell’ultima fase, quel finale di partita in cui i giocatori si possono permettere di rivelarsi senza timore, dal momento che tutto è già stato studiato al minimo dettaglio e nulla potrà più sconvolgere l’ordine predisposto degli eventi.
Ed anche questa seconda opinione possiede una sua legittima logica.

Vi è, tuttavia, una terza possibilità, a sua volta del tutto coerente all’interno del pensiero esoterico a cui tali organizzazioni si rifarebbero.

Il pensiero magico

In una epoca sulla carta materialista e razionalista come la nostra l’analisi del pensiero magico  può al massimo avere, come si è detto, una valenza antropologica, applicata specialmente allo studio di popolazioni primitive oppure appartenenti al passato.
Per quanto concerne l’età contemporanea si potrà invece analizzare l’apporto che tale pensiero ha avuto nel formare quel substrato di credenze superstiziose ed irrazionali ancora presenti nella cultura popolare.
Si tratterà comunque sempre di ricerche di tipo “antropologico”, appunto, e difficilmente lo studio del pensiero magico verrà preso in considerazione nel momento in cui verranno analizzati i grandi processi sociali e culturali che hanno influito sui maggiori eventi storici della nostra epoca.
Nei grandi movimenti politici, nei principali protagonisti della nostra storia recente, nel cercare le motivazioni ultime che portano alle rivoluzioni ed ai grandi cambiamenti epocali la moderna storiografia cercherà sempre, quali “spinte”, le ragioni maggiormente coerenti col pensiero predominante, ragioni “logiche” spiegabili all’interno di processi razionali e meccanici.

Il cosiddetto “pensiero magico”, a cui si concede una importanza secondaria all’interno dello sviluppo della cultura contemporanea, è invece considerato quale fondamentale limitatamente per quanto riguarda le civiltà arcaiche, dette anche primitive, dal momento che l’antropologia moderna ha oggi riconosciuto l’importanza che tale pensiero rivestiva all’interno della organizzazione sociale di quelle popolazioni.
Ed uno degli aspetti di questo pensiero magico, quello che in questa breve trattazione maggiormente ci interessa, risiede nella sua ritualità evocativa.

Una diversa percezione della realtà

Tra le testimonianze del cosiddetto “uomo preistorico” giunte fino a noi spiccano per interesse artistico e capacità evocativa numerosi dipinti murali ed incisioni, espressioni di profonde civiltà sviluppatesi migliaia, se non decine di migliaia, di anni fa, opera di uomini del tutto simili a noi fisicamente ma con una sensibilità assai distante dalla nostra.
Dipinti ed incisioni inizialmente catalogati come “espressioni artistiche”, come mere decorazioni, a seguito di valutazioni sicuramente riduttive che avevano il difetto di giudicare con parametri contemporanei l’ispirazione e l’immaginario di culture del tutto diverse dalla nostra.
Col tempo, grazie ad analisi più approfondite, grazie a studi che perlomeno tentavano di interpretare il possibile spirito del tempo, si è compreso che quelle produzioni non potevano essere capite se non ricostruendo anche la percezione che quegli uomini avevano del creato, il rapporto che condividevano con la natura e gli eventi che intorno a loro si verificavano.
In un mondo non meccanico come il nostro, tutto l’esistente era concepito quale allegoria e simbolo di realtà superiori, ed ogni azione non si limitava ad una semplice concatenazione di cause ed effetti, ma celava in sé un significato simbolico e magico: l’azione e il rito erano indistinguibili, ed ogni movimento, ogni pensiero, aveva in sé una connotazione sacra.

Nello stesso modo, i dipinti e le raffigurazioni che ancora oggi possiamo ammirare erano simbolo e rito nel medesimo momento.
La realtà raffigurata in una umida parete di una caverna riproduceva un momento centrale della vita degli uomini, ma prima ancora raccontava un momento rituale-mistico destinato a ripetersi ciclicamente in eterno.
Quel momento veniva riprodotto e mitizzato; di più: veniva evocato.
In un universo dominato dal tempo ciclico in cui ogni avvenimento, come le stagioni e i cicli della luna, le nascite e le morti, era destinato a ripresentarsi, ogni racconto era contemporaneamente anche anticipazione, evocazione, ed in un mondo in cui la legge della causa-effetto è meno rigida di quanto la possiamo concepire noi moderni, una riproduzione fatta dall’uomo poteva contribuire a far sì che un determinato evento avesse un certo esito piuttosto che un altro.

Un presente inestricabilmente legato col passato e col futuro, un tempo ciclico in cui gli eventi si ripropongono sempre simili e mai eguali a se stessi, la convinzione di poter influire su quella medesima realtà per mezzo del racconto mitico, che essendo indissolubile dalla realtà vissuta poteva influenzarne lo svolgimento.

Danze ed incisioni

Gli antropologi occidentali poterono in qualche modo avvicinarsi alla comprensione di questo immaginario quando nel corso del XX secolo vennero a contatto con popolazioni che vivevano isolate da millenni, sopratutto in Africa e in Oceania, e che avevano mantenuto organizzazioni sociali ed usanze dagli occidentali stessi catalogate quali “primitive”.

Uno dei rituali, ad esempio, che i moderni studiosi poterono osservare da vicino, immutato da millenni, era quello della preparazione della caccia, comune a diverse di queste civiltà “primitive” in varie parti del mondo.
In molte di queste comunità, quindi, gli uomini che si apprestavano a recarsi ad una battuta di caccia partecipavano ad un complesso rituale che consisteva nella proposizione della battuta stessa: il sacerdote o lo stregone raccoglieva intorno a sé gli uomini e dipingeva per terra l’immagine degli animali che sarebbero stati cacciati; in seguito, l’immagine veniva colpita con le armi dai cacciatori, i quali concluso il rituale si impegnavano nella caccia vera.
Il significato del rito è evidente: i cacciatori, dal momento che credono nell’indissolubile legame tra verità e simbolo, tra realtà e rappresentazione, per mezzo del rito “forzano” in qualche modo la realtà a seguire quest’ultimo, e ad adeguarsi di conseguenza al loro volere.

I pittori che 20.000 anni fa dipingevano scene di caccia sulle pareti delle loro sacre caverne mettevano in scena il medesimo rituale: ancora una volta, la rappresentazione doveva precedere la realtà, il mito doveva direzionare gli eventi verso l’esito voluto.

Una ipotesi per il presente

L’arte e le usanze delle cosiddette popolazioni primitive non si potrebbe quindi capire se non cercando di comprendere una concezione del mondo del tutto diversa rispetto a quella dominante nella modernità.
Tuttavia, quella percezione, definita in maniera forse riduttiva “pensiero magico”, non si è mai del tutto estinta, e ha lasciato le sue tracce nell’immaginario contemporaneo sotto forma di confuse “superstizioni” (superstizione = ciò che rimane).
Non solo: questa visione è tuttora viva all’interno del pensiero esoterico ed occulto che  costituisce oggetto di studio ed interesse per gli ordini iniziatici ed elitari ancora presenti, e prosperi, nelle nostre società.

Come si è visto, di questi ordini fecero parte, e ne fanno tuttora, personalità influenti, pensatori, politici, intellettuali in grado di direzionare gli etat d’esprit di intere epoche.
E quando la cultura di un’ epoca produce, per quanto riguarda l’immaginario popolare, un certo tipo di simbolismo, ci si potrebbe chiedere se in qualche modo tale produzione non ricalchi i canoni della ritualità espressa dal pensiero magico, una componente della creatività umana mai realmente estintasi.

Il simbolismo luciferiano mai come oggi ostentato potrebbe essere nient’altro che un immenso rito di evocazione, così come una certa produzione cinematografica (ovvero i moderni dipinti rupestri) di genere apocalittico più che una catarsi collettiva delle paure di inizio millennio potrebbe rappresentare in realtà una sorta di tentata anticipazione degli eventi futuri, un tentativo di condizionare gli eventi stessi per mezzo del simbolo.
E gli stessi gruppi elitari, fino a poco tempo fa ignoti al grande pubblico, che escono allo scoperto sbandierando le loro visioni di potere riguardo il futuro dell’umanità starebbero in realtà mettendo in atto, semplicemente, un enorme rituale, un rito collettivo in cui dall’evocazione del loro progetto si attendono la sua conseguente riuscita, come i cacciatori che inscenano la morte della loro preda prima di partire per la caccia.

Si veda anche:
I prodromi della diffusione del pensiero occulto
La scienza della persuasione

10 Giugno 2010

I prodromi della diffusione del simbolismo occulto

Un filosofo si recò un giorno da un Maestro zen e gli disse:
“Sono venuto ad informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi e i suoi scopi”.
“Posso offrirti una tazza di tè?” gli domandò il maestro. E incominciò a versare il tè da una teiera. Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
“Ma che cosa fai?” sbottò il filosofo, “non vedi che la tazza è piena”?
“Come questa tazza,” disse il maestro, “anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché le si possa versare dentro qualcos’altro… come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

Ornamento e delitto

Correva l’anno 1908 e l’architetto Adolf Loos dava alle stampe un libro destinato a diventare un classico del movimento moderno, mettendo per iscritto, per la prima volta, uno dei fondamenti della cultura del novecento.

Io ho scoperto e donato al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà é sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso.

Il libro di Loos si intitolava Ornamento e delitto, e già dal titolo delineava con chiarezza il pensiero di fondo che lo animava.
Loos, quindi, rileggendo la storia dell’arte e dell’architettura in occidente individuava nell’ornamento una delle caratteristiche estetiche che necessariamente avrebbero dovuto far parte del passato, un qualcosa che non sarebbe più dovuto entrare nel bagaglio culturale dell’uomo moderno, l’uomo che si sarebbe mosso nel XX secolo.

Nella visione di Loos l’ornamento negli oggetti di uso rappresentava un fattore ridondante, un di più che finiva per pregiudicare la funzionalità dell’oggetto stesso; tale funzionalità diveniva quindi l’unico punto di riferimento nella progettazione e nella costruzione di un manufatto (o di un edificio); una sedia doveva servire per sedersi, ed era inutile “arricchirla” con incisioni o ghirigori; occorreva piuttosto studiarla in modo che si adeguasse nel migliore dei modi all’anatomia dell’individuo.
Lo stesso discorso andava fatto per ogni oggetto d’uso: era necessario concentrare tutte le energie sulla “praticità”, ed eliminare tutto il superfluo.

Questo fu, in sintesi, il principio del pensiero del movimento moderno che si diffuse e divenne predominante in occidente nel campo dell’architettura e del design all’incirca agli inizi del XX secolo
L’eco di tale movimento è giunto attraverso diverse fasi ed alcune evoluzioni fino ai giorni nostri: se le sedie dei nostri uffici puntano maggiormente sul confort piuttosto che sull’estetica, se i nostri tavoli sono lisci e squadrati, se le linee semplici predominano in quasi tutti i nostri oggetti quotidiani, molto di questo lo dobbiamo alla diffusione ed al successo del movimento moderno.
D’altra parte, basta fare un semplice paragone con una scrivania del XVII secolo con una contemporanea per rendersi conto del cambiamento del gusto intercorso: così come noi potremmo giudicare “pesante” e “ridondante” un mobile dell’ancien regime, allo stesso modo un uomo colto di quell’epoca troverebbe le creazioni del nostri migliori designer incredibilmente povere e spoglie, pressoché “nude”.

Sicuramente non fu certo Adolf Loos colui che impose tale passaggio, trattandosi di un processo culturale e di costume già avviato, ma nondimeno a lui va il merito di aver messo per iscritto e descritto, con lucidità e precisione, il fondamento del sentimento che si andava diffondendo.

Come spesso accade nei processi culturali tale rivoluzione estetica ebbe bisogno di parecchi decenni per affermarsi anche ad un livello popolare; ancora negli anni 70 (e in parte ancora oggi) venivano considerati “moderni” oggetti pensati e sviluppati negli anni 20 e 30, conosciuti e diffusi all’epoca all’interno di una ristretta cerchia di intellettuali.
La celebre scuola del Bauhaus a cavallo tra le due guerre fu il massimo punto di espressione del movimento funzionalista, e la sua attività influenzò definitivamente la concezione estetica di tutto il XX secolo: nel campo del design, i progetti e le sperimentazioni di tale scuola divennero nei decenni successivi i modelli da seguire per la definizione degli oggetti quotidiani delle popolazioni occidentali, e non solo, e ancora oggi vengono studiati nelle facoltà di architettura e di disegno industriale.
Tale movimento di “purificazione”, di liberazione dal superfluo, fu quindi un processo percepito, teorizzato ed infine applicato da una elite di studiosi ed intellettuali nel campo delle scienze applicate, ed in seguito diffuso a livello popolare nel corso di diversi decenni.

L’oblio del Simbolismo

La diffusione di questa nuova sensibilità estetica nel campo del design e dell’architettura a sua volta era parte di un processo ancora più grande, un cambiamento che traeva origine dalle grandi rivoluzioni sociali e scientifiche del XIX secolo e che avrebbe portato ad eliminare tutto ciò che risultava “superfluo” e “non funzionale” nella stessa esistenza dell’uomo.
Fino ad allora l’uomo aveva infatti convissuto con un immaginario mitico-religioso che lo portava a credere nell’esistenza di entità e realtà non direttamente percepibili con i cinque sensi.
Le nuove scoperte della scienza e della fisica, così come la diffusione del materialismo e del razionalismo e la crisi delle religioni secolari, offrivano ora un nuovo paradigma, l’immagine di un nuovo mondo in cui nulla esiste oltre ciò che appare, poiché solo ciò che è osservabile e misurabile esiste realmente.

Fu solo in un contesto simile che le idee del modernismo nell’arte e nel design poterono diffondersi adeguatamente: improvvisamente, tutta quella lunghissima tradizione di segni e simboli con i quali gli uomini avevano integrato le loro creazioni divennero delle semplici “decorazioni”, ornamenti che agli occhi dei moderni non avevano altra funzione se non minare la funzionalità dei loro “strumenti”.

Questo fu storicamente il momento in cui in occidente il significato e la funzione del simbolismo cadde nell’oblio, il momento in cui una forma di linguaggio millenaria veniva dimenticata dalla maggioranza della popolazione.
Nelle nostre scuole, ad esempio, si insegna come il ricco simbolismo delle chiese medioevali fosse un modo per trasmettere ad una popolazione analfabeta importanti nozioni di carattere sociale e religioso, e non ci si sofferma mai abbastanza sul fatto che persone senza la minima istruzione potessero perfettamente comprendere immediatamente un linguaggio che noi possiamo cogliere in minima parte solo a seguito di lunghe analisi e approfonditi studi.

Il simbolismo, quindi, in tutte le sue forme, divenne pressoché incomprensibile ai più, e quello che rappresentava un vero e proprio codice di conoscenze fisiche e metafisiche venne considerato una sorta di decorazione, creazioni che tuttalpiù potevano possedere un valore artistico.
Lo stesso Loos sosteneva che l’uso di simboli, di ornamenti, è una chiara espressione di culture non ancora propriamente civilizzate, culture “barbare”, antiche usanze che la modernità avrebbe definitivamente accantonato, e questo suo pensiero era pressoché condiviso da tutti gli esponenti del movimento moderno, i fautori dell’etat d’esprit che avrebbe caratterizzato il XX secolo.

L’Esoterismo dei materialisti

Paradossalmente, ma solo in apparenza, questo processo di “purificazione” si sviluppava in parallelo con la diffusione di numerosi movimenti “esoterici”, ordini iniziatici in cui lo studio del simbolismo ricopriva un ruolo fondamentale.
Gli ultimi anni del XIX secolo e i primi del XX furono infatti gli anni della massima espansione dello spiritismo, di movimenti quali la Teosofia e la Golden Down, il Martinismo e il neo-gnosticismo, movimenti che rientrano in quel grande revival del misticismo che René Guénon ben sintetizzò con il termine “Neospiritualismo”.
A tali movimenti si deve ovviamente aggiungere la massoneria moderna, ed è bene ricordare che a tali ordini iniziatici aderirono i massimi esponenti della cultura e della politica dell’occidente.

La situazione culturale dell’epoca quindi presentava una immagine oltremodo interessante: mentre da una parte le masse venivano introdotte al materialismo ed al “razionalismo”, per mezzo dell’arte, dell’architettura e sopratutto dell’istruzione, dall’altra parte la medesima elite che diffondeva questo nuovo e rivoluzionario sentire si dedicava allo studio di quello stesso simbolismo che ufficialmente veniva denigrato e retrocesso a semplice vezzo artistico di epoche culturalmente “barbare”.
In verità, oggi sappiamo che la ricerca esoterica e le aspirazioni iniziatiche non furono mai abbandonate dalle elite culturali e politiche.
Quello che invece era mutato era il punto di riferimento attorno a cui si muovevano tali ricerche: lo sguardo dall’alto si era progressivamente spostato in basso.

Il simbolismo tradizionale era indissolubilmente legato ad una visione del mondo spirituale, tutto l’insieme di questo linguaggio universale mirava a descrivere il rapporto degli esseri umani con le realtà superiori.
Al contrario, nel neospiritualismo moderno lo studio del simbolismo ha come fine il raggiungimento di presunte “possibilità” che la codifica di questi linguaggi può aprire al singolo o ad un gruppo di iniziati.
Possibilità “terrene”, materiali, laddove si tenta di sfruttare presunte forze non-fisiche per ottenere benefici contingenti.
Per tale motivo, tra l’altro, il termine esoterismo risulta improprio se associato alle correnti neo-spiritualiste, dal momento che l’esoterismo in sé rappresenta una via di conoscenza che porta ad una maggiore comprensione delle realtà sensibili e non sensibili.
Più opportuno, di conseguenza, appare l’uso del termine “occultismo” per descrivere tali movimenti, laddove per occultismo si intende il tentativo di manipolare forze ed entità non fisiche per il raggiungimento di obbiettivi materiali.
Tuttavia, questo oblio del simbolismo verificatosi nel XX secolo a livello popolare rappresentò solo un passaggio di un processo ancora più ampio, un processo che a partire dagli ultimi decenni del 900 entrò in una fase molto più avanzata.

Svuota la tazza, riempi la tazza

Lo scopo ultimo delle elite di potere non è mai stato quello della diffusione del materialismo e del positivismo estremo: queste ideologie già oggi appaiono alquanto superate.
La propagazione del materialismo fu invece un passaggio essenziale per rendere le masse pronte a recepire la diffusione della nuova religione che maturava nei circoli iniziatici e nelle logge frequentate dall’elite più consapevole dei cambiamenti in gioco.
In tali circoli non si è mai smarrita la fede nella “potenza” dei simboli, una fede che poco aveva a che fare con lo studio del simbolismo tradizionale: per tali movimenti l’uso del simbolismo ha infatti  uno scopo prettamente pratico.
All’interno di una serie di credenze in fin dei conti “meccaniciste”, i propagatori del neo-spiritualismo moderno sono convinti di poter far uso del linguaggio dei simboli per comunicare la loro visione del mondo e condizionare le popolazioni bypassando la loro sfera razionale, raggiungendo così i loro scopi in maniera più efficace.

E per poter diffondere questo nuovo tipo di linguaggio era necessario, come si è visto, che la antica concezione tradizionale del simbolismo venisse prima dimenticata.
Era necessario fare tabula rasa delle antiche conoscenze, per poter così meglio diffondere un nuovo paradigma.
In questo modo, possiamo oggi osservare intorno a noi una vera e propria “invasione” di un simbolismo trasfigurato senza che la maggioranza delle persone possa coglierne il significato.
I principali mezzi di diffusione di questo revival simbolista sono ovviamente il cinema e sopratutto la musica popolare, in particolar modo quella rivolta ai più giovani, dal momento che è opportuno che l’indottrinamento parta il prima possibile.
Occhi onniveggenti che spuntano ovunque, triangoli e pentacoli, tematiche luciferiane e riferimenti a presenze psichiche sono diventati elementi della cultura popolare, mentre la loro reale valenza non viene colta e si interpretano quali semplici forme di “espressione artistica”, come d’altra parte teorizzavano i precursori del movimento moderno cento anni fa.

si veda anche: La scienza della persuasione

16 Febbraio 2010

Cristina Aguilera e il pentacolo


Cristina Aguilera, una delle cantanti di maggior successo negli anni duemila, iniziò la sua carriera come bimba prodigio nell’emittente statunitense Disney Channel, dove per alcuni anni intrattenne le bambine e i bambini suoi coetanei con uno spettacolo fatto di canzoncine e balletti.
Celebre fin dalla giovanissima età, la sua carriera ha avuto diversi punti di contatto con quella di un’altra bimba prodigio della Disney di fine anni 90, l’idolo delle teen agers Britney Sprears.
Entrambe le cantanti dopo un’infanzia trascorsa negli show della Disney hanno infatti esordito nel mondo dell’industria discografica con brani leggeri e commerciali, presentando una immagine da adolescenti spensierate, senza però far mancare ammiccamenti ed allusioni sessuali che stridevano con la loro presenza simil-innocente (un percorso a cui pare avviata anche l’ultimissima star Disney, la diciassettenne Miley Cyrus).

In seguito, sia Britney che Cristina hanno impresso una svolta alla loro immagine, optando per una sensualità ostentata, e completando così la loro trasformazione da idoli delle bambine a sexy dive affermate.
Ma mentre Britney Spears ha incontrato notevoli difficoltà nel corso degli anni, con tanto di esaurimenti nervosi e depressioni di una certa rilevanza, la Aguilera ha saputo proseguire la sua carriera in modo lucido, pianificando ogni mossa senza mai perdere il controllo della situazione, passando da un successo all’altro.
Dimostrando, in questo modo, di possedere piena cognizione di causa del funzionamento del mondo del music business, una sicurezza che la giovane cantante mostra nel modo in cui presenta al pubblico.
Una sicurezza ed una consapevolezza alimentate forse da una ispirazione poco rassicurante.

Nell’immagine sopra riprodotta, tratta da un recente servizio fotografico, la Aguilera si presenta adagiata in una vecchia poltrona che domina uno spazio alquanto particolare.
L’intera ambientazione evoca infatti un’atmosfera decisamente sinistra, e diversi elementi inseriti nel contesto concorrono nel dare all’insieme un aspetto ancora più inquietante.
Una candela nera, ancora accesa, la cui cera colata ha raggiunto il pavimento, testimonia di una sorta di “rituale” che ha avuto luogo in precedenza; il gatto nero, seduto vicino alla Aguilera, in un contesto simile non può che evocare la figura di Satana, nella forma in cui veniva raffigurato dall’iconografia medioevale nelle ricostruzioni dei sabba delle streghe.
Più in basso, una serie di barattoli presentano inoltre un contenuto per nulla rassicurante.
Particolare ancora più inquietante, sul pavimento giacciono due bambole sporche e malridotte, una addirittura mutilata: sulla prima cammina un enorme ragno nero, altro simbolo demoniaco, mentre sulla seconda, che ha gli occhi chiusi, Cristina Aguilera appoggia un piede, in un gesto che indica sopraffazione e dominio.

La figura della bambola simboleggia l’anima, nello stesso modo in cui nell’ambito del condizionamento mentale le figure antropomorfe rappresentano le diverse personalità possedute da un individuo controllato.
L’idea che emerge dall’immagine è quella di una Cristina Aguilera consapevole di aver “sacrificato” una parte del suo essere, forse proprio quella infantile – spensierata degli esordi, in cambio dei favori di cui ora gode nel suo status di cantante di successo.
La sua posizione nella sedia – trono rafforza questa immagine, così come il colore dei vestiti che indossa, il rosso e il nero, corrispondenti ai due primi processi della trasformazione alchemica, la nigredo e la rubedo, ovvero gli stadi in cui la materia viene putrefatta e poi ricomposta alla ricerca delle sue qualità intrinseche, in vista di una nuova riorganizzazione.
A togliere ogni dubbio sul senso dell’ambientazione, in un secondo scatto compare di sfuggita un pentacolo rovesciato inscritto in un cerchio disegnato sul pavimento.

Si tratta con tutta evidenza di un altro elemento appartenente all’immaginario collettivo dei riti satanici, ad ulteriore conferma del carattere oscuro dell’intera ambientazione.
Ancora una volta, quindi, è possibile osservare come tematiche occulte vadano a braccetto con l’immagine degli esponenti più popolari dell’industria discografica moderna, cantanti affermati presi a modello dalle giovani generazioni, veicoli forse consapevoli, o forse no, di messaggi nefasti.

7 Febbraio 2010

Avatar, New Age e Neospiritualismo


(Avvertenza: nell’articolo che segue vengono rivelati in parte alcuni aspetti della trama del film)
(Avvertenza seconda: articolo aggiornato dopo la pubblicazione; eliminato capitolo riguardante lo scrittore Colin Wilson)

Avatar, l’ultima fatica del regista pluripremiato James Cameron, ha riscosso un atteso e prevedibile successo planetario, un successo che può ben rientrare nella categoria delle profezie che si auto avverano, a seguito di una massiccia campagna di marketing durata diversi mesi ed una spasmodica attesa alimentata da tutti i media.
La trama del film in sé non presenta tratti originali, e ripercorre un ferreo copione più volte sperimentato nelle produzioni americane: come in Balla coi lupi o in Pocahontas la storia ripercorre le vicende dell’eroe appartenente ad un mondo civilizzato ed aggressivo che dopo essere venuto a contatto con la cultura locale di un territorio di conquista ne rimane affascinato e si unisce ai “buoni selvaggi”, rinnegando la sua precedente identità.E’ chiaro che la produzione non ha di certo puntato sull’originalità della trama nell’impostazione della storia, dal momento che fin dal primo momento di visione si intuisce chiaramente tutta l’evoluzione degli eventi successivi, compresa la prevedibile storia d’amore tra il protagonista e la bella guerriera “locale”, l’inevitabile scontro tra le due culture e la vittoria finale dei “buoni selvaggi”.
La scarsa originalità del copione passa però in secondo piano in un film del genere, dal momento che tutta l’operazione punta sulla valorizzazione degli effetti speciali, i più sofisticati e spettacolari della storia del cinema, e sulla creazione accurata e coinvolgente di un nuovo mondo alieno ed onirico, il pianeta Pandora, vero protagonista della storia.

In Avatar si narra di avvenimenti che si svolgono in un ipotetico futuro, un futuro in cui il genere umano sta esaurendo le risorse della terra dopo averne devastato l’ecosistema, trovandosi così costretto a ricercare materie prime essenziali per la propria sopravvivenza in pianeti lontani.
Giunta a Pandora, la spedizione dei terrestri ha come risultato la devastazione anche di questo pianeta, una vera e propria invasione che non risparmia nemmeno i nativi alieni, una specie umanoide, visti come un impedimento alla riuscita della missione.
Non si fa fatica nell’individuare nel comportamento degli umani in viaggio su Pandora una allegoria dell’opera delle varie colonizzazioni dei popoli occidentali nel corso della storia, laddove nel corso dei secoli non hanno mai esitato a distruggere e sottomettere le popolazioni locali delle terre che conquistavano, con l’unico scopo di sfruttarne le risorse per ragioni di profitto materiale.

Il messaggio trasmesso dal film è dunque un messaggio forte, un vero e proprio atto di accusa nei confronti dell’arroganza delle colonizzazioni occidentali e del disprezzo dimostrato nei confronti delle culture delle popolazioni locali, sottomesse per fare spazio all’espansione dei conquistatori.
Detto di sfuggita, si potrebbe qui cogliere una certa incongruenza nel trovarsi di fronte ad un’opera squisitamente commerciale, figlia di quella industria cinematografica americana che del profitto ha fatto il suo unico obiettivo, che si pone in maniera “critica” di fronte alla “sete di profitto” dell’uomo occidentale e civilizzato.
In fin dei conti, l’idea di produrre un film commerciale e dispendioso come Avatar, organizzando un viral marketing aggressivo con lo scopo di raggiungere il record di incassi nei botteghini di tutto il mondo, fa proprio parte di quella cultura occidentale-capitalista che il film stesso denuncia.
Gli stessi Na’vi, gli abitanti di Pandora la cui cultura è descritta con ammirazione all’interno della storia, di sicuro non saprebbero che farsene del  cinema e di un film come Avatar.In altre parole, se Cameron e la produzione hollywoodiana del film hanno potuto ottenere incassi stratosferici è proprio grazie al fatto che nel pianeta terra la cultura erede degli occidentali-capitalisti denunciati nel film è preponderante.

Ma questo è solo uno dei piccoli paradossi dei tempi moderni, ed una industria altamente capitalista, come quella di Hollywood, che ottiene cospicui guadagni creando un’opera che denuncia la mentalità capitalista rientra perfettamente nei canoni di totale confusione del mondo contemporaneo.


L’aspetto più importante del film, però, è il messaggio religioso che viene veicolato, un vero e proprio catechismo di massa di quel neospiritualismo che da qualche decennio a questa parte si sta diffondendo quale vero e proprio culto dominante nella società occidentale, e non solo.
Lo stesso pianeta Pandora altro non è se non la fedele trasposizione di Gaia secondo la visione dello scienziato inglese James Lovelock, per anni tra i principali punti di riferimento del movimento New Age.
Secondo tale visione, detta teoria di Gaia, il pianeta terra nel suo complesso consiste in un enorme organismo vivente, in cui ogni creatura vegetale animale e minerale compartecipa nell’equilibrio generale, nello stesso modo in cui un organismo vivente è composto da cellule e tessuti.
L’uomo, in questo scenario, rappresenta solo uno degli elementi che compongono il sistema, ed il suo ruolo assume un carattere più negativo che vitale per l’equilibrio generale, una idea fatta propria dal movimento ambientalista moderno.
In Avatar, quindi, Pandora assume tutte le caratteristiche della Gaia descritta da Lovelock: nel pianeta ogni creatura è interconnessa con tutte le altre, ed il tutto compartecipa nel grande spirito di Eywa, la Dea Madre venerata dal popolo dei Na’vi.
Il  culto di una Grande Madre è un altro rimando ai movimenti neospirituali moderni che si rifanno ai culti ctoni del passato, trasfigurandone il senso originario.
A differenza della concezione delle religioni tradizionali, dove la natura viene concepita quale creazione e manifestazione della divinità, questi culti moderni concepiscono la natura come divinità a sé stante, concetto messo in evidenza nel film di Cameron, dove il culto dei nativi è indirizzato direttamente allo spirito di Eywa, una presenza tangibile e concreta di carattere ctonio, terrestre.
Si potrebbe facilmente cadere nell’errore di accomunare la spiritualità descritta nel film con quella di popolazioni che per secoli hanno mantenuto dei culti che riservavano un grande rispetto per la natura e le sue creature, come ad esempio fece la cultura dei nativi americani.
Ma mentre per tali culture il creato meritava venerazione in quanto emanazione di un grande spirito trascendente, identificato principalmente con Manitù, per i Na’vi la Grande Madre consiste nel pianeta stesso.
La differenza è sottile ma sostanziale, e l’incomprensione di tale difformità rappresenta un’altra delle caratteristiche dottrinali dei movimenti neospiritualisti moderni.
Un altro elemento importante all’interno del film è rappresentato dal  grande albero all’interno del quale i Na’vi abitano: tale presenza non può infatti che rimandare al simbolismo dell’Axis Mundi, l’albero sacro che per diverse culture del passato era espressione del collegamento tra la realtà celeste e quella terrena.
Chiamato Yggdrasill dai popoli scandinavi e Irminsul dai Germani, la figura dell’albero sacro rivestì una grandissima importanza nella mitologia delle culture precristiane europee, ed una valenza simile si ritrova nella cultura dei nativi del pianeta Pandora.
Si può quindi osservare come in Avatar la filosofia ecologista-new age, così come determinate tematiche mistiche ed esoteriche, trovino un potente veicolo di divulgazione, per mezzo di una riuscitissima operazione di propaganda.
Lo spettatore non può che abbracciare in pieno la visione dei nativi,  contrapposta a quella brutale occidentale – materialista, e nello stesso momento per mezzo di un messaggio apparentemente filo-ambientalista vengono introdotte al grande pubblico tematiche prettamente religiose di carattere ben più profondo.

26 Gennaio 2010

Cenni di Numerologia

Nel seguente articolo sono presentate alcune considerazioni di base riguardanti il complesso tema della numerologia: di conseguenza, la trattazione non ha la pretesa di essere esaustiva, ma offre solamente alcune indicazioni introduttive all’argomento.


1
. Il principio

Il numero uno rappresenta l’unità, il principio originario.
Nell’ uno le visioni tradizionali hanno sintetizzato l’idea dell’unità primordiale, la divinità prima della creazione, comprendente ogni realtà in potenza ed ogni idea che potesse essere pensata.
Il concetto dell’uno è a-temporale.
Nello stesso momento, il numero uno evoca l’unità primordiale verso cui ogni cosa tende, è l’alfa e l’omega verso cui ogni cosa creata è destinata a ritornare.

2
. Dio e l’altro da sé

Il numero due è il simbolo della dualità, e in esso è racchiuso il mistero della creazione.
Se nel numero uno troviamo il principio creatore che comprende ogni aspetto del reale, presente passato e futuro, il due racconta l’atto creativo, il momento in cui la divinità primordiale genera l’altro da sé, dando forma alla materia che non ha ancora preso forma.
Nel due avviene quel processo di scissione necessario per l’origine del creato, ad un livello macro-cosmico.
Ad un livello inferiore, micro-cosmico, questa stessa dualità si rispecchia nella contrapposizione degli opposti: caldo e freddo, alto e basso, bene e male, maschio e femmina; la loro opposizione riflette ad un livello materiale la prima grande divisione, una separazione che è tale solo in apparenza.

3 . La Trinità

Nel numero tre è sintetizzato il completamento stesso della creazione, e l’origine della vita.
L’atto creativo non è infatti completo con la scissione dualistica.
Dopo che il principio si è separato da sé generando il creato, infatti, compare un terzo elemento atto a completare l’opera: si tratta della forza o essenza che mette in collegamento le prime due realtà, il creatore e il creato.
Immaginando il principio primordiale come la realtà che crea, e il creato come la sua opera, il terzo elemento è rappresentato proprio dallo sguardo del creatore, dall’atto di guardare.
Questo è il fondamento di ogni trinità: il creatore, il creato, e ciò che unisce i due.

Nella più antica cosmogonia della mitologia greca i tre elementi vengono identificati in Caos, Gea ed Eros.
Caos è lo spazio indistinto, l’infinito che tutto contiene (l’uno).
Gea (o Gaia) è la materia prima di assumere forma, compresa in Caos (Caos e Gea, la dualità).
Eros è la forza di attrazione che fa convergere la materia e con un atto di amore dà vita ad ogni cosa.
Ciò che unisce, il terzo elemento, è propriamente l’amore.
Nello stesso modo la Tradizione cristiana racchiude il mistero del creato nella Sacra Trinità Padre (creatore), Figlio (generato) e Spirito Santo (la forza di unione che lega ogni aspetto del visibile e del non visibile).

4 . Il Mondo

Con il quattro si passa da un livello metafisico ad un livello propriamente terreno: il quattro è infatti il numero
per eccellenza della realtà plasmata.
Per questo motivo quattro sono i punti cardinali che delimitano i confini del mondo creato, e  quattro sono le stagioni, che scandiscono lo scorrere del tempo.
Il quadrato nel suo significato primordiale è il simbolo della terra, della realtà racchiusa sotto il cielo, come quattro erano i fiumi che sorgevano nel paradiso terrestre e in quattro parti venivano suddivise le città degli uomini (da cui quartiere), per ribadire la loro realtà materiale.
Il quattro può anche essere letto come 3+1, e l’unità che si aggiunge è proprio la materia che prende forma, passando dallo stato in potenza a quello in atto.

5 . Il Microcosmo e l’Uomo

Il cinque è il simbolo del microcosmo e dell’essere umano.
Va letto come 4+1, ovvero come la realtà materiale in cui trova posto una creatura ad immagine e somiglianza di Dio, che riporta in basso una scheggia dell’unità primordiale celeste.
La stella a cinque punte con la punta rivolta verso l’alto sintetizza graficamente la realtà microcosmica dell’uomo, lo scopo della sua esistenza nel mondo materiale e la sua naturale predisposizione verso il ricongiungimento con il principio creatore.
Nello stesso modo sono cinque i sensi per mezzo dei quali l’uomo può entrare in contatto e conoscere il mondo materiale.

6 . La Parodia


Il sei è un numero conflittuale.
Nel sei, letto come due volte tre, si ritrova la trinità con un suo doppio, di matrice opposta.
Il sei può essere visto come la parodia della trinità che si contrappone alla creazione primordiale, il rifacimento terreno di ciò che ebbe luogo ad un livello superiore all’inizio dei tempi.
Così come tre volte sei, ovvero il compimento dell’inganno, è il numero della bestia secondo l’Apocalisse di Giovanni.
Il numero sei trova perfetta rappresentazione nel cosiddetto sigillo di Salomone, raffigurante due triangoli equilateri dai versi opposti che si intrecciano: sono così raffigurate la forza primordiale della creazione e la sua parodia nella loro contrapposizione terrena, simbolo della lotta che si svolge a livello materiale tra le forze della creazione e quelle della dissoluzione.

7
. L’armonia


Il sette è il numero dell’armonia e del compimento.
Da leggersi come 3+4, porta in sé l’essenza del processo creativo intrinseco nella trinità (il 3) con la sua attuazione terrena (il 4).
Sette di conseguenza sono i giorni necessari a Dio per la creazione, come ancora oggi i giorni in cui è suddivisa la settimana (il piccolo ciclo).
Sette sono le note con le quali si possono comporre le armonie e le melodie in musica, e sette i colori dell’arcobaleno in cui la luce stessa si scompone
Il numero sette rappresenta di conseguenza il raggiungimento supremo dell’armonia nel mondo sensoriale.
Così Roma, Costantinopoli e Mosca, le tre Rome, sorgono su sette colli, a ricordare la funzione della polis quale luogo civilizzante in cui l’essere umano ricrea l’armonia della natura rendendola docile alle sue esigenze.

8. L’Elevazione


Il numero otto rappresenta il superamento dell’armonia terrena e l’ elevazione verso la realtà celeste.

Nella Tradizione cristiana l’otto è associato alla Madonna, la Madre di Dio, tramite tra l’uomo e la realtà divina.
Per lo stesso motivo, nel medioevo europeo i battisteri venivano costruiti su pianta ottagonale, dal momento che per mezzo del battesimo l’uomo rientrava in contatto con il creatore e recuperava la sua ascendenza divina.
L’ottagono, inoltre, era considerato quale la figura geometrica intermedia tra il quadrato (simbolo del mondo materiale) e il cerchio, rappresentante l’universo superiore.


9 . Tre volte Tre


Il numero nove si ottiene moltiplicando per tre volte il tre, risulta quindi rappresentazione di una perfezione superiore, posta ad un livello maggiore rispetto a quello secolare.
Inteso come 8+1 indica il passo successivo all’elevazione terrena, verso uno stato dell’essere inconoscibile per l’uomo ancorato nell’universo sensoriale.

10
. Tetraktys


Il numero dieci è composto dalla somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4), e deve la sua importanza prevalentemente all’uso del sistema di numerazione decimale.
In tale sistema, il dieci rappresenta la conclusione della prima decade, (essendo lo zero non contemplato), l’ultimo gradino di una scala posta al primo livello della serie numerica.
Occorre però ricordare che la valenza e il simbolismo dei numeri è in parte indipendente dal sistema numerale in uso: come si vedrà, la conclusione del ciclo in numerologia è più propriamente rappresentata dal numero dodici.

11 . Il Doppio


Il numero undici ha una doppia valenza.
Visto in ottica del sistema di numerazione decimale rappresenta il primo passo compiuto a seguito della conclusione di un primo ciclo, e quindi sinteticamente evoca un nuovo inizio.
Considerato però il numero dodici quale più appropriato per la definizione di un ciclo ultimato, il numero undici assume la valenza dell’opera incompleta, la perfezione non ancora raggiunta.

12
. Il Ciclo


Il numero dodici rappresenta propriamente il ciclo compiuto.
Per tale motivo in antichità l’anello del cielo che circonda la terra venne diviso in dodici settori, giunti ai nostri giorni all’interno della ruota dello Zodiaco.
Il dodici era il numero che sommava l’armonia del creato (il 7) con il microcosmo dell’uomo (il 5), e veniva inoltre ottenuto moltiplicando il numero della materia e del mondo (il 4) con la perfezione della creazione (il 3).
Così 12 erano gli Apostoli di Cristo, e dodici sono ancora oggi i mesi di un anno (il ciclo maggiore di base, quello intorno al Sole).


13 .
La rottura dell’ordine

Il numero 13 va letto quale 12+1, ed evoca l’uscita dal ciclo, la rottura del compimento e l’inizio di un processo nuovo ed ignoto.
Per tale motivo ricorre spesso nel simbolismo delle società  iniziatiche che si prepongono una ristrutturazione dell’ordine esistente, volendo esse in tale modo ribadire la loro volontà di dare inizio ad un nuovo ciclo che superi e rimodelli il ciclo precedente._______________________________________


Bibliografia utile di base:
– Biedermann Hans, Enciclopedia dei simboli, Garzanti, 1999
– Beigbeder Olivier, Lessico dei simboli medievali, Jaca Book, Milano, 1997
– Guénon René, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 2000
– Schwaller de Lubicz Rene, Il Tempio dell’Uomo, Edizioni Mediterranee, 2000
– Tresoldi R, La Qabbalah, De Vecchi Editore, 2002