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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
12 Gennaio 2021

Benedetti i nemici

“Non ti irritare se qualcuno parla in modo aggressivo o scopre sfacciatamente qualche tua debolezza, qualche tua passione di cui tu, nel tuo amor proprio, non sospettavi la cattiveria. […]
Spesso ce la prendiamo con persone franche e sincere perché svelano i nostri errori senza mezzi termini; dovremmo invece apprezzare costoro e ringraziarli per aver spezzato il nostro amor proprio con il loro linguaggio sfrontato.
Sono come i chirurghi che, con la parola tagliente, asportano la cancrena del cuore.”

s. Giovanni di Kronstadt

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“Signore, benedici i miei nemici! Anche io li benedico e non li maledico.

• Quando mi sono considerato saggio, mi hanno chiamato pazzo.

• Quando sono diventato più forte, hanno riso di me come di un nano.

• Quando ho voluto dirigere la gente mi hanno respinto indietro.

• Quando mi sono precipitato a diventare ricco, mi hanno strattonato con pugno di ferro.

• Quando ho pensato di dormire tranquillo, mi hanno risvegliato dal sonno.

• Quando ho costruito una casa per una vita lunga e tranquilla, l’hanno distrutta e mi hanno scacciato.

Invero i nemici mi hanno sciolto dal mondo e hanno esteso le mie mani fino alla tua veste.

Signore, benedici i miei nemici!”

s.Nikolaj Velimirovic

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I santi ortodossi rimarcano spesso un concetto fondamentale: occorre sciogliere i legami che ci tengono intrappolati in questo mondo.
E le catene più forti di questo legame sono fatte di vanità e di orgoglio.
La vita in terra va vissuta come una sorta di purificazione, uno scrollarsi di dosso tutti i falsi idoli con cui si alimenta la vanagloria.
Ecco quindi il motivo per cui i nemici, e coloro che senza pudore ci mettono di fronte alle nostre mancanze , sono i nostri principali alleati.
Col martello frantumano pezzo dopo pezzo il nostro orgoglio.
Un processo doloroso.
E noi, che probabilmente santi non siamo, invece di benedirli accumuliamo rancore, rabbia, tristezza.
Noi comuni mortali cerchiamo approvazione, validazione; vogliamo essere ammirati, benvoluti, amati.

(il mondo virtuale, social, non ha fatto altro che cavalcare, sfruttare e amplificare questo insaziabile bisogno condiviso: tutto è ostentazione, di bellezza, di corpi, ricchezze, benessere, successi, conoscenze, saggezza, tutto messo in mostra alla ricerca di approvazione.)

I santi padri invece ci dicono che prima di tutto abbiamo bisogno di mazzate.

12 Gennaio 2021

Il Varco


Un attimo o poco prima di prendere sonno, in quel momento in cui il tempo resta sospeso e i minuti sono ore e viceversa, mi capita a volte di concentrarmi sul battito del mio cuore.
L’altra notte si faceva sentire più insistente del solito, secco e regolare, tanto che non riuscivo a pensare ad altro.
“Dai, adesso rallenta un po’ che ci addormentiamo”, gli chiedeva la mente, ma lui continuava imperterrito.
E fu in quel momento, in quella dimensione sospesa tra sonno e veglia che ebbi una piccola epifania: il mio cuore non risponde ai miei ordini, io non sono il suo padrone.

Grande scoperta, si dirà, il cuore è un organo il cui funzionamento non dipende dai comandi del cervello cosciente.
Il cuore batte e basta, per conto suo.
Ma un conto è saperlo, un conto realizzarlo profondamente, in uno stato che va oltre il campo razionale.
E le parole purtroppo servono poco nel descrivere epifanie simili.
“Se non io, chi ti ha ordinato di battere, e di non fermarti? Perchè ignori totalmente la mia, di voce?
E se non posso nemmeno ordinare al mio cuore di fermarsi, se non ho neanche questo controllo su me stesso, come posso dirmi libero, in qualsiasi modo?”
Ho avuto la potente sensazione di essere un ospite, la mia mente dentro un corpo disteso, separato da me, con un cuore che batteva disinteressandosi di me e dei miei pensieri.

Ora, si sa che i folli e i santi se visti dall’esterno sembrano avere molti punti in comune, ma c’è un aspetto essenziale che distingue nettamente i loro universi interiori:
i santi sanno di essere stati palsmati con diverse sostanze, percepiscono le loro diverse componenti, corporee, psichiche, spirituali, e sanno anche giungere in quel luogo in cui esse si fondono.
I folli al contrario sono dissociati, percepiscono le loro essenze come distinte e separate, in una costante lotta tra loro, senza dialogo tra le parti.
Personaggi diversi che si agitano sotto lo stesso tetto.
Santi o folli o semplicemente stolti, si può essere tante cose quando si tenta di regolare i battiti del cuore.
In ogni caso, in quell’attimo ho percepito anche qualcosa di prezioso.
Quel cuore che se ne va per conto suo è l’unica finestra possibile da cui si può intravedere l’altro.
E’ il varco, ed è per questo che non risponde totalmente ai nostri pensieri: il cuore in noi c’era ben prima di noi.

12 Gennaio 2021

Schadenfreude, il piacere per la sfortuna altrui


La lingua tedesca, è noto, possiede alcuni termini che sintetizzano in maniera perfetta dei sentimenti e degli stati d’animo altrimenti non facilmente definibili.
Un esempio che si cita di solito è la parola “Schadenfreude”, traducibile con “il piacere che si prova per la sfortuna altrui”.
L’aspetto curioso non sta nel fatto che il tedesco abbia una parola che descrive tale sentimento, quanto piuttosto che le altre lingue, italiano compreso non ce l’abbiano.
Già, perché la Schadenfreude è un sentimento umano più diffuso dell’odio, dell’amore, dell’indifferenza.
E’ un sentimento stupido, prima che ignobile, dal momento che le disgrazie degli altri a noi non portano alcun giovamento concreto.
Eppure, per qualche arcano motivo, pochi di noi ne sono immuni, e prima di negare in noi tale sentire sarebbe più saggio riconoscerlo quando si manifesta e concentrarsi sulla sua idiozia.
Per quanto ci piaccia accettarlo o meno, gran parte della nostra felicità dipende dal nostro confrontarci con chi ci circonda (per essere più precisi, la nostra falsa aspirazione ad una falsa felicità dipende da quello).
Lo sanno bene gli esperti della pubblicità e i maghi del marketing: tutta la macchina produttiva della modernità si basa sul costante ricordarci delle cose che non abbiamo, e di come stiano bene coloro che invece quelle cose le posseggono.
Dai nostri primi passi ci viene insegnato che tutto è una gara, tutto una competizione, e che la nostra sfida sarà essere migliori “degli altri”.
Il nostro stesso benessere non è percepito rispetto a quello che possediamo, quello che siamo, ma in rapporto a quello che possiedono gli altri: nel paese in cui tutti vanno a piedi chi possiede una bicicletta si sente un re, nella città in cui tutti hanno una macchina sportiva chi va in giro con una vecchia utilitaria si sente un fallito.

Siamo proprio fatti male, e gli insegnamenti che riceviamo sin da bambini non fanno che peggiorare la nostra miseria.
Ecco allora che la Schadenfreude offre una grande consolazione: “sì, io non avrò combinato niente nella mia vita, ma guarda anche quello là come se la passa male”.
La stessa attività preferita degli esseri umani quando si ritrovano tra loro, il “pettegolezzo”, si basa esclusivamente su questo sentimento: si parla delle sfortune degli altri, e questo rende le nostre miserie un po’ più sopportabili.
Ed è un sentimento che pochi di noi confesserebbero di provare: occorrerebbe ammettere di essere meschini, infimi.
E rifuggiamo tanto da tale consapevolezza da non avere nemmeno una parola per esprimere questa parte di noi stessi.
E finché non le diamo nemmeno un nome, non potremmo mai nemmeno affrontarla e riconoscerla per quello che è: un sentire abietto, triste, inutile e deleterio.

18 Dicembre 2015

Empatia e isole


Un giorno, non importa quando e non importa dove, un Maestro vide uno scorpione annegare e decise di tirarlo fuori dall’acqua.
Quando lo fece, lo scorpione lo punse.
Per l’effetto del dolore, il Maestro lasciò l’animale che di nuovo cadde nell’acqua in procinto di annegare.
Il Maestro tentò di tirarlo fuori nuovamente e l’animale lo punse ancora.
Un giovane discepolo che era lì gli si avvicinò e gli disse:
” Mi scusi Maestro, ma perché continuate??? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua vi punge?“
Il Maestro rispose:
” La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è quella di aiutare.”

Ognuno in fondo pensa innanzitutto a se stesso, e non potrebbe essere altrimenti.
Come il leone che insegue il cucciolo della gazzella e come il fiume che tenta di trovare la sua strada verso il mare, non ci può essere alcuna connotazione morale in una semplice e cruda legge del creato.
Così come non ci potrà mai essere un atteggiamento altruistico, dal momento che ogni azione, ogni pensiero, anche quelli che dall’esterno vengono visti e definiti quali nobili e disinteressati, sono sempre dettati dalla volontà del singolo di compiere un atto che rechi gratificazione nel profondo della propria anima.
C’è chi questa gratificazione la conquista sentendosi utile agli altri, e c’è chi segue la sua volontà ovunque lo porti, anche a costo di calpestare e nuocere il suo prossimo.
Altruismo ed egoismo, si direbbe.
Sbagliando.
In verità ciò di cui si tratta sono due forme di egoismo, nemmeno tanto diverse da loro: due forme di egoismo che all’esterno portano a conseguenze differenti.
Ecco allora che sarebbe maggiormente corretto parlare di egoismo positivo ed egoismo negativo.
Ancora una volta, i termini positivo e negativo non hanno qui connotazioni morali: ciò che distingue i due casi è il fatto che il primo atteggiamento porta beneficio a più persone mentre nella seconda circostanza vi è un beneficiario ed una vittima.
Vi sono coloro che vedendo un mendicante non possono fare a meno di donargli quanto più possono, altrimenti sentirebbero un peso profondo nel loro animo, e vi sono altri che non esitano a uccidere per rubare a qualcun altro qualcosa che vorrebbero possedere.

Nel corso dei secoli le migliori menti dell’umanità si sono sforzate di comprendere l’origine del male, e molti hanno tentato di capire cosa possa rendere un uomo retto e giusto ed un altro malvagio, perchè la storia degli uomini non possa fare a meno di guerre e distruzioni e devastazioni.
Ma la domanda era malposta: non si trattava di scoprire cosa renda un uomo crudele ed un altro benevolo, ma di riflettere sul perchè l’egoismo di alcuni li spinge verso il bene dei loro simili, mentre l’egoismo di altri porti loro a considerare chi li circonda come strumenti, possibili alleati o intralci al raggiungimenti del proprio scopo.
Perchè essere egoisti significa seguire la propria natura, essere fedeli a se stessi: non c’è altro modo di essere.
Cosa, allora, differenzia le varie nature?
La risposta sta in una parola sola: empatia.

L’empatia è il collante della società umana, elemento imprescindibile di ogni relazione profonda.
Letteralmente indica il sentire nel profondo le emozioni e le sensazioni di chi sta vicino: en- pathos.
E’ una qualità intrinseca negli esseri umani, ma è distribuita tra di essi in misura assai varia: essere empatici significa comprendere cosa un nostro simile sta provando, ed in qualche misura provare quella sensazione a nostra volta.
Quando si parla di empatia, occorre però fare una prima grande distinzione: c’è l’empatia cognitiva e l’empatia affettiva – emozionale, e sperimentare l’una o l’altra comporta delle diverse reazioni.
Per empatia cognitiva si intende il comprendere l’origine e le ripercussioni dei sentimenti e delle sensazioni che un’altra persona sta sperimentando.
Ci si può rendere conto che la persona di fronte a noi è turbata, triste, impaurita, raggiante, possiamo anche sapere i motivi per cui questo accade, ma queste sensazioni non nostre non ci toccano.

L’empatia affettiva, invece, è l’empatia propriamente detta, e comporta un nostro profondo coinvolgimento con i sentimenti di colui con cui veniamo a contatto.
La tristezza dell’altro diventa la nostra tristezza, la sua preoccupazione è condivisa, così come la sua gioia, la sua speranza.
Ecco quindi che un gesto che all’esterno viene visto come altruista è in verità un gesto empatico: una persona reca bene al suo prossimo perché a sua volta beneficia del suo benessere.
La felicità di colui che si aiuta diviene la nostra felicità, perché empaticamente la gioia del nostro prossimo diventa la nostra.
Nell’empatia sta la radice stessa del sopravvivere della società umana; ci sono molti motivi per cui gli esseri umani non si squarciano a vicenda per ottenere i beni che appartengono ad un altro: vi è la debolezza, la codardia, la paura delle conseguenze, ma vi è anche e soprattutto l’empatia, la capacità di sentire il dolore e la sofferenza di chi ci sta davanti e il provarla a nostra volta.

L’empatia è anche una forza che cresce in maniera esponenziale con la vicinanza: non è un sentire teorico, ma fisico, necessita dei sensi, del contatto per manifestarsi pienamente.
Il sapere che in qualche parte nel mondo una madre sta piangendo la morte del proprio figlio ci tocca, ma in maniera minima; il trovarci nella stessa stanza con quella madre e il sentire i suoi lamenti ci devasta, se siamo tra coloro che l’empatia la percepiscono.
Questo è anche il motivo per il quale i maestri della guerra negli anni si sono fatti sempre più raffinati: gli psicopatici stregoni della guerra che mandano al macello i propri simili sanno che per l’uomo comune recare morte e sofferenza è un atto traumatico.
Da qui la scienza della propaganda che indottrina le menti con il chiaro scopo di limitare l’empatia, fino ad arrivare all’uso di droghe che alterano la coscienza e al perfezionamento di metodi di massacri a distanza, per mezzo di bombe o di droni, che limitano al massimo la vicinanza umana e la presa di consapevolezza del dolore che si sta causando.

Il termine psicopatico qui non è usato a sproposito: una delle principali caratteristiche delle personalità psicopatiche è infatti l’incapacità di provare l’empatia.
Con una tale qualità intrinseca nessun gesto apparentemente “malvagio” è precluso.
Vi sono solo azioni utili ed azioni non utili al raggiungimento dei propri scopi, e i sentimenti, il dolore, la devastazione degli altri esseri umani sono elementi che non interessano minimamente nel profondo, che non provocano alcuna reazione.

In tutto questo, non resta altro da fare che essere fedeli a se stessi, e non dare mai per scontato il fatto che nonostante tutto la meraviglia del mondo stia ancora in piedi.
Ama il tuo prossimo come te stesso.
Sapere che la nostra felicità dipende anche dalla felicità di chi ci circonda è la conferma dei legami invisibili che uniscono tutto l’universo, e che noi, con la nostra volontà, i nostri desideri, le nostre aspirazioni, siamo comunque parte di un qualcosa di enormemente più grande: non siamo isole.

Allora il Maestro, dopo aver riflettuto e con l’aiuto di una foglia, tirò fuori lo scorpione dall’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò:
” Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni. Perché, gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli stai facendo. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene, di abbandonare l’amore che vive in te.
Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano.
Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione.
Perché la tua coscienza è quello che sei,  la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te…
Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere….”

26 Marzo 2013

Le secret de la vie

Le secret de la vie