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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
25 Settembre 2007

Gaza vivrà


La striscia di Gaza in questo momento storico è uno dei luoghi più tristi della terra.
Quasi una immensa gabbia, un recinto contente un milione e mezzo di persone, di disperati.
La questione palestinese è da sempre tema spinoso, territorio in cui occorre muoversi con cautela;e ridurre il tutto ad una contrapposizione manichea, “ebrei contro palestinesi” non è corretto.
Nella storia della Palestina entrano in ballo questioni e progetti vecchi di secoli, storia mito e visioni messianiche si intrecciano indissolubilmente.
Il più cinico paradosso dei nostri tempi vede la Terra Santa teatro di uno dei più cruenti scontri della modernità.
E le popolazioni ebraiche ed arabe sono vittime di giochi più grandi di loro, tragedie figlie di chi in passato si è accaparrato il diritto di decidere per la sorte di milioni di suoi simili, tracciando dei segni su delle anonime carte geografiche.
In questi giorni si consuma una ulteriore tragedia, il governo israeliano ha deciso di limitare il passaggio dell’energia elettrica a Gaza e ridimensionerà persino il passaggio dell’acqua.
Tutto questo in un’area barricata, che da tempo soffre una crisi economica senza paragoni.
Gaza è un enorme carcere, qualcuno dice un enorme campo di concentramento.
Vi sono tragedie sulle quali non si può tacere, e non si tratta di semplice retorica.
Voci che forse si alzano inutili, ma davanti a tutto questo anche il silenzio è colpevole; come il silenzio dei governi occidentali, che non osano nella loro pavidità denunciare questo scempio.
E la storia, se mai vi è giustizia, e vi sarà, alla fine, giustizia, saprà giudicare questo silenzio.
Le speranze sono affidate alla ragionevolezza degli uomini veri, come i 27 piloti dell’aviazione militare israeliana che nel 2003 firmarono un appello contro le indiscriminate operazioni compiute contro i territori occupati.

Noi, piloti dell’Air Forces che siamo stati cresciuti sui valori del sionismo, del sacrificio e con il contributo dato allo stato d’Israele abbiamo sempre prestato il nostro servizio in prima linea, non vogliamo più portare avanti alcuna missione, né piccola né grande, per difendere e rafforzare lo stato d’Israele.
Noi, veterani e piloti attivi che abbiamo servito e continuiamo a servire e ancora serviremo lo stato d’Israele per lunghe settimane ogni anno, ci opponiamo a eseguire ordini di attacco che sono illegali e immorali come quelli che lo Stato di Israele sta conducendo nei territori.

Questi giorni si sta diffondendo un appello che chiede la fine dell’embargo a Gaza.
Si potrà discutere sui termini usati, sull’enfasi, ma la sostanza non cambia: vi è in atto una tragedia che va fermata.
Che tale appello possa essere ascoltato o meno, credo che dare risalto alle battaglie in cui si crede sia cosa che vada fatta.
Perché la storia giudicherà il silenzio.

Appello per la fine di un embargo genocida

Nel 1996, votando massicciamente al-Fatah, i palestinesi espressero la speranza di una pace giusta con Israele. Questa speranza venne però uccisa sul nascere dalla sistematica violazione israeliana degli accordi. Essi prevedevano che entro il 1999 Israele avrebbe dovuto ritirare le truppe e smantellare gli insediamenti coloniali dal 90% dei Territori occupati.
Giunto al potere dopo la sua provocatoria «passeggiata» nella spianata di Gerusalemme, Sharon congelò il ritiro dell’esercito e accrebbe gli insediamenti coloniali — ovvero città razzialmente segreganti i cui abitanti, armati fino ai denti, agiscono come milizie ausiliarie di Tsahal. Come se non bastasse, violando anche stavolta le risoluzioni O.N.U., diede inizio alla edificazione di un imponente «Muro di sicurezza» la cui costruzione ha implicato l’annessione manu militari di un ulteriore 7% di terra palestinese.
Nel tentativo di schiacciare la seconda Intifada, Israele travolse l’Autorità Nazionale Palestinese e mise a ferro e fuoco i Territori. Migliaia i palestinesi uccisi o feriti dalle incursioni, decine di migliaia quelli rastrellati e arrestati senza alcun processo. Migliaia le case rase al suolo. Decine i dirigenti ammazzati con le cosiddette «operazioni mirate». Lo stesso presidente Arafat, una volta dichiarato «terrorista», venne intrappolato nel palazzo presidenziale della Mukata, poi bombardato e ridotto ad un cumulo di macerie.

Evidenti sono dunque le ragioni per cui Hamas (nel frattempo iscritta da U.S.A. e U.E. nella black list dei movimenti terroristici) ottenne nel gennaio 2006 una straripante vittoria elettorale. Prima ancora che una protesta contro la corruzione endemica tra le file di al-Fatah, i palestinesi gridarono al mondo che non si poteva chiedere loro una «pace» umiliante, imposta col piombo e suggellata col proprio sangue.
Invece di ascoltare questo grido di aiuto del popolo palestinese, le potenze occidentali decisero di castigarlo decretando un embargo totale contro la Cisgiordania e Gaza. Seguendo ancora una volta Israele (che immediatamente dopo la vittoria elettorale di Hamas aveva bloccato unilateralmente i trasferimenti dei proventi di imposte e dazi di cui le Autorità palestinesi erano i legittimi titolari), U.S.A. e U.E. congelarono il flusso di aiuti finanziari causando una vera e propria catastrofe umanitaria, ciò allo scopo di costringere un intero popolo a piegare la schiena e ad abbandonare la resistenza.
Questa politica, proprio come speravano i suoi architetti, ha dato poi il suo frutto più amaro: una fratricida battaglia nel campo palestinese. Coloro che avevano perso le elezioni, con lo sfacciato appoggio di Israele e dei suoi alleati occidentali, hanno rovesciato il governo democraticamente eletto per rimpiazzarlo con un altro abusivo. Hanno poi scatenato, in combutta con le autorità sioniste, la caccia ai loro avversari, annunciando l’illegalizzazione di Hamas col pretesto di una nuova legge per cui solo chi riconosce Israele potrà presentarsi alle elezioni. USA ed UE, una volta giustificato il golpe, sono giunte in soccorso di questo governo illegittimo abolendo le sanzioni verso le zone da esso controllate, e mantenendole invece per Gaza.

Un milione e mezzo di esseri umani restano dunque sotto assedio, accerchiati dal filo spinato, senza possibilità né di uscire né di entrare. Come nei campi di concentramento nazisti essi sopravvivono in condizioni miserabili, senza cibo né acqua, senza elettricità né servizi sanitari essenziali. Come se non bastasse l’esercito israeliano continua a martellare Gaza con bombardamenti e incursioni terrestri pressoché quotidiani in cui periscono quasi sempre cittadini inermi.
Una parola soltanto può descrivere questo macello: genocidio!
Una mobilitazione immediata è necessaria affinché venga posto fine a questa tragedia.
Ci rivolgiamo al governo Prodi affinché:

1. Rompa l’embargo contro Gaza cessando di appoggiare la politica di due pesi e due misure per cui chi sostiene al-Fatah mangia e chi sta con Hamas crepa;
2. si faccia carico in tutte le sedi internazionali sia dell’urgenza di aiutare la popolazione assediata sia di quella di porre fine all’assedio militare di Gaza;
3. annulli la decisione del governo Berlusconi di considerare Hamas un’organizzazione terrorista riconoscendola invece quale parte integrante del popolo palestinese;
4. cancelli il Trattato di cooperazione con Israele sottoscritto dal precedente governo.

Tutte le firme devono essere inviate a info@gazavive.com
e verranno pubblicate su www.gazavive.com

23 Settembre 2007

Amero: addio al Dollaro?

“Molti gruppi di lavoro della SPP (Security and Prosperity Partnership) paiono mirare al conseguimento di specifici obiettivi, come definito da un rapporto del 2005 del Council on Foreign Relations, il quale ha presentato un programma per l’espansione dell’accordo della SPP per un’Unione Nord-Americana comprendente Stati Uniti, Canada e Messico, in una nuova forma di governo.”

Nonostante le rassicurazioni dei grandi banchieri e degli “esperti” dell’alta finanza, l’economia americana sta attraversando una fase drammatica.
Da tempo gli Stati Uniti hanno rinunciato alla loro capacità produttiva, totalmente delegata ai paesi esteri che possono offrire una manodopera a basso prezzo, Cina in primis.
Una economia che non produce nulla, basata unicamente sul debito, non può ovviamente reggere in eterno, è un castello di carta destinato a crollare su se stesso.
Il Dollaro è da tempo carta straccia, e la sua posizione dominante si fonda sul fatto che tutte le nazioni lo utilizzano come moneta di deposito, e l’esercito più forte del mondo veglia affinché gli equilibri attuali non mutino.

Con il Dollaro ormai sull’orlo del baratro, giungono voci di manovre curiose, atte a lanciare in circolazione una nuova moneta, che ne prenda il posto: l’Amero.

L’ Amero sarà per il centro-nord America quello che l’euro è stato per l’Europa; sarà adottata da Stati Uniti, Messico e Canada.
Il tutto potrà apparire bizzarro o fantasioso, ma non alla luce di ulteriori progetti da tempo in cantiere, come ad esempio quello della Unione Panamericana, una nuova entità sovranazionale che comprenderà oltre agli Stati Uniti il Canada e il Messico.
Qualche lettura ulteriore renderà più chiara l’aria che tira nel continente nord americano:

20 Settembre 2007

La villetta e l'Uomo Nuovo

Uno dei fattori che maggiormente sono in grado di influenzare il nostro modo di essere – spesso senza che ce ne rendiamo conto – è l’ambiente in cui ci troviamo a vivere, a cominciare proprio dalla nostra casa.
Le abitazioni degli uomini si sono evolute nel tempo, spesso rispecchiavano il carattere di una società, altre volte questo carattere erano in grado di condizionarlo.
Nei paesi del mediterraneo, in particolar modo, per secoli la vita delle persone si svolgeva quasi nella sua totalità all’aria aperta; gli uomini rientravano a casa solo per il sonno notturno, mentre le donne, quando non lavoravano nei campi portavano avanti le loro attività in comune.
Se c’era una cosa di cui l’uomo del mediterraneo non soffriva era la solitudine, la vita comunitaria era la regola.
E le città prendevano forma di conseguenza: gli edifici si affacciavano direttamente sulla strada, ai piani bassi si aprivano i negozi e le botteghe degli artigiani, mentre le abitazioni si sviluppavano intorno a delle corti dove diverse famiglie svolgevano le loro attività quotidiane.
Questa forma di città la ritroviamo ancora oggi, sono i nostri centri storici, e sono il motivo che attira in Italia ogni anno milioni di turisti e lo stimolo che spinge la Domenica le famiglie e i fidanzati ad uscire e fare quattro passi nel centro. Senza dubbio i centri storici risultano accoglienti, testimonianza di un modo di vivere che appartiene al passato.
Ma le nuove esigenze della società ci hanno portato a definire anche delle nuove tipologie abitative.
Per dare alloggio ad un grande numero di lavoratori che giungevano nelle città si sono cercate delle soluzioni diverse, una ricerca che sembrava culminare con i grandi palazzoni pensati dal movimento razionalista, edifici che volevano assicurare uno standard di vita dignitoso ad un gran numero di persone.
Sono quei palazzi che si sono costruiti a partire dagli anni venti fino agli anni settanta, abitazioni che nello stabilire delle regole minime per la sopravvivenza dignitosa di una famiglia a volte rischiavano di limitare l’essere umano ad una macchina con determinate esigenze, soddisfatte le quali il suo “funzionamento” era garantito.
Le nostre periferie sono state edificate seguendo questi criteri, ed anche se il concetto di “bello” e di “brutto” sono da evitare nel giudicare l’architettura, solitamente le persone preferiscono farsi la loro camminata nel centro, tra la città medioevale piuttosto che nella moderna periferia.
Col miglioramento delle condizioni economiche ha fatto la sua comparsa in Europa una nuova tipologia, la campionessa dell’edilizia attuale: la villetta.
Il pensiero che sta alla base della villetta è semplice: un nuovo tipo di abitare, un voler emulare le condizioni di vita che in altri tempi erano esclusivo appannaggio del “signore”, una ricerca della privacy, un’isola felice dove la famiglia si separa dal mondo circostante.
La villetta si allontana dalla strada, crea una zona franca, il giardinetto, che permette al proprietario di muoversi tra le mura domestiche con una maggiore intimità, e si isola anche la famiglia dall’antica vita comunitaria.

Il regime nazista fu uno dei principali sostenitori di questa nuova tipologia.
Hitler la vedeva con favore perché temeva la vita in comune del suo popolo: la gente quando si incontra parla, le idee circolano, e con esse le critiche al governo.
Nella villetta invece il cittadino ritrova la sua tranquillità, e il giardino da curare riesce a tenerlo occupato nel suo tempo libero, così che anche le sue uscite si riducono col tempo, e con esse le possibilità che venga a contatto con portatori di idee pericolose.
Oggi, in particolar modo nei centri minori, la villetta rimane il sogno di ogni famiglia mediamente benestante; attorno ai centri storici di ogni paese si sviluppano gli anelli di queste nuove costruzioni, e con esse muta anche il senso del nostro vivere.
Nei quartieri delle villette non si cammina: sono studiati per l’automobile.
In america la villetta rappresenta la middle class, ha avuto una grande fortuna ed è entrata nel nostro immaginario anche grazie ai programmi televisivi che ci arrivano da oltreoceano; basta pensare alla casa di Homer Simpson, alla casa dei Keaton, alla tipica casa di ogni famiglia media le cui avventure vediamo ogni giorno nei telefilm spensierati all’ora di pranzo.
Negli States in molti dei quartieri composti da villette per potere fare quattro passi è necessario munirsi di un cane o di una tuta da jogging: si rischia altrimenti di essere fermati dalla polizia che chiederà informazioni sul motivo per cui ci si trova a piedi lungo quella strada; e in effetti, non esiste nessun motivo per camminare in quelle vie, se non per portare fuori l’animale domestico, farsi una corsa o studiare la disposizione delle case per progettare un furto.
E lo sviluppo incontenibile che noi vediamo nelle nostre cittadine potrebbe portare anche noi proprio a questo: la morte del nostro millenario modo di vivere e il trionfo dell’uomo nuovo che esce di casa solo con l’automobile, alla perenne ricerca di un’isola felice piena della tecnologia che possa riempire il suo tempo e infastidito dai sempre più rari contatti con i suoi vicini, definitivamente trasformatisi da persone con cui divideva le sofferenze di una vita dura a dei curiosi ficcanaso.

17 Settembre 2007

Struttura delle Società Segrete


Tratto dal libro: “Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia
Sia il martinista Pierre Mariel, conoscitore indubbio della materia, il nostro Virgilio nel faticoso peregrinare per terre così inospitali.
La classificazione delle società segrete che egli introduce è classica:

– Società segrete inferiori, conosciute dal pubblico, come i primi tre gradi della massoneria, detti azzurri, o i cerchi esterni della Società Teosofica.
Il reclutamento avviene per cooptazione: si tratta perlopiù di gente in buona fede, profondamente convinta di un ideale religioso, filosofico o politico.
I nuovi iscritti vengono studiati e, “se non dimostrano di essere adatti, vengono avviati verso “binari morti”.
Altrimenti vengono orientati verso la seconda categoria di società segrete. […]

– Società segrete intermedie o di quadri.
Veramente segrete, i cui membri sono sconosciuti ai membri delle società segrete di base.
“Il nuovo iscritto è scelto d’autorità.
Un rifiuto da parte sua lo esporrebbe a sanzioni imprevedibili; egli deve, ormai, obbedire perinde ac cadaver (= fino alla morte, divisa gesuitica, N.d.R.) [ … ] la minima indiscrezione, la minima imprudenza sarebbero punite in modo radicale.
Queste società di quadri modificano, secondo le circostanze, i propri nomi, e perfino le proprie strutture.
Perciò non vengono scoperte se non dopo la loro scomparsa o metamorfosi.
Proprio come gli Illuminati di Baviera…
“Questi gruppi lasciano alla minutaglia delle società segrete inferiori le vane attrattive delle ideologie sentimentali.
Si considerano realisti e […] al di là del Bene e del Male […], controllano i meccanismi più importanti degli Stati, così come i grandi organismi mondiali politici ed economici […].
Ma queste associazioni, più che comandare, eseguono.
L’elaborazione del piano spetta alle società segrete di terzo grado.

– Le società segrete superiori che sono completamente sconosciute, ignorate dalle società segrete inferiori e “per le società intermedie costituiscono un soggetto tabù”.
“[…]
Questo stato maggiore internazionale è composto soltanto da un esiguo numero di iniziati […], alcuni di loro vivono, clandestinamente, un’esistenza ritirata, ascetica: nessuno sospetta la loro influenza o addirittura la loro identità.
Tutti questi adepti hanno poteri immensi.
Sembra che siano animati unicamente dalla volontà di potenza o – chi sa? – dalla fede in una missione universale […].
Le società segrete superiori lavorano con le “forze irrazionali che, con una certa approssimazione, si chiamano magia, occultismo […].
Esse lasciano ai profani (o agli sciocchi) le caricature di queste forze formidabili.
Liberandosi da ogni sentimentalismo, hanno separato il buon grano dal loglio, cioè la superstizione dalla realtà”.

Articolo completo

______________________________

“Ricorderemo ancora, senza insistervi oltre misura, un altro significato di carattere più particolare […]: l’utilizzazione, per farle concorrere alla realizzazione dello stesso piano d’insieme, di organizzazioni esteriori, inconsapevoli come tali di questo piano, e apparentemente opposte le une alle altre, sotto una direzione “invisibile” unica, la quale è – essa – al di là di tutte le opposizioni.
[…]. In se stesse le opposizioni, per l’azione disordinata che generano, costituiscono di fatto una specie di “caos” (assumendolo in qualche modo come la “materia” su cui si esercita l’azione dello “spirito” rappresentato dalle organizzazioni iniziatiche dalla natura più elevata e più “interiore”) alla realizzazione dell’ordine” generale […]. Perché le cose siano effettivamente così, occorre che ciò che presiede all’ordine” adempia, nei confronti del mondo esteriore, la funzione di “motore immobile”

René Guénon

 

13 Settembre 2007

Contro la democrazia. Parte V

Ho sempre sostenuto che vi sono due tipi di persone, tra coloro che si astengono dal voto.
Innanzitutto ci sono gli indifferenti, quelli che non si interessano minimamente delle questioni politiche del paese, quelli che badano solo al “loro orticello”, come si suol dire, e pensano esclusivamente a tirare avanti, incuranti delle questioni che reputano troppo al di fuori della loro portata.
E poi ci sono quelli che giungono alla decisione del non voto a seguito di un lungo percorso, sofferto, un percorso fatto di febbrile ricerca delle informazioni più nascoste, nel tentativo di cogliere i retroscena di quel grande gioco che il potere inscena sopra le nostre teste.
Capita che giunti ad un certo punto di questa ricerca, ci si renda conto che le varie fazioni politiche altro non sono che specchietti per le allodole, un teatro di pupazzi, a volte consapevoli, altre volte no, messo in piedi dai maestri burattinai per tenere occupata la plebe, mentre essi si dedicano alle loro attività protetti dall’ombra.
Perché è importante che il popolo sia occupato, e diviso, e abbia di che discutere.
Così, queste due differenti tipologie di non-votanti giungono alle medesime conclusioni, con la differenza che “gli indifferenti” hanno compreso, involontariamente o meno, la reale essenza del potere con meno sforzi, in questo dimostrandosi più accorti degli “informati”.

Perché l’umanità è divisa in tre livelli, come diceva il dottor Butler:

– vi sono quelli che decidono, e che pochi conoscono.
– vi sono quelli che eseguono, utili nel prendersi applausi o pomodori a seconda delle stagioni.
– vi è il “popolo” che subisce le scelte dei primi, e le attribuisce ai secondi.

Ed è utile fino ad un certo punto prendersela con questi ultimi, la Casta, come è stata recentemente ben definita da Gian Antonio Stella, poiché chi realmente decide mai subisce le ire degli sfruttati.
Per chiudere in bellezza, lascio un omaggio all’unica Casta degna di essere celebrata.