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-o- Too late to die young -o-
25 Maggio 2011

Le città fantasma cinesi

 

Zhengzhou, la più grande città fantasma cinese vista dal satellite

Si stima che in Cina esistano circa 64 milioni di appartamenti di nuova costruzione non occupati.
In altre parole, l’intera popolazione italiana e spagnola vi potrebbe trovare posto, e magari rimarrebbero anche qualche milione di case per i greci.
Si tratta di edifici che compongono città moderne, come Kangbashi, attentamente pianificate e dotate di tutti i servizi necessari alla popolazione: uffici pubblici, metropolitane, biblioteche, enormi centri commerciali.
Tutti vuoti.

Questo processo fa parte di un enorme piano di sviluppo coordinato dal governo centrale cinese, nel tentativo di investire gli enormi capitali a disposizione delle casse statali e sopratutto nella necessità di avere un pil in costante espansione.
Un boom immobiliare che nelle analisi macroeconomiche è indice della grande vitalità dello sviluppo dell’economia cinese, ma che in fin dei conti rappresenta solo una immensa bolla destinata prima o poi a frantumarsi in un enorme botto.
In altre parole, si tratta dello stesso processo già sperimentato anche in Europa e negli Stati Uniti, ma in una scala assai più grande.

L’intera operazione è sintomo e conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della follia dei tempi in cui stiamo vivendo, una follia pianificata dove si edificano città per un milione di abitanti e le si tengono tirate a lucido senza che nessuno vi vada ad abitare.
Paradossalmente, molti di questi appartamenti  sono già stati venduti, acquistati da “investitori” convinti di poter ottenere grandi guadagni con la loro rivendita.
Eppure, la stragrande maggioranza dei cinesi è del tutto impossibilitata ad avvicinarsi a queste nuove costruzioni, dal momento che i prezzi richiesti sono del tutto sproporzionati se confrontati con il reddito medio delle famiglie.

Questo però non ferma l’immensa macchina dello sviluppo edilizio, e nuove città continuano ad essere costruite, ad un ritmo di dieci all’anno.
Se mai vi sarà un’umanità rinsavita in futuro, guarderà indietro al nostro tempo e si chiederà quale sorta di follia avesse investito l’intero globo.

 

Zhengzhou

Kangbashi

 




2 Maggio 2011

Le bombe dei buoni


Era il 1999, il 24 Marzo, subito dopo l’equinozio di primavera.
Il periodo migliore per iniziare una guerra, a quanto pare.
Era quindi il 1999 quando le bombe della Nato cadevano sui civili serbi, io avevo 21 anni e comprendevo per la prima volta che c’era qualcosa che non andava nell’idea del mondo che fino allora mi ero fatto.
Può succedere, così come capita a molte persone, di assistere ad avvenimenti che costringono a rivedere tutte le proprie certezze, a stendere un telo bianco tra le pieghe della mente e ricominciare a scrivere i postulati base delle proprie convinzioni.

Per me quel momento venne nel 1999, e tutto quello che mi circondava assunse una diversa sfumatura.
Prima di allora avevo delle precise convinzioni politiche, credevo nelle Istituzioni (con la I maiuscola) e soprattutto ero fermamente convinto che l’umanità nella sua imperfezione fosse destinata ad una lenta ma costante “maturazione”, laddove il progresso scientifico e sociale ci avrebbe allontanato sempre più dalle antiche epoche di barbarie e di ingiustizia.
Vivevo in un continente pacifico, ed a scuola mi era stato insegnato che questo fatto rappresentava un chiaro segno del progresso raggiunto dalla nostra civiltà.
Dopo millenni di continue guerre e sconvolgimenti, dopo due terrificanti conflitti mondiali, nella nostra Europa si stava vivendo un periodo di pace lungo più di cinquanta anni.
La Seconda Guerra Mondiale era stata terribile, ma alla fine avevano vinto i buoni, ed i buoni eravamo noi.
La democrazia, grazie a Dio, aveva trionfato.
A tutto questo io credevo, ed ero più che felice di essere nato in un periodo storico così pacifico e prospero.

Poi venne il 1999, e questa visione idilliaca si frantumò.
Sapevo all’epoca che grandi e piccole guerre erano ancora in svolgimento in luoghi lontani, ma questo accadeva, mi dicevo, perché non tutti i popoli avevano raggiunto il nostro grado di maturazione sociale: non ovunque aveva ancora messo radici la democrazia.
E sapevo anche che nei Balcani aveva luogo una sanguinosa guerra civile, ma anche in questo caso vi erano delle motivazioni storiche ben precise, risalenti alla creazione di uno stato dittatoriale che aveva aggregato nazioni diverse sotto un unico governo centrale tirannico.

Quello che invece non riuscii a comprendere, quello che mi sconvolse, fu il vedere le nostre forze armate, di noi che eravamo i buoni, partire e sganciare bombe sopra dei civili.
Forse se fossi stato un giovane cittadino italiano le rassicurazioni dei telegiornali mi avrebbero tranquillizzato (“sono interventi mirati”, “non vengono colpiti civili”, “si tratta di un intervento umanitario”).
Ma essendo anche mezzo greco, avevo la possibilità di vedere anche i telegiornali greci.
E là, il racconto era del tutto diverso.
La Grecia, infatti, essendo legata da una fratellanza secolare col popolo serbo, all’epoca condannò da subito l’azione della Nato, e i mezzi di informazione greca documentarono rigorosamente tutte le conseguenze del terribile intervento militare della coalizione atlantica.

I telegiornali italiani e quelli greci raccontavano allora due realtà del tutto differenti.
Da una parte immagini di “bombe intelligenti” che centravano obiettivi sensibili in maniera chirurgica, senza spargimenti di sangue, dall’altra immagini di profughi, città smembrate, bombe che cadevano “per errore” su colonne di civili in fuga.
In Italia poi il termine “serbo” divenne sinonimo di criminale, e per la prima volta una intera nazione venne descritta quale malvagia nel suo complesso.

Ovviamente, poteva darsi che fossero i giornalisti greci ad esasperare la situazione, essendo “di parte”.
Ma la questione, ai miei occhi, andava ben oltre questa possibilità: comunque stessero le cose, qualcuno stava mentendo.
Che fossero i telegiornali italiani o quelli greci, uno dei due mi stava mostrando in televisione una totale falsificazione della realtà.
Chiunque fosse a mentire, mi resi conto, per la prima volta nella mia vita, che la televisione e l’informazione nel suo complesso può stravolgere totalmente il senso del reale, mentendo spudoratamente.
Ora, a distanza di anni, so che i media occidentali sorvolarono su molte carneficine compiute dalla Nato, e so anche che quella delle bombe intelligenti fu un triste mito, una presa in giro.*
Oggi è noto di come l’ex Jugoslavia venne sepolta sotto una montagna di uranio impoverito che ammallò ed ancora ammala le genti di quelle terre, ma questo ormai non interessa più a nessuno.

Si parlava, all’epoca, di motivazioni umanitarie, ma allora come oggi non sarei mai stato in grado di comprendere cosa vi sia di umanitario nel togliere la vita a degli innocenti.
Facce serie ed autorevoli parlavano della necessità dell’intervento, del fatto che non si potesse “stare a guardare”, ma, ancora una volta, come poteva tutto questo giustificare la morte di un bambino, causata da una bomba “dei buoni”?
Anche di un solo bambino.
Vallo a dire ai suoi genitori che l’hai ucciso a fin di bene, per un motivo “umanitario”.
Ed è questo che fece l’intervento umanitario, ed è questo che gli interventi umanitari tuttora fanno: si uccidono innocenti “a fin di bene”.
A distanza di dodici anni, e sempre a cavallo di un equinozio di primavera, la coalizione dei buoni è tornata ad usare le bombe a fin di bene, ad uccidere innocenti a fin di bene.
Ho acceso la televisione l’altra sera ed ancora una volta ho sentito le stesse parole: “non potevamo stare a guardare, si effettueranno solo interventi chirurgici, non possiamo più tollerare una dittatura così sanguinosa”.

Sono sempre le stesse bugie, squallide bugie pronunciate da una banda di ipocriti che magari rappresentano una fazione diversa da quella di dodici anni fa, ma che in fondo obbediscono prostrati agli stessi poteri di sempre.
Bugie che ora mi appaiono palesi, spudorate, così come mi fanno ribrezzo ed orrore i volti che le pronunciano.
E penso che ci fu un tempo in cui in quelle facce riponevo la mia fiducia e le mie speranze per un futuro che non poteva che essere sempre più roseo.

 
*da leggere a questo proposito l’articolo di Fulvio Grimaldi “1999-2009. La criminalità organizzata stupra la Jugoslavia”, di cui riporto un breve estratto:

Quando la mattina dopo le prime bombe su Belgrado, nella riunione di redazione del TG3, ci venne impartita la nozione dell’ “intervento umanitario” , da sostenere come verità incontestabile, Giovanna Botteri si scaraventò sui profughi kosovari per estrargli, a colpi di ricatti umanitari (ricordate i campi dalemiani dell’Operazione Arcobaleno, poi finiti sotto processo?), orrori e anatemi sui serbi, io lasciai la Rai per sempre e me ne andai con una telecamera a Belgrado.
A Novi Sad erano stati disintegrati i più bei ponti sul Danubio e la raffineria in fiamme spargeva veleni nel fiume e nei polmoni, a Pancevo l’enorme complesso petrolchimico bruciava e assolveva alla funzione assegnatagli dalla Nato di contaminare acque, terre, aria a futura moria di questo “popolo di troppo”.
A Belgrado due missili sventrarono l’albergo al quale eravamo destinati e, un attimo dopo, l’ambasciata di un paese, la Cina, che non condivideva l’accondiscendenza del fedifrago russo Eltsin nei confronti degli aggressori: a buon intenditor, un paio di missili.[…]

Venivano disintegrati ospedali, scuole, asili, case, ponti, treni, centrali elettriche, tra i 3.500 uccisi da Clinton e dai suoi furieri europei c’erano i bambini delle incubatrici cui era venuta a mancare l’elettricità. Già allora, prima di Baghdad, prima di Gaza, si capiva che gli interventi umanitari erano mirati a eliminare pezzi di specie umana. Oltrechè a distruggere infrastrutture la cui ricostruzione poi, a colonizzazione completata, avrebbe gonfiato i forzieri delle imprese dei paesi assassini.

21 Marzo 2011

La guerra per la guerra


C’è solo una cosa più infame del fare la guerra: fare la guerra senza nominarla.
In questo modo le nostre democrazie aggiungono ai maggiori difetti dei passati regimi un’ ulteriore vergogna, l’ipocrisia.
Da un certo punto di vista, l’ipocrisia è il più subdolo degli inganni: di fronte all’ipocrita non si hanno difese, perché non si sa chi ci si trova davanti, non si riconoscono le insidie, non si è in grado di percepire il pericolo, e di conseguenza non è possibile prepararsi e difendersi.

Così noi siamo nati e cresciuti nell’occidente libero del pianeta, nella convinzione di appartenere alla terra dei buoni, dove regna la democrazia e dove si ripudia la guerra.
Ma basta chiamarla missione internazionale, missione umanitaria, e tutto si risolve.
Viviamo nel più subdolo dei regimi, quello che nasce nella e si nutre di menzogna.
E non a caso, quando in passato si voleva affibbiare un attributo al diavolo, lo si chiamava l’ingannatore, il menzognero.
Non il malvagio, non il perfido, ma l’ipocrita.
Perché l’ ipocrisia, come ben sapevano i saggi della Grecia classica, è la madre di ogni male.

L’Italia è in guerra, con le altre democrazie libere dell’occidente, contro uno stato sovrano col quale di recente aveva firmato un trattato dove si garantiva l’impegno a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica della controparte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite
Uno stato retto da un dittatore, odioso e psicopatico come ce ne sono molti, anche tra i nostri “amici”, come amico era fino a ieri lo stesso dittatore oggi in disgrazia.
Un cattivo perfetto, per noi che siamo i buoni, per noi che bombardiamo sì, ma con umanità.

E sarà inutile cercare motivazioni economiche in questo conflitto.
Non si fa per il petrolio, non si fa per le materie prime, e nemmeno per eliminare il dittatore.
Questa è una guerra fatta per la guerra: le bombe che a migliaia cadono sono fini a se stesse.
Il loro scopo è distruggere, uccidere: il loro scopo è cadere.
La guerra per la guerra.
Quello che serviva era un bersaglio accettabile.
E il sole in questo occidente è tramontato già da molto tempo, e c’è chi chiama giorno la notte.

5 Marzo 2011

Esuberanza adolescenziale

 

Lei è Taylor Momsen, ed ha 17 anni.

Taylor Michel Momsen (Saint Louis, 26 luglio 1993) è un’attrice, modella e cantante statunitense. È conosciuta soprattutto per il ruolo di Jenny Humphrey nella serie tv Gossip Girl. Fa parte del gruppo rock The Pretty Reckless di cui è la cantante, e con cui ha ottenuto un contratto con la Interscope Records.

Taylor Momsen gode di una certa notorietà tra il pubblico di teenager statunitense.

Nel 2010 è la testimonial della nuova campagna pubblicitaria di vestiti per teen, denominata “Material girl” e creata da Lourdes, figlia di Madonna .

 

26 Febbraio 2011,Tatoo Rock Parlour,Toronto: Taylor Momsen si esibisce dal vivo col suo gruppo The Pretty Reckless.

Tutto tranquillo sul fronte occidentale.

 



27 Febbraio 2011

Il flusso del potere - Prologo

 

Si immagini una proposta folle.
Una persona, non meglio identificata, offre una considerevole quantità di denaro –decine di milioni di euro – accompagnata dalla promessa di esaudire le proprie più grandi ambizioni: fama, successo, il raggiungimento di alte cariche di potere.
Tutto questo a patto di portare a compimento una missione: l’uccisione, per mezzo di un coltello, di tredici bambini di tredici mesi di età, raccolti all’interno di una stanza ben illuminata, dalle pareti bianche.
Vi è inoltre l’assoluta garanzia che nessuno verrà mai a conoscenza del gesto commesso, ad esclusione del committente stesso.

Come reagirebbe un essere umano di fronte ad una proposta simile?
Sicuramente vi sarebbero diverse reazioni.
Una buona parte delle persone, la maggioranza relativa, rifiuterebbe immediatamente con il massimo sdegno ed orrore l’idea di compiere un atto tanto efferato, quale che sia la ricompensa.
Un’altra considerevole percentuale invece resterebbe disorientata, rifletterebbe brevemente sui benefici ma in seguito rifiuterebbe, considerando il rito da compiere brutale e disumano.
Vi sarebbe poi una parte di persone che dopo lunga riflessione accetterebbe, ma giunta sul posto, col coltello in mano, non avrebbe la forza di procedere.
Un’altra parte ancora rifletterebbe a lungo sulla proposta, accetterebbe e porterebbe a termine il proprio compito, in uno stato di terribile turbamento, tormentandosi per la scelta fatta per il resto della propria vita.

Infine, vi sarebbe una piccola percentuale di persone che accetterebbe senza eccessive riflessioni, e finirebbe il lavoro senza problemi e senza ripensamenti.
Si tratta di coloro che la psicologia moderna chiama psicopatici, e il sapere tradizionale “uomini privi di anima”.
Molti di loro hanno dato in passato, e tuttora danno, un grande contributo nel delineare le sorti del nostro mondo.


La proposta riportata appare per la maggioranza delle persone oltremodo brutale, e molti sicuramente proveranno un forte malessere al solo immaginare l’azione.
Questo succede perché siamo esseri umani,  e possediamo una coscienza, per quanto tale concetto e la sua reale essenza siano oggetto di discussione da millenni a questa parte; ma qualunque sia la sua natura e la definizione che ciascuno vorrà darle, la maggior parte degli uomini possiede la capacità di definire “a priori” un certo tipo di azioni “malvagie”, senza bisogno di far ricorso a delle argomentazioni logiche e senza dover dare spiegazioni dettagliate.
Alcune azioni sono malvagie, e basta.

Ovviamente nel corso dei secoli anche gli standard morali possono variare, e il motivo per cui ciò avviene rappresenta un argomento che occorrerà approfondire.
Nonostante questo, e per quanto sia largo il margine in cui tali concetti sono differentemente percepiti, gli uomini posseggono la concezione del giusto e dello sbagliato.
Quasi tutti gli uomini, come si diceva in precedenza.

Ritornando quindi alla infame proposta descritta all’inizio, si è sostenuto che una piccola percentuale di persone porterebbe a termine il compito senza troppe difficoltà.
Queste persone, che la psicologia moderna descrive come psicopatici, agiscono seguendo una forma mentis strutturalmente diversa rispetto a quella degli altri uomini.
L’uomo comune, con tutte le sue debolezze e le sue piccole e grandi meschinità, nel valutare diverse opzioni utilizza in primis lo schema giusto-sbagliato e nel momento di effettuare una scelta queste sono le prime categorie con cui si confronta; ovviamente, questo non impedisce che la scelta possa ricadere anche sulla possibilità valutata nel profondo come “sbagliata”, ma questa preferenza sarà accompagnata da sentimenti di rimorso e da sensi di colpa, di entità grande oppure trascurabile.

Lo psicopatico si distingue in quanto incapace di provare questi sentimenti: dinnanzi ad una scelta il suo pensiero non ragiona seguendo le categorie di “giusto” o “sbagliato”, concetti a lui del tutto sconosciuti, ma analizza ogni situazione in base alla convenienza: non “bene” e “male”, quindi, ma “utile” e “dannoso”.
Il dubbio dello psicopatico si concentra esclusivamente sulla utilità di una azione: se porta benefici sarà compiuta, altrimenti se ne asterrà.
Nel nostro caso, secondo tale schema mentale, l’azione da compiere – l’uccisione dei bambini – porta esclusivamente benefici, dal momento che chi commette il gesto non rischia di venire scoperto e punito.

Se le persone comuni rimangono spesso disorientate dinanzi a criminali che commettono efferati delitti è proprio perché non facilmente possono immaginare che vi siano uomini che hanno una forma mentale totalmente diversa dalla loro, uomini che in apparenza non si distinguono in nulla dai loro simili e che è difficile individuare tra coloro che ci circondano.

E’ noto, ad esempio, di come la polizia americana utilizzava in passato una sorta di test per scoprire se determinati sospetti possedessero questa “mentalità criminale” di stampo psicopatico.
Al  “candidato” veniva proposto di risolvere un particolare quesito, formulato come segue:

al funerale della madre, una donna nota un uomo che non aveva mai visto prima, e ne rimane notevolmente attratta; dopo alcuni giorni, quella donna uccide la propria sorella.
Perché l’ha fatto?

(chi non conoscesse questo test, prima di procedere con la lettura dell’articolo può provare a riflettere sulla soluzione)


La maggior parte delle persone non è in grado di fornire la risposta corretta, mentre la quasi totalità degli psicopatici risolve il quesito senza difficoltà.
La risposta giusta è infatti la seguente: la donna uccide la sorella perché così al suo funerale avrà molte probabilità di rincontrare l’uomo che l’aveva affascinata.
Una persona comune non riesce a risolvere il test perché difficilmente immagina che una donna possa arrivare a compiere un gesto così tremendo per un motivo così futile, con lucida premeditazione.
Lo psicopatico, al contrario, ragionando secondo un semplice schema di utilità, comprende immediatamente le motivazioni della donna: se ogni questione di carattere morale è infatti accantonata, l’agire della donna risulta perfettamente logico.
Vi è un problema da risolvere (la donna vuole rivedere un uomo di cui non sa nulla) e la soluzione più facile è fare in modo che ci sia un altro funerale in cui egli possa partecipare: essendosi presentato al rito funebre della madre aveva dimostrato infatti di avere un qualche legame con la famiglia, e di conseguenza avrebbe partecipato anche a quello della sorella.

Lo studio della forma mentis degli  psicopatici possiede un interesse “antropologico”, ovviamente, ma quello che è ancora più importante è il comprendere cosa succeda quando una persona simile arriva a detenere un posto di potere, e comprendere come la psicopatia come condizione rappresenti un grande vantaggio per il raggiungimento di questo obiettivo; è infine importante riflettere sul modo con cui lo psicopatico diviene in grado, una volta salito in alto nella gerarchia sociale, di influenzare il sentire comune trasmettendo la sua distorta percezione delle relazioni umane.

Un celebre caso di “teoria psicopatica applicata” potrebbe essere, per fare un esempio concreto,  il Principe di Niccolò Machiavelli: in esso, una sorta di guida per il signore rinascimentale, non si trova alcun riferimento ai concetti di “giusto” o “sbagliato”, e le azioni non vengono mai valutate secondo criteri di “moralità”.
Vi è un fine, il potere che il principe deve mantenere a tutti i costi, e guerre e stermini ed ogni genere di atrocità vengono valutati solamente in base all’utilità che dimostreranno nel permettere il raggiungimento di quel fine.
Machiavelli rappresenta un esempio paradigmatico di psicopatia, e quello su cui occorre soffermarsi, quello che bisogna scoprire, sono le motivazioni che hanno portato nel tempo la forma mentis degli psicopatici a prevalere su quella della maggioranza, influenzando con il loro esempio la grande massa del popolo “ricettore”.
Quando si è completato, tale processo, e come è potuto succedere?

continua