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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
6 Marzo 2008

Cinque Cuori

Rosone della Chiesa templare di San Bartolomé, Spagna. XIII secolo

 

La palabra “corazón” proviene de la raíz indoeuropea KRD, que significa corazón, pero también, centro o medio.
[…]
René Guénon, en su obra Símbolos fundamentales de la Ciencia Sagrada, resume el simbolismo tradicional del corazón indicando que representa el centro del ser integral, y nos pone en la pista de que cada centro espiritual ha sido designado como “Corazón del Mundo”.
“El corazón es esencialmente un símbolo del centro, ya se trate, por lo demás, del centro de un ser, o, analógicamente, del de un mundo, es decir, en otros términos, ya se coloque uno desde el punto de vista “microcósmico”, ya desde el “macrocósmico”.

Ermita de San Bartolomé de Ucero: Templarios en el Cañón

2 Marzo 2008

Il massacro di Gaza

“Come possiamo restituire i territori occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli.”
Golda Meir, 8 marzo 1969

L’ultima incursionedell’esercito israeliano nel nord della striscia di Gaza ha provocato più di 100 morti, in maggior parte civili, tra cui diversi bambini e alcuni neonati.
Il governo israeliano ha giustificato l’operazione con la nota frase di propaganda che richiama la necessità dello stato ebraico di difendere il suo diritto all’esistenza.
Israele detiene il terzo esercito meglio armato del mondo, possiede oltre duecento testate atomiche ed è il migliore alleato della più grande potenza militare della storia.
Nondimeno, i suoi governanti non perdono occasione di rimarcare del come si sentano minacciati da uno sparuto numero di razzi kassam e dagli obsoleti katiusha palestinesi di produzione sovietica.
Il ferimento di un israeliano da parte di un missile di hamas giustifica la strage di centinaia di civili palestinesi.
La crudele follia di tali rappresaglie passano inosservate sotto gli occhi delle comunità internazionale, che di tanto in tanto alza la sua flebile voce per suggerire ad Israele un “uso della forza più moderato”.
Gaza è un campo di concentramento a cielo aperto, più di un milione di persone sopravvive a stento privato di acqua e medicine, mentre ospedali e scuole vengono rasi al suolo.
Impossibilitati ad uscire dalla loro gabbia, i palestinesi assistono impotenti al lancio delle bombe israeliane che piovono sulle loro teste, mentre vengono accusati di essere la causa dei loro mali, in una ultima e perversa umiliazione.

“Non esiste una cosa come il popolo palestinese … Non è come se noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il loro paese. Essi non esistono.”
Golda Meir, dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969.

Quello che Israele sta portando avanti è una pulizia etnica su vasta scala di stampo razzista, un razzismo che i rappresentanti dei governi israeliani non si sono mai preoccupati di celare.

“[I palestinesi] sono bestie che camminano su due gambe.”
Discorso alla Knesset di Menachem Begin Primo Ministro israeliano, riportato da Amnon Kapeliouk, “Begin and the ‘Beasts’,” su  New Statesman, 25 giugno 1982.

Quello che accade a Gaza rappresenta una delle più grandi vergogne del nostro tempo, una vergogna davanti alla quale non si può volgere lo sguardo.
Uno sterminio incondizionato di un popolo intero, da parte di un governo che adduce motivi di ordine razziale e di fanatismo religioso per giustificare il suo operato.
Ricorda qualcosa?

”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”.
— David Ben-Gurion, Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore.  Da: Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978.

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si veda anche: Ebraismo e Sionismo

Per chi desiderasse vedere realmente di cosa si sta parlando, consiglio l’articolo di Mohammed Omer su Comedonchisciotte:
Lettera da Gaza.
(avvertenza: le immagini sono terribilmente crude.)

2 Marzo 2008

27 uomini

 

Noi, piloti dell’Air Forces che siamo stati cresciuti sui valori del sionismo, del sacrificio e con il contributo dato allo stato d’Israele abbiamo sempre prestato il nostro servizio in prima linea, non vogliamo più portare avanti alcuna missione, né piccola né grande, per difendere e rafforzare lo stato d’Israele.
Noi, veterani e piloti attivi che abbiamo servito e continuiamo a servire e ancora serviremo lo stato d’Israele per lunghe settimane ogni anno, ci opponiamo a eseguire ordini di attacco che sono illegali e immorali come quelli che lo Stato di Israele sta conducendo nei territori.

Appello firmato nel  2003 da 27 piloti dell’aviazione militare israeliana

20 Febbraio 2008

Senza stato: una storia reale

…dalle ossa estratta, dei greci le sacre…

Nel discorrere della società e della sua struttura, si sostiene spesso la necessità di uno stato ben organizzato in grado di garantire la sicurezza dei cittadini e la difesa dei più deboli.
La sicurezza, l’ordine e l’organizzazione del vivere civile sono, secondo questo punto di vista, gli elementi che rendono imprescindibile la presenza di un potere centrale che sappia regolare lo svolgimento del vivere quotidiano. Chi sostiene invece la nocività di un potere centrale, e vede lo stato come un ente costrittivo che limita enormemente la libertà del singolo, è tenuto a rispondere ad una serie di naturali obbiezioni, che riguardano le funzioni principali dello stato stesso prima menzionate: chi eviterebbe, in mancanza di un potere forte, che la società si trasformi in una giungla?
Lasciando da parte per il momento una disquisizione tanto impegnativa, credo che un ottimo spunto per eventuali riflessioni possa essere dato dall’analisi di alcuni fatti storici, esperienze reali che possano offrire un interessante paradigma.
A tal proposito mi piace spesso ricordare ciò che avvenne nella nazione greca in seguito alla rivoluzione del 1821, e la fine della egemonia ottomana.

Nel XIX secolo in Grecia si concluse la dominazione turca, che si protraeva da circa quattro secoli.
La gestione del territorio era fino allora in mano ai rappresentanti del potere ottomano, e la terra era proprietà delle nobili famiglie turche.
Come accade in ogni dominazione straniera, la maggior parte degli autoctoni lavorava queste terre in condizione di semi schiavitù.
Con la fine della rivoluzione e l’allontanamento dei dominatori turchi, verso la metà del XIX secolo in gran parte della penisola greca si venne a creare quello che gli storici chiamano un vuoto di potere.

Lo stato greco si stava lentamente organizzando, venne scelta come capitale Atene, all’epoca un piccolo centro di poche migliaia di abitanti, e nel frattempo la popolazione nel resto del paese dovette continuare la propria vita.
La prima questione da risolvere era la distribuzione della terra lasciata libera dai vecchi dominatori turchi.
Nella provincia dell’Elide i campi vennero divisi in lotti dagli abitanti stessi, e per decidere come distribuirli si organizzarono delle corse con i cavalli.
Ogni famiglia fu rappresentata da un cavaliere, ed in seguito alla gara il vincitore avrebbe scelto la porzione a lui più congeniale.
Il secondo classificato sceglieva un altro lotto, e così via, fino che tutte le terre coltivabili fossero divise.

Prima della gara le comunità avevano stabilito quali terre assegnare alle vedove e agli orfani, affinché anch’essi potessero avere una fonte di sostentamento.
In questo modo la vita ricominciò a prendere il suo ritmo, e le popolazioni del luogo furono, per la prima volta dopo secoli, proprietarie delle terre che coltivavano.
Essendo la terra alquanto fertile era in grado di dare sostentamento a tutti gli abitanti, e nel giro di pochi anni si poterono avviare anche le prime forme di commercio con mercanti stranieri, sfruttando il surplus della produzione.

Lo Stato centrale non si era ancora organizzato, e le varie comunità si amministravano in maniera autonoma, prevalentemente con le riunioni dei capofamiglia e la guida degli anziani di ogni paese.
La vita procedeva tranquilla, pur senza polizia per le strade la gente non si ammazzava a vicenda.
Finchè il governò centrale di Atene finalmente si diede una struttura, emanò le prime leggi, e formò un esercito nazionale.

Una delle prime leggi emanate riguardava la nazionalizzazione delle terre.
Tutte le terre della nazione da quel momento divenivano proprietà dello Stato greco, in nome del popolo greco, ovviamente, e il primo compito dell’esercito greco neoformatosi fu espropriare con la forza le terre ai contadini che nel frattempo le avevano lavorate.
In seguito le stesse terre furono rivendute dal governo, e finirono in gran parte in mano ai grandi latifondisti protettori dei governanti.
I pochi contadini che riuscirono a ricomprarsi la propria terra dallo stato dovettero rivenderla a breve, poiché le tasse che nel frattempo il governo aveva imposto rendeva impossibile trarre guadagno dalla coltivazione diretta di piccole proprietà.

Nel giro di un decennio quindi i contadini si ritrovarono nuovamente a fare i braccianti, nuovamente in condizione di indigenza.
Ai vecchi padroni turchi si erano semplicemente sostituiti quelli greci.
Questo breve lasso di storia greca offre numerosi spunti di riflessione.
Ovviamente è una storia che risale a più di un secolo e mezzo fa, e diversa era la società del tempo rispetto a quella attuale.
Ma risultano, a mio parere, comunque significativi alcuni fatti.

Innanzitutto la popolazione dimostra di saper gestire e dividersi la terra in modo oculato ed equo, mostrando solidarietà verso gli elementi più deboli della comunità.
La divisione non avviene mediante atti violenti, ma in base ad un comune accordo.
In secondo luogo, la comunità prospera con il semplice esercizio della coltivazione della terra, laddove ognuno provvede ai propri bisogni lavorando la propria porzione.
Infine, nessuna polizia risulta necessaria per il “mantenimento dell’ordine pubblico”.
Le persone dimostrano di avere più convenienza nel collaborare che nello scannarsi a vicenda.

Al contrario, il primo gesto che lo stato appena formatosi compie è il togliere le terre ai contadini che le coltivavano e il concederle ai ricchi protettori latifondisti, che con i loro mezzi avevano permesso la formazione della elite governativa.
E le tasse, imposte dal governo centrale per il proprio mantenimento, hanno fatto in modo che non risultasse più vantaggioso per i piccoli proprietari il mantenimento dei loro limitati possedimenti.
Storie lontane, forse, ma gli esseri umani nel loro profondo rimangono sempre gli stessi.
Sempre ci saranno coloro che vogliono solamente vivere in pace gli uni con gli altri, e coloro che con la scusa dell’organizzazione si ingegneranno per togliere ai molti e dare ai pochi.

 

17 Febbraio 2008

Qualunquismo

La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta
Theodor Adorno

Ci sono due tipi di persone, tra coloro che decidono di non recarsi alle urne per esercitare il proprio sacro diritto-dovere del voto democratico.
Innanzitutto vi sono coloro che non si interessano delle questioni politiche, che a priori hanno deciso che l’esercizio del voto è totalmente inutile, e che nulla mai potrà cambiare le loro condizioni.
E vi sono poi coloro che delle questioni politiche si interessano eccessivamente, che sono alla perenne ricerca di notizie che ne spieghino i retroscena, che tentano di fare luce sulle questioni di cui normalmente i media non trattano.
La differenza tra le due tipologie di astenenti consiste nel fatto che i primi impiegano molto meno tempo e molte meno energie per comprendere quello che i secondi scoprono dopo lunghe ricerche.
Decenni di indottrinamento hanno fatto in modo infatti che il cittadino si convincesse che il modo migliore per partecipare attivamente alla vita del proprio paese, per avere un ruolo attivo nel processo di presa delle decisioni utili al bene comune, fosse l’esercizio del diritto-dovere del voto.
Il cittadino modello, educato, responsabile, si informa attraverso i telegiornali, legge i quotidiani, confronta le diverse idee proposte per la soluzione dei problemi e la gestione del bene pubblico, e di conseguenza esprime democraticamente la sua preferenza.
Il cittadino, in questo aulico paradigma, è protagonista.
E i rappresentanti democratici, che ne fanno le veci, sono i degni delegati atti ad esercitare la volontà popolare.

In questo scenario commovente, chi esprime dubbi sulla reale legittimità del sistema ricade nel vortice del qualunquismo.
L’origine del termine risale storicamente al movimento politico fondato da Guglielmo Giannini, il celebre Fronte dell’Uomo Qualunque, un movimento che si proponeva di limitare i poteri dello Stato e la sua ingerenza nella vita quotidiana del singolo.
Rivendicazioni portate avanti in maniera a volte teatrale, all’italiana, e denigrate dagli avversari politici e dai mezzi di informazione ufficiali.
Attualmente il termine “qualunquismo” è usato in modo dispregiativo, volendo caratterizzare l’atteggiamento superficiale di coloro che esprimerebbero pareri sommari e demotivati sulle questioni politiche, giudizi dettati da una ignoranza riguardo le suddette questioni.
Un frase qualunquista potrebbe essere ad esempio “i politici sono tutti ladri”, oppure “tanto chiunque vada al governo non cambia nulla”.
Appare quindi evidente che il tacciare una idea di “qualunquismo” è un chiaro meccanismo escogitato dai rappresentanti stessi del sistema per svilire coloro che hanno compreso delle verità sulle quali è meglio non investigare.
Che a tali verità si sia arrivati per intuito, pigrizia, o attenta valutazione, poco importa: l’essenziale per il sistema del potere è che la commedia del suddito-elettore-protagonista continui a propagandarsi, e che la fiducia nelle istituzioni non venga mai meno.