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-o- Too late to die young -o-
10 Febbraio 2009

Miliardi e trilioni

Primo via libera procedurale del Senato degli Stati Uniti al pacchetto di stimoli anticrisi di Barack Obama. I voti a favore sono stati 61 su 98 a fronte di una maggioranza richiesta di 60 voti. Oggi il voto, ormai scontato, su tutto il pacchetto. La Camera dei Rappresentanti ha approvato una versione del piano che prevede interventi per 819 miliardi di dollari e che dovrà essere integrata con quella del Senato, scesa dagli iniziali 937 a 827 miliardi di dollari.

Il Presidente Obama mentre immette gli stimoli nell’economia americana

Non si riesce a comprendere il motivo per cui questi aiuti si limitino a 800 miliardi di dollari.
Perché non un trilione?
Perché non cento trilioni?
Se l’economia mondiale è arrivata a questo punto, la colpa principale risiede proprio nel modo criminale in cui i creatori di denaro dal nulla hanno imposto il loro sciagurato modello.
Ed ora, giunti al capolinea di questa truffa, i grandi luminari dell’economia in un atto di estrema ed ultima disperazione vorrebbero sistemare una situazione compromessa usando come rimedio lo stesso male che ha portato al disastro.
Nuovo denaro creato dal nulla, nuovo debito che si aggiunge su quello vecchio.
Come se la ricchezza stesse dentro le banconote.


 

7 Febbraio 2009

Crisi economica: qualche umile consiglio


Un anno e mezzo fa, ancora distanti dal cuore della crisi economica che stiamo attraversando, in un articolo dai toni relativamente scherzosi si davano dei primi consigli sui provvedimenti da prendere per meglio affrontare il difficile periodo che si affacciava all’orizzonte.
Come era prevedibile ci è voluto un po’ di tempo prima che ci si rendesse conto che questa volta non si trattava di un semplice momento di contrazione dell’economia, ma che al contrario ci si ritrovava di fronte al naturale capolinea di una politica finanziaria globale che aveva perso ogni contatto con la realtà.
Solo adesso, con centinaia di migliaia di posti di lavoro persi, milioni negli Stati Uniti, la produzione industriale in stallo e nessuna prospettiva di risalita all’orizzonte,  la maggioranza delle persone inizia a comprendere che forse sta succedendo qualcosa di grave.
Che tutto questo sia stato progettato, oppure che i mastri cocchieri abbiano perso il controllo della situazione, al momento ha poca importanza, per chi dal basso si ritrova ad affrontare la crisi nella vita di tutti i giorni.
Una crisi che oltretutto è solo all’inizio.
Ma dove porterà tutto questo?
Nessuno qui dispone di informazioni privilegiate, quello che si può fare è osservare e cogliere i segnali.

Scenari che fino a poco tempo parevano lontani, iniziano a preoccupare sempre più persone.
Lo spettro che si aggira per le vie dell’occidente si chiama Argentina, e il timore di ritrovarsi un giorno senza più poter disporre dei propri risparmi, con le banche senza liquidi, i bancomat bloccati, in una situazione di totale bancarotta diviene sempre più reale.
La possibilità di fare la fine dell’Argentina esiste, ed è concreta.
I presupposti ci sono tutti, e se sarà evitato sarà solo per volontà degli enti che stanno in alto e che con questa situazione ci stanno giocando.
Ma si arriverà ad un punto in cui non si potrà più rimandare.
Nessuno sa quanto prossimo sia quel momento, né il modo in cui influenzerà le nostre vite.

Alcune persone si chiedono quale sia il modo migliore per proteggere i propri risparmi, per salvaguardare quei beni che negli anni sono riusciti a “mettere da parte”.
Personalmente, non ho consigli “tecnici” di investimento da dare, e sinceramente in periodi come questi potrebbe anche essere un po’ illusorio cercarne.
Nello scenario Argentina, chi aveva dei soldi in parte, in qualunque luogo, si è ritrovato nell’impossibilità di disporne, e tutti i capitali risparmiati si sono ridimensionati.
Avendo quindi dei soldi in parte, in questo momento forse la scelta più saggia sarebbe tramutarli in beni materiali utili.
Se ad esempio ci fossero delle spese necessarie che da tempo si rimandano, questo potrebbe essere un buon momento per attuarle.
Qualche lavoro in casa, la sostituzione di un mobile che va cambiato, dotarsi di strumenti per il fai da te, sistemarsi i denti.
Cose utili, che andrebbero fatte e che si rimandano.
Comunque vadano le cose, non saranno soldi sprecati.
Ovviamente è essenziale l’evitare di indebitarsi, poiché vi è totale incertezza su quello che attende  il sistema bancario.
In uno scenario di crisi profonda, con le banche nazionalizzate, gli indebitati saranno i primi ad essere salassati dallo stato.
La cosa più importante probabilmente, e questo è il consiglio principale che mi sentirei di dare, è quello di rafforzare e recuperare i rapporti umani, famigliari.
Se ci dovessimo trovare in difficoltà, solo coloro che davvero si interessano a noi potranno offrirci aiuto disinteressato.
Legami forti aiuterebbero anche a superare con meno difficoltà periodi duri.
Mi rendo conto che non sono un gran che come consigli, ma almeno sono gratis.

5 Febbraio 2009

Il Regno Unito sfiora il collasso

Le banche sono fottute, noi siamo fottuti, il Paese è fottuto
Un ministro del Gabinetto inglese.


Una decina di giorni fa i principali giornali inglesi riportavano voci sulla pesante situazione economica del Regno Unito.
Persino il celebre aplomb britannico veniva meno nel prendere atto della drammatica condizione delle finanze inglesi, letteralmente sull’orlo della bancarotta.
Non a caso, più di ogni altra nazione europea l’Inghilterra nei decenni passati ha puntato tutto sull’economia virtuale, de-industrializzando il proprio territorio e specializzandosi nella gestione di enormi capitali eterei.
Capitali in gran parte svaniti durante la tempesta della crisi economica internazionale.
Si scopre ora, grazie alle rivelazioni del ministro Paul Myners, che lo scorso 10 Ottobre il sistema economico inglese ha sfiorato il collasso.

Il ministero del Tesoro stava preparando l’ordine di chiusura degli sportelli bancari, lo stop alle transazioni elettroniche ed il blocco totale dei bancomat.
Il primo ministro Gordon Brown stava per apparire in tv a reti unificate per annunciare che l’intero sistema finanziario inglese sarebbe stato nazionalizzato.

Transazioni elettroniche bloccate, bancomat chiusi, uno scenario che a quanto pare è stato evitato per sole tre ore, grazie ad accordi non meglio precisati fatti dal governo inglese non si sa esattamente con chi.

Sempre il ministro ci ha informati che la causa è stata una “segreta corsa agli sportelli”, con protagonisti, si badi bene, “importanti titolari di deposito” che hanno ritirato i loro depositi in massa.
Ricordiamo che la corsa agli sportelli è la fine di una banca.
Si salvano solo i primi che riescono a ritirare i pochi liquidi rimasti. Tutti gli altri restano con un pugno di mosche, con la possibilità di riavere – forse – i propri risparmi “garantiti” quando il governo lo concederà.
E così, mentre la maggior parte dei cittadini ignari rischiavano di restare senza contanti, alcuni enormi investitori si affrettavano a stipare i loro quattrini sulle scialuppe di salvataggio e mettersi in salvo, accelerando ancor di più il disastro e lasciando di fatto in condizioni disastrate i piccoli risparmiatori.
Con tanto di probabili disordini di piazza e ragionevolmente coprifuoco

Con  l’intero sistema economico mondiale gravemente compromesso, basta un movimento brusco o un colpo di vento per far crollare l’intera impalcatura, con esiti facilmente prevedibili.

si veda : Corsa agli sportelli, tre ore all’apocalisse finanziaria

3 Febbraio 2009

Prove tecniche di sommossa II

Disordini e sommosse divengono sempre più frequenti nella vecchia Europa.
A soffrire maggiormente gli effetti della crisi sono per adesso principalmente i paesi “emergenti”, quelli che per ultimi hanno raggiunto il benessere del mondo occidentale e si ritrovano improvvisamente sepolti dai debiti con economie sull’orlo del crack.
La gente esprime il proprio malcontento, di fronte a governi che con ogni evidenza non hanno idea di cosa fare per fermare il tracollo.
Le manifestazioni di protesta si diffondono di stato in stato, e non resta che chiedersi chi sarà il prossimo.

 

Grecia, Dicembre 2008

 

Islanda, Gennaio 2009

 

Bulgaria, Gennaio 2009

 

Lettonia, Gennaio 2009

28 Gennaio 2009

Cosa succede in Grecia?

Dagli scontri di Dicembre alle proteste degli agricoltori: cronache di una nazione sull’orlo del crack.

Dopo i violenti scontri che hanno caratterizzato la fine del 2008, una nuova protesta sta avendo luogo in questi giorni in Grecia.
A manifestare questa volta sono gli agricoltori, che richiedono allo stato maggiori sovvenzioni per i loro raccolti.

Le mobilitazioni vanno avanti da una decina di giorni, e gli agricoltori hanno a lungo bloccato con i loro trattori le arterie principali del paese, permettendo il solo passaggio delle merci deperibili e dei medicinali.

Il malcontento degli agricoltori ha in verità origini lontane, e la questione è strettamente legata con l’evoluzione del mercato internazionale dei generi alimentari: i prodotti agricoli di un paese relativamente avanzato come la Grecia da un decennio a questa parte non sono più competitivi con quelli dei paesi in via di sviluppo, e questo è un problema che riguarda tutte le nazioni cosiddette benestanti.

Per evitare che i campi vengano abbandonati, in queste nazioni i governi centrali sostengono la produzione agricola con onerose sovvenzioni.

E’ il caso degli Stati Uniti e dell’ Unione Europea.

Se non fosse per questi sussidi, per i contadini molte produzioni agricole non risulterebbero economicamente vantaggiose, dal momento che il ricavato dalla vendita della produzione stessa non copre le spese della manodopera, dei fertilizzanti e delle attrezzature necessarie per il raccolto.
Complice la crisi economica e la corruzione titanica dell’amministrazione greca, le sovvenzioni dell’Unione Europea che arrivano nelle tasche dei contadini si sono ridotte sensibilmente, ed a questo si è aggiunto il crollo sul mercato dei prezzi di diverse produzioni agricole, come il cotone o gli agrumi.

Si è quindi giunti al punto in cui tonnellate di arance marciscono al suolo, poiché la manodopera necessaria alla raccolta verrebbe a costare molto di più del guadagno che la vendita degli agrumi assicura al mercato, così come enormi distese di campi di granoturco si offrono spontaneamente quale banchetto per i corvi ed altri volatili.
Questa situazione è paradossale specialmente per una nazione come la Grecia, praticamente sprovvista di un settore industriale e che basa la propria economia sull’agricoltura e sul turismo, mentre la maggioranza della popolazione è impiegata nel terziario, a gestire non si sa bene che cosa.

E se in un paese la cui più grande ricchezza sono i prodotti del suolo non è più conveniente coltivare la terra, diviene naturale nutrire una certa preoccupazione per i periodi che verranno.

La Grecia nel panorama europeo è sempre stata considerata una nazione povera, fino agli anni 70, un angolo di Europa in cui praticamente la rivoluzione industriale non è mai arrivata, dove si è passati da una economia da ancien regime all’era informatica senza passaggi intermedi.

Una nazione povera che era riuscita comunque a raggiungere la autosufficienza alimentare, e che era entrata nel salotto dell’Europa che conta con il vestito buono della festa ereditato dai nonni e le scarpe bucate.

Negli ultimi 30 anni la Grecia è comunque diventata a tutti gli effetti una nazione occidentale, raggiungendo il benessere dei parenti europei e colmando il divario dei decenni precedenti.

Ma è stato un falso benessere, frutto di sovvenzioni europee e di un’economia che si è mossa esclusivamente sul debito; una ricchezza che non corrispondeva alla reale redditività della nazione.

Fare i conti con i propri debiti, questa in qualche modo sarà la sorte che attende anche gli altri paesi europei, una sorte che la Grecia ha sperimentato per prima a causa del suo debole sistema produttivo.
E non sarà semplice per i cittadini ritornare al livello di vita precedente.
Con una ulteriore complicazione, rispetto al passato, inoltre.
Per quanto infatti la Grecia fosse una nazione povera fino agli anni 70, quasi tutta la popolazione poteva contare su di una personale periusia, ovvero una proprietà.
La quasi totalità dei greci aveva infatti almeno una casa di proprietà, magari nel paese dei nonni, e qualche distesa di terra da far fruttare.
Negli anni 80 e 90 la gran parte di queste periusie sono state vendute, e dal ricavato delle vendite le famiglie greche hanno ottenuto il necessario per adeguarsi agli standard di vita europei, con l’acquisto di apparecchi tecnologi, automobili ed altre comodità in precedenza poco comuni nella nazione ellenica.
Così, la popolazione greca è passata ad essere da povera ma autosufficiente a benestante ed indebitata.
Ed ora che la crisi è dilagata, ora che il flusso di denaro in prestito si è interrotto, la Grecia si è improvvisamente svegliata senza fondi e con una marea di debiti.

Si sta concludendo un banchetto durato 30 anni.