Benvenuti.
Qui si parla di miti, simboli,
storia e metastoria,
mondi vecchi e mondi nuovi,
e di cospirazioni
che attraversano i secoli.
Qui si scruta l'abisso,
e non si abbandona mai
la fiaccola.
Nel senso consueto, la parola folla rappresenta una riunione di individui qualsiasi, qualunque sia la loro nazionalità, la professione e il sesso, qualunque siano i casi che li riuniscano. Dal punto di vista psicologico, l’espressione “folla” assume un significato ben diverso. In talune circostanze prestabilite, e soltanto in tali circostanze, un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione. Si forma un’anima collettiva, senza dubbio passeggera, ma che presenta ben precisi caratteri. La collettività diventa allora ciò che, per mancanza di una migliore espressione – io chiamerei una folla organizzata, o, se lo preferite, una folla psicologica. Essa forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle. […]Il fatto più saliente manifestato da una folla psicologica é il seguente: quali si siano gli individui che la compongono, simile o dissimile sia il loro genere di vita, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza, il solo fatto che essi sono trasformati in folla, li fa partecipi di un’anima collettiva. Quest’anima li fa sentire, pensare e agire in un modo completamente diverso da come sentirebbero, penserebbero e opererebbero isolatamente. Certe idee, certi sentimenti non sorgono o non si trasformano in atti se non negli individui che costituiscono folla.[…]
E’ facile constatare come l’individuo che fa parte della folla differisca dall’individuo isolato; ma di una simile differenza le cause sono meno facili a scoprirsi. Per giungere ad intravederle, bisogna ricordare prima di tutto questa osservazione della psicologia moderna : che non solo nella vita organica, ma anche nel funzionamento dell’intelligenza, i fenomeni incoscienti hanno una parte preponderante. La vita cosciente dello spirito non rappresenta che una piccolissima parte in confronto alla sua vita incosciente. […]
Gli uomini più dissimili per intelligenza hanno istinti, passioni, sentimenti a volte identici. In tutto ciò che é materia di sentimento : religione, politica, morale, affezioni, antipatie, ecc., gli uomini più eminenti non superano che assai raramente il livello degli individui comuni. Tra un celebre matematico e il suo calzolaio può esistere un abisso sotto il rapporto intellettuale, ma dal punto di vista del carattere e delle credenze la differenza é spesso nulla o lievissima. […]
Nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano. L’eterogeneo si sommerge nell’omogeneo, e le qualità incoscienti dominano. […]
Questa comunanza delle qualità consuete ci spiega perché le folle non saprebbero compiere atti che esigano un’intelligenza elevata. Le decisioni di interesse generale prese da un’assemblea di uomini scelti, ma di diverse attitudini, non sono sensibilmente superiori alle decisioni che prenderebbe una riunione di imbecilli. Difatti essi possono soltanto associare quelle qualità mediocri che tutti posseggono. Le folle accumulano non l’intelligenza, ma la mediocrità. […]
Delle attente osservazioni sembrano provare che l’individuo, tuffato da qualche tempo in seno ad una folla in fermento, cade in breve in seguito agli effluvi che ne sprigionano, o per altra causa ancora ignorata – in uno stato particolare, simile assai allo stato di fascinazione dell’ipnotizzato tra le mani del suo ipnotizzatore. Essendo, nell’ipnotizzato, paralizzata la vita del cervello, egli diventa lo schiavo di tutte le attività incoscienti che l’ipnotizzatore dirige a suo talento. La personalità cosciente é svanita, la volontà e il discernimento aboliti. Sentimenti e pensieri sono allora orientati nel senso determinato dall’ipnotizzatore. Questo é all’incirca lo stato dell’individuo che fa parte della folla. Egli non é più cosciente dei suoi atti. In lui, come nell’ipnotizzato, mentre certe facoltà sono distrutte, altre possono essere condotte a un grado estremo di esaltazione. L’influenza di una suggestione lo lancerà con una imperiosità irresistibile verso il compimento di certi atti.[…]
Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. Egli ha la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi. Si fa simile ad essi anche per la sua facilità a lasciarsi impressionare da parole, immagini, e guidare ad atti che ledono i suoi interessi più evidenti. L’individuo della folla é un granello di sabbia in mezzo ad altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo capriccio. […]
Dalle osservazioni precedenti, si conclude che la folla é sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato. Ma dal punto di vista dei sentimenti e degli atti che questi sentimenti determinano, essa può, seguendo le circostanze, essere peggiore o migliore. Tutto dipende dal modo col quale essa é suggestionata. Questo é quanto hanno misconosciuto gli scrittori che hanno studiato le folle solo dal punto di vista criminale. Certo, spesso esse sono criminali, ma di frequente anche eroiche. Facilmente sono condotte a farsi uccidere per il trionfo di una fede, di un’idea; vengono entusiasmate per la gloria e l’onore, si conducono quasi senza pane e senz’armi come nelle Crociate, per liberare dagli infedeli la tomba di un Dio, o, come nel 93, per difendere il suolo della patria. Eroismi evidentemente un po’ incoscienti; ma é con tali eroismi che si fa la storia. Se si dovessero mettere all’attivo dei popoli soltanto le grandi azioni freddamente ragionate, gli annali del mondo ne registrerebbero ben poche.
L’azione inconscia delle folle, sostituendosi all’attività cosciente degli individui, rappresenta una delle caratteristiche dei nostri tempi.
G.Le Bon, 1895.
Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d’un branco di animali o di una folla d’uomini, si mettono istintivamente sotto l’autorità di un capo, cioè di una guida. Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole. La sua volontà é il nodo intorno a cui si formano e si identificano le opinioni. La folla é un gregge che non potrebbe far a meno di un padrone. Il condottiero quasi sempre é stato prima un fanatico ipnotizzato dall’idea di cui in seguito s’é fatto apostolo. Quest’idea ha talmente invaso che tutto sparisce all’infuori di essa, e tutte le opinioni contrarie gli sembrano errori e superstizioni. Così Robespierre, ipnotizzato dalle sue chimereche idee, e che adoperò i procedimenti dell’Inquisizione per propagarle.I trascinatori di folle, il più delle volte, non sono intellettuali, ma uomini d’azione. Sono poco chiaroveggenti, e non potrebbero esserlo, poiché la chiaroveggenza porta generalmente al dubbio e all’inazione. Appartengono specialmente a quei nevrotici, a quegli eccitati, a quei semi-alienati che rasentano la pazzia. Per quanto assurda sia l’idea che difendono o lo scopo che vogliono raggiungere, tutti i ragionamenti si smussano contro la loro convinzione. Il disprezzo e le persecuzioni non fanno che eccitarli maggiormente. Tutto é sacrificato, interesse personale e famiglia. Perfino l’istinto di conservazione viene distrutto in essi, a tal punto che, spesso, la sola ricompensa che essi ambiscono é il martirio. L’intensità della fede dà alle loro parole un grande potere suggestivo. La moltitudine ascolta sempre l’uomo dotato di volontà forte. Gli individui riuniti in folla, perdendo ogni volontà, si volgono istintivamente verso chi ne possiede una.
Così scriveva Gustave Le Bon nel suo essenziale Psicologia delle Folle, uno dei testi più importanti per comprendere i meccanismi dell’esercizio del potere nella società moderna. Le Bon dimostra a tratti una lucidità disarmante, le sue intuizioni stupiscono ancora a distanza di oltre un secolo dalla loro pubblicazione. La Psicologia delle Folle venne infatti data alle stampe nel 1895. Per primo Le Bon seppe osservare e descrivere i sentimenti e le spinte che guidano le masse degli individui, e la sua opera, bistratta dal mondo accademico, divenne fonte di ispirazione per i movimenti totalitari che caratterizzarono la storia del XX secolo.
Mussolini e Hitler studiarono attentamente i suoi scritti, mentre nell’Unione Sovietica comunista i suoi libri venivano messi al bando, e contemporaneamente venivano attentamente studiati ed interiorizzati dai membri e dai gerarchi del Partito. Paradossalmente i maggiori estimatori di Le Bon furono quindi quei condottieri che tristemente segnarono la storia del secolo scorso con le loro gesta, quei capi carismatici e “fanatici” così perfettamente, e profeticamente, descritti nel passo sopra citato.
I trascinatori di folle, figure che di certo non appartengono esclusivamente al passato.
A commento del precedente articolo, Amare la propria servitù, che prendeva spunto dalla questione del prelevamento delle impronte digitali, Faurio esprime la seguente considerazione:
Scusate, molto pacatamente, vorrei che mi spiegaste quale tipo di problemi potrebbe avere la schedatura delle impronte digitali?
Sinceramente questo non potrebbe fare altro che aiutare la polizia nello svolgere i suoi compiti; magari qualche caso potrebbe essere facilmente risolto con un controllo delle impronte.
Ne approfitto, nel rispondere, per aggiungere alcune ulteriori considerazioni sul concetto di “libertà”.
Antigone dinnanzi al tiranno Creonte
Dal mio punto di vista, i problemi che sorgono da un’operazione come quella della schedatura delle impronte digitali sono di due tipi.
Innanzitutto, una questione di dignità.
In quanto esseri umani abbiamo una dignità, ed al momento è tra le ultime cose che ci restano. Lo schiavo, per definizione, è chi non può disporre del suo corpo liberamente; esistono poi diversi livelli di schiavitù.
Il fatto che qualcuno ci possa chiedere di porgergli il dito e noi non si possa rifiutare, ne rappresenta un primo gradino.
Se fossimo liberi potremmo rispondere “e chi ti ha dato il diritto di toccarmi, di prendermi il dito e di schiacciarlo sull’inchiostro?”
E’ una domanda banale, eppure, il ritenere che sia normale che qualcuno ci tocchi, ci schedi, ci cataloghi, è indice del fatto che la mentalità da schiavo, per mezzo dell’indottrinamento a cui siamo sottoposti, ha fatto breccia in noi.
Penso che tale questione sia importante.
Viviamo sotto un incantesimo, in cui una entità chiamata “stato” creata ad arte dai pochi per tenere a bada i molti si arroga il diritto di disporre di noi, decidendo quali siano i diritti e i doveri che ci sono concessi.
E qui sta il grande inganno.
I nostri diritti, i nostri doveri, non sono tali perchè così sta scritto su di un pezzo di carta.
Non è quel pezzo di carta che ci rende “uomini”.
Noi uomini nasciamo, liberi, a prescindere da sacre costituzioni e trattati solenni.
Siamo liberi per natura, a priori, e la nostra nascita porta con sé i nostri diritti e i nostri obblighi.
«Neppure pensavo i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili.
Non soltanto da oggi né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse».
Ma se con queste considerazioni si può essere più o meno d’accordo, rimane un’altra questione, indiscutibile, che dovrebbe mettere in guardia su operazioni di questo tipo. Qualunque sia il nostro pensiero sull’importanza dello “stato”, è evidente che nei nostri tempi questa entità è gestita dagli elementi peggiori della società. Arrivisti, persone senza scrupoli, cultori del compromesso pronti a vendere la propria dignità al miglior offerente. Difficilmente questa realtà può essere negata: i peggiori elementi della società per una serie di motivi riescono ad assumere le postazioni di controllo. Sperare quindi che questi individui possano agire per il bene della popolazione che tengono in smacco, è convincimento, prima che ingenuo, assai pericoloso.
La scienza del governare è l’arte con cui i pochi controllano i molti. Ovviamente questa operazione viene propagandata come fosse un servizio reso al cittadino, ed ogni norma coercitiva viene descritta come messa in opera per il bene del controllato. Non potrebbe essere altrimenti.
La prima fase del risveglio consiste nel rendersi conto che chi governa innanzitutto protegge se stesso e i suoi privilegi dalla massa dei suoi sudditi, sullo sfruttamento dei quali fonda la sua egemonia, Compreso questo, il resto risulterà più chiaro.
In questi giorni in cui si dibatte sull’opportunità del prelevare le impronte digitali dei cittadini, sentendo da più parti il mantra “se non hai nulla da nascondere non dovresti trovarci nulla di male”, mi è più volte tornata in mente questa riflessione del buon Aldous Huxley, uno dei pensatori più importanti del XX secolo, sicuramente quello che meglio ha saputo prevedere e descrivere il futuro che attendeva l’umanità: Ci sarà , nella prossima generazione o quasi, un metodo farmacologico che farà in modo che gli uomini amino la loro servitù, e produrrà una dittatura senza lacrime, in modo che la gente si vedrà di fatto le proprie libertà portate via, però ne sarà felice, perché sarà allontanata da ogni desiderio di ribellarsi dalla propaganda o dal lavaggio del cervello, o da un lavaggio del cervello attuato per mezzo di metodi farmacologici. E questa sarà l’ultima rivoluzione.
Aldous Huxley, discorso alla California Medical School,San Francisco,1961.
Amare la propria servitù. Questo è lo scopo ultimo del regime perfetto.
Quando l’essere schedati, spiati, catalogati come bestie e controllati in ogni momento diviene “normale” ed accettabile, significa che la mentalità da servo ha avuto su di noi il sopravvento, e la vittoria dei sociopatici al potere è vicina.
Restiamo svegli, finché siamo in tempo. Svegli come esseri umani, liberi.
Continua la disamina sul rapporto tra sociopatia e potere. Si tratta qui brevemente di una scoperta essenziale del generale Marshall sul comportamento dei soldati in guerra, una scoperta che dovrebbe indurci a rivedere la concezione che dell’essere umano ci hanno portato ad avere a seguito di anni di indottrinamento. L’articolo originale, in inglese, da cui sono tratte le citazioni iniziali è Twilight of the Psychopaths, del dottor Kevin Barrett, segnalato anche nel blog Segni del Tempo.
IL SEGRETO DELLA GUERRA
Nel suo libro “On Killing” Dave Grossman ha riscritto la storia militare, mettendo in evidenza quello che le altre storie nascondono: il fatto che la scienza militare si occupa meno di strategia e tecnologia, piuttosto che scoprire il modo di far superare l’istintiva riluttanza degli uomini ad uccidere membri della loro specie. La vera “rivoluzione negli affari militari” non fu la spinta di Donald Rumsfield verso l’alta tecnologia nel 2001, ma la scoperta nel 1941 del generale Marshall che solo il 15-20% dei soldati della seconda guerra mondiale in prima linea avrebbero usato le loro armi: Coloro (l’80-85%) che non sparavano non fuggivano e non si nascondevano (in molti casi correvano enormi rischi per salvare i compagni), ma semplicemente non usavano le loro armi contro il nemico, nemmeno quando affrontavano attacchi banzai. La scoperta di Marshall, e le ricerche conseguenti, dimostrarono che in tutte le guerre precedenti, una piccola minoranza di soldati – il 5% che sono psicopatici naturali, e probabilmente una piccola minoranza di imitatori temporaneamente insani – furono responsabili di quasi tutte le uccisioni. Le persone normali si ritrovano semplicemente dentro il movimento, fanno il possibile per evitare di togliere la vita al nemico, anche quando questo implica la perdita della propria vita. Le guerre sono massacri ritualizzati fatti da psicopatici contro non psicopatici.
Lo studio del generale Marshall ha una importanza fondamentale, e se compreso in fondo rivoluziona totalmente la concezione dell’essere umano che da sempre ci viene propagandata.
Nei libri di storia le guerre sono descritte come inevitabili conseguenze di una serie di fattori, scontri in cui gli eserciti nemici si affrontano nel tentativo di eliminare l’avversario.
E viene fatto credere che la guerra, il massacro, sono insiti nell’essere umano. Questo è falso, decisamente falso.
E chi detiene il potere, e i vertici militari, lo sanno molto bene.
Come afferma il colonnello Grossman, le scienze militari si occupano essenzialmente di scoprire il modo per far superare al soldato medio la naturale riluttanza nell’uccidere un altro essere umano.
Perchè la maggioranza degli esseri umani, con tutte le loro miserie e i loro difetti, preferisce il quieto vivere e la tranquillità alle guerre.
Ed ogni qualvolta i grandi poteri decidono per una guerra, devono spendere molte energie per far superare questo blocco istintivo a quelli che diverranno i soldati da sacrificare sul tavolo dei loro piani.
Le guerre di massa come è noto sono fenomeni moderni; in passato, in epoca pre-moderna, la guerra era affare di una piccola parte della società. Dall’antichità dei guerrieri, passando per i nobili medioevali e per gli eserciti mercenari guerra significava lo scontro fra due eserciti composti da persone che non si dedicavano ad altro nella vita, se non combattere e prepararsi a farlo. La prima Guerra Mondiale fu la prima che coinvolse i grandi strati della popolazione europea, e ci vollero decenni di propaganda romantica che esaltava il sacrifico e l’amor di patria per diffondere quello stato d’animo necessario a far partire milioni di giovani lanciati verso il massacro. Quei giovani capirono presto che la guerra non aveva nulla di eroico e di romantico, come era stato loro raccontato, ma ormai era tardi.
Una minoranza di psicopatici in qualche modo riesce sempre a fare in modo che la grande maggioranza sia convinta, costretta, ad andare contro il proprio naturale istinto pacifico e partecipare a questi massacri. Come diviene possibile tutto questo?
E chi sono questi sociopatici?
Combatte la sua battaglia sulla collina All’ inizio del giorno Un gelo costante nell’ anima Pistole che sparano, avanzano di corsa Nel grigio infinito Continuano a combattere perchè hanno ragione, Sì, ma chi lo può dire? Perchè uomini dovrebbero uccidere per una collina? Non lo sanno Ferite da cicatrici ne dimostrano il coraggio Uomini duri, ancora vivi nell’ impeto del furore Il dolore che di certo conoscono li ha resi pazziPer chi suona la campana Il tempo incombe Per chi suona la campanaDà un’ occhiata al cielo un’ attimo prima di morire è l’ ultima volta che lo farà Un ruggito tetro, furioso riempe il cielo squarciato Il bersaglio fallito gli riempe l’ anima Di un grido disperato I suoi occhi ignorano questo mistero Ascolta il silenzio così rumoroso Irrompe l’ alba, è tutto finito Tranne la voglia di vivere Adesso vedono ciò che sarà, occhi accecati per vedere Per chi suona la campana Il tempo incombe Per chi suona la campana
Chiunque tu sia
infedele,
idolatra o pagano,
vieni.
La nostra casa non è un luogo
di disperazione.
Anche se hai violato cento volte
un giuramento,
vieni lo stesso.
May the road rise
to meet you.
May the wind be always
at your back.
May the sun shine warm
upon your face.
And rains fall soft
upon your fields.
And until we meet again,
May God hold you
in the hollow of His hand.
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