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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
4 Luglio 2011

Il nemico assente

 

Sleeping Warrior

 

C’è in questi giorni un certo fermento che attraversa il mondo dell’informazione nella rete, un fermento causato da una delibera che l’Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni italiana, si appresta a breve a varare.
Si tratta di una serie di provvedimenti che l’Agcom sta per attuare nel nome della difesa del copyright, una delibera con la quale l’Autorità delle comunicazioni potrà oscurare i siti di informazione senza “processo”.
In pratica, la questione è la seguente: se in un sito o in un blog viene pubblicato del materiale protetto da copyright (ad esempio un filmato rai o mediaset), la “parte lesa” ne richiederà la rimozione al gestore del sito/ blog, e questi avrà due giorni di tempo per intervenire togliendo il materiale incriminato.
Se entro questi due giorni il gestore non risponde, la “parte lesa” potrà rivolgersi direttamente all’Agcom, e questa contatterà direttamente il responsabile del sito/blog.
Da questo momento il gestore avrà cinque giorni di tempo per dare risposta, e se questo non avviene l’Agcom potrà oscurare il sito.

Leggendo il provvedimento, c’ è chi ha parlato di “morte del web italiano” e chi grida alla censura, mentre una grande mobilitazione nel mondo della rete ha già prodotto oltre 130.000 mail di protesta spedite direttamente al garante.

Personalmente, ma questa è una reazione strettamente personale, anche se questa norma venisse varata in questi termini, non mi preoccuperei molto.
Al contrario, se, per un motivo o per l’altro, un giorno questo blog dovesse essere “censurato” oppure, meglio ancora, “oscurato”, la sensazione di orgoglio che ne proverei sarebbe infinitamente maggiore rispetto alla delusione per aver perso un luogo di espressione a cui sono comunque molto affezionato.

Perché la questione è proprio questa.
Le varie mobilitazioni, il gridare alla morte del web, l’indignazione contro la censura, pur essendo  reazioni del tutto comprensibili, ed in un certo modo anche giustificate, celano in realtà una necessità  ancora più grande, che purtroppo resterà insoddisfatta: il bisogno di un nemico.
La mobilitazione contro il decreto dell’Agcom in fondo è solo un piccolo evento, una preoccupazione temporanea che però è sintomo di una questione molto più grande.

Chi sulla rete pensa di fare “controinformazione”, chi dedica del tempo nel descrivere e denunciare questa o quella fonte di potere, vorrebbe, in cuor suo, avere nel suo piccolo un ruolo attivo nello “scardinamento” del sistema.
E’ un sentimento umano e comprensibile: nel rendersi conto delle grandi ingiustizie e delle storture del mondo reale, ognuno vorrebbe dare il proprio contributo per “combattere” l’apparato del potere.
Ecco quindi che l’idea che il proprio lavoro possa essere “censurato”, che i propri scritti “oscurati”, dà la sensazione di avere davvero un ruolo in questo gioco, di essere, anche nel proprio piccolo, “temuti”.

Si tratta, in qualche modo, della necessità di dare un volto al nemico: che sia il governo per mezzo di una sua agenzia, un ricco imprenditore che controlla i mezzi di informazione, oppure, salendo di livello, gli illuminati o i gesuiti in persona, è forte la necessità di avere un punto di riferimento quando si porta avanti una “lotta”, una entità concreta che ci consideri quali “avversari”, e che possa rivalersi su di noi.
Purtroppo, questo nemico non esiste, o per meglio dire, non gli si può assegnare un volto.
La vera tragedia del mondo occidentale di questi tempi, infatti, per tutti coloro che percepiscono una malattia di fondo dell’intero sistema, è l’impossibilità di definire un vero e proprio bersaglio contro cui scagliarsi.


E’ frustrante analizzare i meccanismi del potere, e poterli esporre, senza che nulla accada.
Senza che “il potere” reagisca in nessun modo, senza che nemmeno un minimo accenno di censura venga applicato.

Durante i totalitarismi del passato, era sufficiente mostrare un piccolo segno di insofferenza nei confronti del dittatore di turno che subito si veniva prelevati e tratti in arresto.
Si trattava di situazioni orribili, e noi siamo sicuramente fortunati nel non dover vivere in regimi del genere.
Ma, da un altro punto di vista, chi all’epoca era davvero un uomo, aveva la possibilità di mostrare fino in fondo la sua natura.
C’era qualcosa di concreto contro cui lottare, un senso da dare alla propria sete di giustizia.
Oggi, a noi, questa possibilità viene negata.

Nonostante percepiamo chiaramente l’essenza ipocrita e subdola del sistema di potere corrotto a cui sottostiamo, sappiamo anche che non abbiamo nessuna via veloce ed “eroica” di reagire.
Sfogandoci al massimo davanti ad uno schermo, vorremmo per qualche momento convincerci di stare facendo davvero qualcosa di “sovversivo”.
Ma così non è: a differenza dei totalitarismo del passato, quello in cui attualmente viviamo si è fatto molto più sottile, ed all’oppressione diretta ha sostituito un generale velo di indifferenza, coperto da un oceanico rumore di fondo generato dall’infinito flusso di informazioni spazzatura e da distrazioni che gli odierni sistemi di comunicazione sono in grado di creare.

Non è tempo di eroi, questo, non riusciremo mai a vedere negli occhi il drago da combattere.

 


Give me a sword, a maiden to protect, a sea of enemies and this song

24 Giugno 2011

La grande onda: un' idea per il prossimo film catastofico


Negli ultimi quindici anni ha ripreso vigore nel mondo del cinema un genere che da sempre stimola inesorabilmente la curiosità e l’immaginazione del pubblico: si tratta dei film cosiddetti catastrofici.
Tale genere è vecchio come il cinema, ma quello che caratterizza le produzioni degli ultimi anni è un generoso utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla creazione di spettacolari effetti speciali, ed in secondo luogo l’entità delle devastazioni in ballo.
In una continua escalation di catastrofi, infatti, si è arrivati alla definizione di un topos narrativo in cui varie minacce – naturali, artificiali od aliene – giungono a mettere in pericolo l’esistenza dell’intera umanità, della terra nel suo insieme.

Nelle produzioni di maggior successo, il nostro pianeta è stato nel tempo minacciato da alieni (Indipendence Day), da meteoriti (Amageddon, Deep Impact), dalla scomparsa del campo magnetico a seguito di un rallentamento della rotazione del nucleo terrestre (The Core), da improvvise ed inattese nuove glaciazioni (The Day After Tomorrow), oppure dal surriscaldamento del nucleo stesso che produce una serie di terremoti e devastazioni in tutto il globo (2012).

La lista dei vari film è lunga, ma perlomeno in quelli di maggior successo si possono osservare delle situazioni ricorrenti:
– vi è un gruppo di scienziati indipendenti ed integerrimi che vengono a conoscenza di una enorme catastrofe che sta per colpire il pianeta
-vi sono le autorità preposte (nasa, protezione civile) che inizialmente si dichiarano scettiche, ma poi prendono atto del problema
-vi è un gruppo di eroi (a volte gli scienziati stessi, più spesso persone comuni che vengono chiamate ad imprese straordinarie) che si assume il compito di compiere delle azioni rischiose al limite dell’impossibile per salvare la situazione
– vi sono infine i militari, dipinti quali ottusi e arroganti, che in tutti i casi, come unica soluzione, propongono l’utilizzo degli armamenti atomici
(“generale, un asteroide grande come il Texas si sta avvicinando alla terra e ci colpirà tra un mese!” “allora bombarderemo l’asteroide con mille bombe atomiche”;
– “generale, il nucleo della terra si sta fermando e questo porterà alla scomparsa del campo magnetico terrestre!” “bombardiamo il nucleo della terra con mille bombe atomiche”;
– “generale, un uragano grande come la California sta per abbattersi sulla costa orientale!” “bombardiamo l’uragano”;
– “generale, sta per iniziare una nuova era glaciale!” “bombardiamo l’era glaciale”
, e così via)

Essendo quindi quello dei film catastrofici un genere di grande successo, proveremo anche noi a delineare brevemente la trama di una possibile nuova produzione, facendo un ampio utilizzo di idee fantasiose ed avvalendoci di scenari inverosimili ma spettacolari.
Per differenziarci in parte dalle altre pellicole del genere, ci concentreremo principalmente sulle reazioni dei vari stati in prospettiva del disastro, disastro che posizioneremo in un futuro non imminente (si consiglia, nel prosieguo dell’articolo, di cliccare sui link segnalati).

La nostra storia inizia, come da tradizione, in un laboratorio scientifico, che posizioneremo in un ambiente suggestivo, dal forte appeal cinematografico.
Siamo nei primi anni 90, e un gruppo di scienziati in stanza nelle isole Hawaii, quindi, scoprono dei movimenti anomali nelle profondità dell’oceano Pacifico; dopo accurate verifiche, comprendono che in determinate zone del pianeta ha luogo un grande movimento del magma in prossimità della crosta terrestre: vengono così individuati degli enormi vulcani sottomarini fino allora sconosciuti, vulcani da tempo in sonno che danno segno di aver ripreso la loro attività (la parte prettamente “scientifica”, in questo genere di film, non deve essere eccessivamente accurata…)
Gli scienziati si mettono quindi all’opera per definire gli effetti di queste attività, e giungono alla conclusione che entro l’anno 2020 l’attività dei vulcani sarà massima e porterà a devastanti eruzioni sottomarine, eruzioni che a loro volta produrranno degli immensi tsunami che non lasceranno scampo alle coste da loro raggiunte.

Si delinenano due fronti principali in cui l’attività vulcanica sottomarina avrà luogo: la prima nel cuore dell’oceano Pacifico, la seconda nell’oceano Atlantico.
Un team di esperti statunitensi si occupa quindi di produrre delle simulazioni al computer ed arriva ad ipotizzare delle onde alte fino a 100 metri che travolgeranno le coste americane, distruggendo ogni edificio fino a decine di chilometri nell’interno.
Il governo americano prende atto della situazione: le principali città degli Stati Uniti, tutte situate sulle coste, verranno spazzate vie: New York, Washington, Boston, Filadelfia, Miami, Houston, Los Angeles, San Francisco, Seattle sono destinate a scomparire.


La prima preoccupazione del governo, quindi, è quella di mantenere il massimo riserbo sulle scoperte degli scienziati, per evitare la diffusione di un panico di massa.
In secondo luogo, il consiglio di guerra si riunisce per valutare le possibili ripercussioni sul piano della sicurezza interna, dal momento che il disastro potrebbe rendere estremamente vulnerabile il sistema difensivo della nazione, rendendola così facile preda di attacchi di potenze straniere che dai grandi sconvolgimenti saranno meno colpite.
Il consiglio decide di conseguenza di costruire un nuovo centro di controllo, una postazione di comando da cui si possa gestire l’emergenza, e il luogo ideale per il nuovo centro di comando viene individuato nei pressi della città di Denver: lontano dalle coste, la capitale del Colorado è situata in in luogo strategico, nel cuore del paese, in una posizione ideale per poter controllare il restante territorio.
Si dà quindi avvio alla costruzione di un imponente centro di controllo dotato di tutte le attrezzature necessarie per risultare operativo in seguito al disastro, e per non destare troppi sospetti gli si dà l’aspetto di un aeroporto.

Nel frattempo, i consiglieri più vicini al presidente degli Stati Uniti gli fanno notare che a seguito del disastro vi saranno nel paese numerosi disordini, e milioni di disperati che avranno perso ogni loro bene si ritroveranno da un giorno all’altro a vagare per la nazione, con grave pericolo per la sicurezza pubblica; si decide così di avviare la costruzione di centinaia di campi di detenzione per la popolazione, opportunamente fortificati e capaci di contenere fino a due milioni di persone.
Un alto grave problema, fanno notare i consiglieri, sarà dato dalle migliaia di cadaveri di cui la terra sarà disseminata; per prevenire rischi di epidemie, la Fema, il principale ente addetto alla protezione civile, ordina la costruzione di centinaia di migliaia di bare di plastica, realizzate in poco tempo e pronte per essere usate al momento opportuno.


Gli anni passano e, giunti alla soglia del XXI secolo, il governo statunitense inizia a progettare il proprio futuro a seguito della catastrofe.
Si decide che sarà di primaria importanza accaparrarsi il controllo del maggior numero dei centri di estrazione delle risorse strategiche del pianeta; si pianifica così una serie di guerre che avranno come scopo lo stanziamento diretto dell’esercito americano nei  punti nevralgici del pianeta: l’Afghanistan, l’Iraq, il nord Africa vengono scelti quali primi obbiettivi da conseguire.

Nel corso della nostra storia, il governo americano fa di tutto per evitare che le scoperte dei propri scienziati divengano di dominio pubblico, ed ancor di più si prodiga affinché nessuna potenza straniera venga a conoscenza degli sconvolgimenti in arrivo.
Ma accade che una troupe di studiosi cinesi  –  e siamo già nei primi anni del terzo millennio – giunge alle medesime conclusioni dei colleghi americani.
Subito i più importanti membri del Partito si riuniscono per analizzare la situazione.
Si prevede che i grandi tsunami dell’oceano pacifico raggiungeranno anche la costa cinese, e di conseguenza città strategiche come Honk Kong, Nanchino, Hangzou e la stessa capitale Pechino verranno travolte dal’impatto delle acque.


Ma i membri del partito capiscono che il disastro atteso avrà ripercussioni molto più gravi per i loro rivali statunitensi, e comprendono che gli sconvolgimenti in arrivo possono rappresentare una enorme opportunità per la loro nazione, per divenire, finalmente, la potenza egemone a livello mondiale.
Avendo quindi una enorme disponibilità di fondi, il governo cinese avvia una monumentale opera edilizia pianificando ed iniziando la costruzione di centinaia di nuove città, situate tutte nell’entroterra, destinate ad accogliere i milioni di abitanti delle coste che dovranno cercare una nuova sistemazione in seguito all’arrivo della grande onda: in questo modo, il governo ritiene che sarà più facile operare una transizione post disastro, evitando che una massa enorme di sfollati mini l’ordine costituito.
Inoltre, le zone produttive delle nuove città assicureranno la continuazione dell’attività industriale della nazione, attività che dopo il disastro assumerà una importanza ancora più decisiva a livello mondiale, maggiore rispetto a quella già grande detenuta negli ultimi decenni.

Questa potrebbe essere, a grandi linee, la trama del nostro film catastrofico.
Una serie di spunti su cui abili sceneggiatori potrebbero lavorare per ottenere una pellicola avvincente e di grande impatto.
Il finale del film resta invece ancora aperto: per scriverlo, c’è ancora tempo.

20 Giugno 2011

I bambini della Nuova Era


Forse perché ho letto molti romanzi distopici, forse perché nell’approfondire il pensiero neospiritualista ho imparato che tutto ruota intorno al concetto di nuova era, o forse perché, più semplicemente, nutro una certa allergia per le divise, ed il vedere molte persone vestite nel medesimo modo mi ha sempre messo a disagio.
Sarà per qualcuno di questi motivi, o forse per tutti e tre nel loro insieme, fatto sta che l’immagine di un milione di bambini (un milione) raccolti attorno al tempio di Dhammakaya in Tailandia intenti a cantare all’unisono un inno alla Nuova Era mi ha fatto provare un gelido brivido lungo la schiena.
Il tempio di Dhammakaya è il centro di una particolare corrente buddista, una corrente relativamente recente (risale ai primi anni del XX secolo) che sta avendo una grande diffusione in Asia, per mezzo di una larga opera di proselitismo ed un attento uso dei mezzi di comunicazione della modernità.

(le immagini del video si riferiscono al raduno tenuto l’11 Dicembre 2010)

 



Uniamoci insieme per aprire
l’era del nuovo mondo per eliminare
tutti i conflitti e le differenze.
E ‘il momento per tutti di unirsi mano nella mano
finalmente
Ora il mondo è al di là di guarigione
è il momento di cambiare il mondo
come l’Uno che si conosceva in passato
In questo periodo del nostro tempo vedremo
prima di lasciare questo mondo
ognuno deve unirsi mano nella mano
per cambiare il mondo
dalle tenebre alla luminosità
dalla sofferenza alla felicità
da ignoranti alla conoscenza dell’Uno
Cambiare il mondo dobbiamo farlo
in modo semplice e rilassato
essere felici con la gioiosa innocenza di un bambino
ognuno deve unirsi mano nella mano
delicatamente chiudi i tuoi occhi, rilassati … rilassati
calma la tua mente al centro del corpo
e guarda dentro
Come la stessa posizione del l’Uno
che si conosceva dal passato
cambiare il mondo dall’era delle tenebre
all’era della luce

Dalla vecchia era a questa nuova era
il mondo sarà come il paradiso sulla terra
nessuna classe nelle società
ognuno sarà felice ugualmente
parleremo la stessa lingua celeste
diventare come uno con un sorriso d’amore
noi saremo gentili e il mondo cambierà
il mondo cambierà
uniamoci insieme per cambiare il mondo
Lasciaci cambiare il mondo
Lasciaci cambiare il mondo
Dobbiamo farlo in modo semplice e rilassato
essere felici con la gioiosa innocenza di un bambino
ognuno deve unirsi mano nella mano
delicatamente chiudete gli occhi e rilassarsi
ancora la vostra mente al centro del corpo
e guardare dentro
come l’Uno che si conosceva in passato
Uniamoci insieme per cambiare il mondo

11 Giugno 2011

L'isola, una breve riflessione


L’altro giorno, in metropolitana, circondato da centinaia di persone, mi chiedevo quanti di loro, in una situazione come quella descritta nell’articolo sull’isola, manderebbero tutto all’aria.
Guardavo le facce, le espressioni, provavo ad indovinare.
Quello che emerge dalla maggioranza dei commenti a quell’articolo, infatti, è che coloro che sono intervenuti si ritengono  persone logiche e ragionevoli, tendenzialmente portate alla cooperazione pacifica, ma prevedono l’insuccesso di un qualsiasi processo di socializzazione a causa degli individui “prevaricatori”.
Qualcuno asserisce che questa tendenza prevaricatrice sia nella natura dell’uomo, altri sostengono che basta un piccolo gruppo di malintenzionati per far degenerare ogni tentativo di cooperazione.

Non nego a priori a che non ci sia del vero, in questo, ma è un atteggiamento che comunque fa riflettere.
E’ molto probabile che quello che si teme negli altri in qualche modo alberghi anche in fondo a se stessi, magari sotto forma di sentimento represso che si tema emerga.
Potrebbe essere, oppure no, ma sarebbe una spiegazione verosimile di un certo timore “a priori”.
E, ripeto, non nego che ci sia molto di vero in certe paure.
Eppure, pare comunque di trovarsi dinnanzi ad un vicolo cieco, se una forma di convivenza migliore rispetto a quella in cui ci troviamo adesso non riesce nemmeno a venire immaginata.
La forza del sistema di controllo attuale si basa principalmente sull’evocazione, sulla capacità dell’elite di propagandare e diffondere il suo distorto modello sociale.
E, forse, questa capacità di evocazione è giunta al punto da aver diffuso ovunque il suo modello, togliendo contemporaneamente alle persone persino la possibilità di essere in grado di immaginare un sistema migliore.
E, come è noto, ciò che non può essere immaginato, ovviamente mai potrà essere costruito.
Forse l’immaginare potrebbe essere un primo passo: un passo minimo, insignificante, ma tuttavia necessario.

2 Giugno 2011

Vietato ballare in pubblico negli USA?

Mi sono imbattuto casualmente in questo video, un filmato che viene presentato con una drammatica didascalia: Attenzione, non ballate in pubblico, è contro la legge!
La questione è presentata in maniera un po’ sensazionalistica, ma l’intero sviluppo fa comunque riflettere su alcune questioni importanti che riguardano il concetto di libertà personale raffrontato con le imposizioni del potere centrale.

La vicenda ha inizio nel 2008, quando 18 persone vengono arrestate all’interno del Thomas Jefferson Memorial di Washington, colpevoli di aver recato disturbo ballando.
I membri della sicurezza del memoriale furono in seguito citati in giudizio, dal momento che gli arrestati asserivano di non aver commesso nulla di illegale, ma il giudice federale John D. Bates decise infine di assolvere le guardie, sostenendo che all’interno del memoriale occorreva tenere un atteggiamento rispettoso, e di conseguenza l’operato della sicurezza era giustificato.

Appresa quindi questa sentenza, qualche giorno fa un piccolo gruppo di attivisti decise di organizzare una giornata di “disobbedienza civile”, una piccola manifestazione in cui i “contestatori” avrebbero ballato all’interno del memoriale, senza disturbare con rumori e suoni le altre persone, limitandosi al massimo ad ascoltare la musica per mezzo delle cuffie.
Quello che è successo in seguito si può vedere nel video: le guardie avvicinano gli attivisti che ballano chiedendo loro di smettere, ed al loro reiterato rifiuto procedono agli arresti in maniera molto energica.

Si possono avere diversi pareri sull’accaduto: innanzitutto può sembrare, leggittimamente, un episodio di poca importanza.
Si tratta in fondo di poche persone, forse un po’ fanatiche, che vanno volontariamente a mettersi nei guai per avere poi il pretesto di gridare contro la “repressione”.
Qualcuno potrebbe quindi pensare che in effetti se la sono proprio “andata a cercare”, ed il loro atteggiamento irriverente nei confronti delle guardie non poteva che condurre ad una conclusione simile.

Tutto questo è sicuramente vero, in parte.
Resta comunque il fatto che ci si trova di fronte ad una sentenza davvero assurda: vietare di ballare in un luogo pubblico, pena l’arresto, è sicuramente uno di quegli atti che non fa altro che evidenziare la volontà di controllo del potere centrale nei confronti dei suoi sudditi.
Senza contare che, almeno nel caso in questione, le persone che ballavano non recavano nessun disturbo agli altri visitatori; la coppia che si vede ballare all’inizio, addirittura, si limita ad un semplice ed innocuo lento: si può dire che semplicemente si dondolavano stando abbracciati.

E tutta l’agitazione che segue nasce nel momento in cui i membri della sicurezza decidono che quelle persone “tecnicamente” stavano ballando, infrangendo quindi la legge.
E proprio in questo, a prescindere da tutto il resto, sta l’intera assurdità della vicenda.
C’è qualcosa che effettivamente non funziona in una società in cui una coppia non può abbracciarsi e dondolarsi ritmicamente in pubblico (si pensi ad esempio ai titoloni dei giornali se qualcosa di simile fosse successo, poniamo, in Iran).
Senza poi considerare il modo in cui i “trasgressori” vengono immobilizzati in seguito ed arrestati (la mossa da lotta libera al minuto 2.04 appare oltremodo gratuita, obbiettivamente).

Andando oltre quindi il piccolo episodio in questione, viene da chiedersi se quei manifestanti fossero dei semplici esaltati in cerca di guai, oppure se forse infrangere leggi palesemente ridicole sia in fondo un atto meno folle di quanto possa apparire, una ultima rivendicazione del proprio essere umani, con un briciolo di libertà ancora a disposizione.