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-o- Too late to die young -o-
18 Marzo 2009

I soldi veri di Emma Marcegaglia

“Su alcuni punti abbiamo visto soldi veri, era quello che ci aspettavamo”. Lo ha detto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, giudicando “positivo e costruttivo”, l’incontro avuto con il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
[…] “Nei prossimi giorni” il governo stanziera’ 1,3 miliardi per un fondo di garanzia a favore delle pmi” ha detto Emma Marcegaglia uscendo da Palazzo Chigi.

La presidentessa di Confindustria Emma Marcegaglia nell’atto di elemosinare contributi governativi per “sostenere” le piccole e medie imprese ha coniato l’espressione “soldi veri”, espressione grottesca e nello stesso tempo emblematica della confusione che regna sovrana nelle menti di coloro che, in teoria, dovrebbero traghettare il paese fuori da questa crisi.
Che sarebbe un po’ come affidare ad una squadra di simpatici elefanti la pulizia di un negozio di ceramiche.
Emma Marcegaglia ha quindi chiesto al governo “soldi veri”, e pare che il governo abbia alla fine acconsentito alla richiesta della presidentessa, dopo aver superato un momento di incertezza.
Non era infatti ben chiaro ai rappresentanti del governo cosa la presidentessa intendesse realmente, e come volesse essere pagata.
Alcuni sostenevano che probabilmente richiedeva 5 miliardi di euro in banconote di piccolo taglio, da consegnarsi in un luogo sicuro che la Marcegaglia stessa avrebbe comunicato in un secondo momento, ma i più informati hanno fatto notare che nemmeno le banconote sono “soldi veri”, poiché sono semplici pezzi di carta generati e non creati a discrezione da stampanti mistiche.
Pare che si sia anche suggerito di pagare la Marcegaglia con gettoni d’oro, un’idea che però è stata scartata dopo una veloce verifica dei forzieri dello stato.
Comunque siano andate le cose, l’accordo è stato raggiunto, e la presidentessa di Confindustria ha visto i soldi veri, più o meno come il profeta Ezechiele vide i cherubini volteggiare nei cieli.– Ezechiele: Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente.
– Emma: io invece ho visto i soldi veri
– Ezechiele: adesso però non esagerare

Ammesso che i soldi veri effettivamente esistano, si pone però una ulteriore questione, ancor più grave della precedente: da dove provengono?
Sono sempre più numerosi coloro che si rivolgono al governo affinché stanzi contributi a questo o a quel settore per fronteggiare la crisi.
Tutti coloro che invocano questi contributi hanno una idea molto naif dello stato, quasi fosse un ricco benefattore che mette mano al forziere per aiutare chi è in difficoltà, distribuendo le risorse laggiù dove necessario.
In realtà lo stato non è un ente con soldi propri, ma può al massimo spostare le risorse, togliendole da una parte per assegnarle ad un’altra.

E’ un concetto alquanto banale, eppure la seconda parte dell’equazione, ovvero quella per cui i soldi assegnati a qualcuno sono tolti a qualcun altro, pare sempre sfuggire ai richiedenti.
Paradossalmente, fino a pochi mesi fa quel qualcuno a cui venivano tolti i soldi in preferenza erano proprio le piccole e medie imprese, tra le poche entità nel territorio italico che effettivamente producevano una ricchezza concreta e che potevano quindi essere raschiate, per poter così finanziare le missioni di pace nei vari Inculoailupistan, le auto blu dei parlamentari, gli appalti pubblici truccati e tutte le altre piccole e grandi ruberie che per legge devono essere gestite dai governi.
Ora invece spetta proprio alla energica presidentessa richiedere aiuti per conto di quelle piccole e medie imprese in difficoltà, evento che ci porta a rimpiangere – il che è tutto dire – la voce grossa di un Luca Cordero di Montezemolo, che nelle vesti di predecessore della Marcegaglia non perdeva occasione per intimare ai governi di non interferire con le attività delle imprese.
Ora invece che le cose non vanno molto bene, a quanto pare per Confindustria è bene che il governo interferisca.

E chissà dove si andranno a prendere ora questi soldi veri, con un forziere vuoto, una valanga di debiti e nessun altro osso da raschiare.

 

14 Marzo 2009

Preoccupazioni cinesi

“Abbiamo prestato molto danaro agli Stati Uniti. Certamente siamo preoccupati per la sicurezza dei nostri investimenti”
“Per essere franco, io sono un po’ preoccupato. E’ per questo che io vorrei di nuovo invitare (..) gli Stati Uniti a rispettare la loro parola e i loro impegni a garantire la sicurezza degli investimenti cinesi”

Wen Jiabao, premier cinese

Le parole del primo ministro cinese sono state riprese con grande attenzione dai media americani, ed effettivamente coloro che comprendono le sfumature del linguaggio diplomatico non potranno non cogliere l’importanza di questa  dichiarazione.

Dalle nostre parti invece la notizia è passata in sordina, ripresa esclusivamente da qualche agenzia e qualche attento blogger.

Wen Jiabao esprime dubbi sulla reale capacità degli Stati Uniti di far fronte ai propri debiti, una posizione nemmeno lontanamente immaginabile solo un anno fa.
Nell’ultimo decennio la Cina ha svolto un ruolo essenziale nel sostenere l’economia americana, comprando titoli di debito statunitense e prestando enormi capitali agli americani, soldi con i quali gli americani stessi compravano le merci prodotte dai cinesi.

Una delle meraviglie economiche elaborate dalle menti creative dei leaders del XXI secolo.

Così il governo cinese è interessato in prima persona alle sorti della declinante America: la bancarotta degli Stati Uniti  significherebbe infatti per la Cina ritrovarsi con una massa di dollari e titoli di stato americani che non valgono più nulla, con centinaia di miliardi di crediti non più esigibili.
Per questo motivo dalla Cina si osservava con una certa apprensione l’evolversi della situazione nell’oltreoceano, senza mai alzare la voce.

Ora che la situazione pare definitivamente compromessa, ed un default americano è prossimo, i cinesi alzano un po’ i toni, consapevoli di avere il coltello dalla parte del manico.
Fino a quando le onde della crisi non avranno travolto tutti indistintamente, debitori e creditori.

7 Marzo 2009

Il naufragio

que ya es suficiente

Ultimamente non mi va molto di parlare della crisi economica, delle analisi dei cauti analisti e  dei politici rassicuranti che sono come sabbie mobili tirate giù.
Piccoli uomini in preda ormai al panico più acuto, pallidi esecutori di piani di cui loro per primi poco intuiscono.
Trattare della crisi fino ad un anno fa poteva essere paragonato al tentativo di comprendere la dimensione della tempesta in arrivo, mentre farlo ora significa fare un resoconto in diretta del naufragio.
Mentre i capitani si affannano a tranquillizzarci, col secchiello in mano a buttar fuori l’acqua dall’imbarcazione metà affondata.“Stiamo colando a picco, ma solo un poco; fra un po’ la nave tornerà come era prima”

E vai di secchiello.
Che a guardarla dal di fuori la scena presenterebbe anche degli indubbi momenti di alta ilarità; se non fosse che in quella barca ci stiamo tutti insieme.
Ma ci stanno anche delle belle spiagge, da qualche parte.

 

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I resti del naufragio

I resti del naufragio
sono dispersi
o scomparsi, o infranti

Ci rimane il presente
che già è sufficiente,
e non ci deve mancare

Ci rimane la fortuna
che se si bilanciasse un poco
ci potrebbe toccare

Ci rimane Oaxaca, il peyote
San Pedro e gli amici
che non ci vogliono cambiare

Ci rimangono canzoni
che riempiono i cuori
sopra tutto il resto

Ci rimane il mare ed un buon pesce
da mangiare al tuo fianco
e questo solo avverrà se tornerai

I resti del naufragio
sono dispersi
o scomparsi, o infranti

Ci rimane Leonard Cohen,
Tom Waits e Nick Cave
Jaime, Santiago, il Loco e Andres,
Charly, Fito, Spinetta, Erica,
Andrea e, come no, la mia Giulietta

Ci rimane Benares, Marrakech
Cadice, Buenos Aires
e Santo Domingo, se ci lasciano tornare Le signorine
che ancora non conosciamo

Ci rimane la piazza
quando la gente se ne va

27 Febbraio 2009

Idee chiare

da Il Sole 24 Ore:

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha presentato la bozza della “finanziaria” per il prossimo anno fiscale, il 2010, che inizierà il prossimo 1 ottobre: si tratta di una manovra economica in 134 pagine da oltre 3.600 miliardi di dollari.
Il documento finale, molto più ampio, è atteso tra la metà e la fine di aprile.
È previsto un deficit di 1.750 miliardi, pari al 12,3% del Pil, il maggiore dalla seconda guerra mondiale.
Il documento, ha spiegato il presidente, «dà conto in modo onesto di dove siamo e dove intendiamo andare».

23 Febbraio 2009

Signoraggio, il falso problema

coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo


All’incirca quattro–cinque anni fa, nel variegato mondo della controinformazione iniziava a farsi largo un tema ancora poco approfondito, all’epoca, ovvero l’annosa questione del signoraggio.
Tra chi da tempo si occupava della questione, spiccavano i nomi, tra gli altri, del professor Giacinto Auriti, di Marco Saba e di Sandro Pascucci, quest’ultimo particolarmente attivo nel mondo della rete.
Chi all’epoca si imbatteva nei loro scritti veniva a conoscenza di quella che era descritta come la più grande truffa che il potere esercitava sulla popolazione, una truffa per mezzo della quale la popolazione stessa era tenuta in perenne servitù. Il termine “signoraggio” etimologicamente si riferisce ad una antica pratica medievale, e indica il diritto del principe, del re o del signore di trattenere una certa quantità di oro al momento del conio di una moneta.
Chi possedeva dell’oro poteva portarlo alle fonderie del sovrano, dove il metallo veniva trasformato in moneta.
L’effige del sovrano stesso che possedeva il diritto di battere moneta avrebbe garantito l’autorevolezza necessaria affinchè divenisse denaro accettato per gli scambi.
Il sovrano quindi garantiva l’autenticità della moneta, ed in cambio tratteneva una percentuale del metallo.
Questo diritto del sovrano era propriamente il signoraggio.Nei nostri giorni, nonostante i pareri tra gli stessi economisti divergano,  tra coloro che denunciano tale pratica come truffaldina il signoraggio è generalmente definito quale differenza tra il valore nominale di una banconota e il suo costo di produzione.
Una banconota da 100 euro verrebbe ad esempio a costare circa tre centesimi per essere creata, e la differenza tra quei 100 euro (valore nominale) e i 3 centesimi (valore intrinseco) rappresenterebbe il signoraggio (tralasciando di considerare  i vari tassi di sconto, che al fine del discorso non rivestono al momento eccessiva importanza).
Questo costo verrebbe quindi pagato dallo stato, costretto a prendere in prestito le banconote così create dalle banche centrali, entità private.
Gli interessi su tale debito verrebbero poi accollati sulla popolazione mediante la tassazione, ed in questo modo gran parte del profitto del lavoro dei singoli andrebbe a finire nelle mani dei banchieri, che non hanno fatto altro che stampare dei pezzi di carta.
Questa è in sintesi la denuncia degli economisti che indicano nella pratica del signoraggio una operazione fraudolenta ai danni dello stato e di conseguenza del singolo cittadino.Ed effettivamente nell’atto di emissione della moneta dal nulla un procedimento truffaldino ha effettivamente luogo, anche se con dinamiche forse più complesse di quanto si possano qui descrivere.
Nell’ambito della denuncia del signoraggio, però, i veri problemi iniziano quando si suggeriscono delle soluzioni, a tale pratica.
E’ opinione alquanto diffusa infatti tra chi analizza tale questione che il problema si risolverebbe se invece dei banchieri privati ad emettere moneta fosse direttamente lo stato.
In questo modo, viene spiegato, la moneta sarebbe esente da debito, qualunque cosa questo significhi, e la società tornerebbe a prosperare.
C’è anche chi, preso da grande entusiasmo, è arrivato a proporre anche il reddito di cittadinanza, ovvero un introito garantito dallo stato per ogni cittadino, indipendente dalle sue attività.
Si può ben comprendere il motivo per cui una tale proposta abbia ricevuto numerosi consensi.
In questa visione nulla sarebbe più impossibile per lo stato: grandi opere, benessere diffuso, una infinita quantità di denaro da spendere.
Tutto diverrebbe possibile nel momento in cui il popolo riguadagnasse la sua perduta sovranità monetaria.

Ma tutto questo discorso si sviluppa su di una fallacia enorme.
Il problema infatti non risiede nel fatto che siano i banchieri a stampare la cartamoneta a loro piacimento.
Il problema consiste nel fatto che ci sia qualcuno che possa creare denaro a piacimento, denaro che non ha alcun corrispettivo reale, ed obbligare la popolazione a farne uso.
Che sia il banchiere cattivo, lo stato oppure la fatina del bosco a farlo, il problema rimane.
Nella visione dei signoraggisti lo stato funge da vittima del sistema bancario.
In realtà, le banche centrali e i governi agiscono in sintonia; il sistema infatti non reggerebbe se la legislazione degli stati non obbligasse i cittadini ad usare obbligatoriamente il denaro prodotto dalle banche centrali.
Si tratta del corso forzoso.

Il corso forzoso impone una certa moneta come unico mezzo legale di tutti i pagamenti, transazioni commerciali e finanziarie nell’ambito del territorio nazionale.
Il corso forzoso comporta l’illegalità del baratto e dei pagamenti effettuati in valute straniere, punibili con la reclusione. E’ pure reato il rifiuto della valuta ufficiale come mezzo di pagamento.

Ed è lo stato, ovviamente, a garantire e ad imporre ai cittadini l’uso di una certa moneta.
Individuare  nelle banche centrali il problema e proporre lo stato come soluzione è quindi un errore, e si svia l’attenzione dal vero cuore del problema.
In sintesi, la truffa  si dipana in tre momenti:

  • la creazione di denaro dal nulla, svincolata da qualsiasi bene reale, a totale discrezione dei dirigenti delle banche centrali
  • il corso forzoso, per mezzo del quale gli stati obbligano i cittadini a dover usare esclusivamente la moneta così creata, punendo con sanzioni e  la reclusione chiunque faccia uso di un sistema di scambio alternativo
  • la riserva frazionaria, che permette al sistema bancario nel suo insieme di moltiplicare infinite volte la quantità di denaro circolante.

Gli esiti di una tale politica sono la perenne inflazione, per mezzo della quale la popolazione viene gradualmente alleggerita della propria ricchezza ed un insieme di capitali fittizi che si moltiplicano su loro stessi fino al momento in cui il sistema si accartoccia sulle sue fragili fondamenta, generando crisi simili a quella che attualmente stiamo attraversando.

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Per approfondire:
Bankestein revisited, dal baratto al baratro (storia della moneta)
Quando lo stato diventa falsario
Money banking and the federal reserve (video con sottotitoli in italiano)
Cos’è veramente l’inflazione?
7 Fallacie economiche (il blog di Paxtibi andrebbe segnalato nella sua interezza)
Surely You’re Joking, Mr. Pascucci!
Fiscalità monetaria
Freegaia (ormai un cult)