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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
25 Maggio 2011

Le città fantasma cinesi

 

Zhengzhou, la più grande città fantasma cinese vista dal satellite

Si stima che in Cina esistano circa 64 milioni di appartamenti di nuova costruzione non occupati.
In altre parole, l’intera popolazione italiana e spagnola vi potrebbe trovare posto, e magari rimarrebbero anche qualche milione di case per i greci.
Si tratta di edifici che compongono città moderne, come Kangbashi, attentamente pianificate e dotate di tutti i servizi necessari alla popolazione: uffici pubblici, metropolitane, biblioteche, enormi centri commerciali.
Tutti vuoti.

Questo processo fa parte di un enorme piano di sviluppo coordinato dal governo centrale cinese, nel tentativo di investire gli enormi capitali a disposizione delle casse statali e sopratutto nella necessità di avere un pil in costante espansione.
Un boom immobiliare che nelle analisi macroeconomiche è indice della grande vitalità dello sviluppo dell’economia cinese, ma che in fin dei conti rappresenta solo una immensa bolla destinata prima o poi a frantumarsi in un enorme botto.
In altre parole, si tratta dello stesso processo già sperimentato anche in Europa e negli Stati Uniti, ma in una scala assai più grande.

L’intera operazione è sintomo e conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della follia dei tempi in cui stiamo vivendo, una follia pianificata dove si edificano città per un milione di abitanti e le si tengono tirate a lucido senza che nessuno vi vada ad abitare.
Paradossalmente, molti di questi appartamenti  sono già stati venduti, acquistati da “investitori” convinti di poter ottenere grandi guadagni con la loro rivendita.
Eppure, la stragrande maggioranza dei cinesi è del tutto impossibilitata ad avvicinarsi a queste nuove costruzioni, dal momento che i prezzi richiesti sono del tutto sproporzionati se confrontati con il reddito medio delle famiglie.

Questo però non ferma l’immensa macchina dello sviluppo edilizio, e nuove città continuano ad essere costruite, ad un ritmo di dieci all’anno.
Se mai vi sarà un’umanità rinsavita in futuro, guarderà indietro al nostro tempo e si chiederà quale sorta di follia avesse investito l’intero globo.

 

Zhengzhou

Kangbashi

 




22 Maggio 2011

Hasta la Revolucion


Da diversi giorni ormai decine di migliaia di giovani spagnoli stanno affollando le piazze iberiche in segno di protesta, come se la grande onda delle rivoluzioni arabe avesse infine raggiunto anche i paesi europei.
E così come accadde nelle nazioni africane, c’è chi si chiede quanto tali movimenti siano spontanei e quanto risultino manovrati.
Occorre prima di tutto ricordare che una possibilità non esclude l’altra.

Il malcontento che origina questi moti di protesta è sicuramente reale, così come le persone scese in piazza in maggioranza sono sincere nelle loro rivendicazioni, convinte di lottare per i loro diritti e per un mondo migliore; ma questo non significa che non vi siano persone con un certo potere pronte ad approfittare della situazione, abili nel proporsi nel momento giusto come “il nuovo” per catalizzare su di sé i favori dei manifestanti.
Emblematico, in tal senso, il caso dell’Egitto, dove in seguito a violenti proteste e feroci scontri seguiti ad una vera e propria insurrezione di massa, quello che i “rivoluzionari” hanno ottenuto è stato un governo militare in cui ad un vecchio dittatore si sono semplicemente sostituiti dei nuovi colonnelli.

 

C’era una volta un leone, che venne catturato e rinchiuso in una grande gabbia: con sua grande sorpresa, trovò dei leoni che vi erano rinchiusi da anni, alcuni persino da tutta la vita, essendo nati e cresciuti là dentro.
Presto imparò a conoscere le attività sociali che si svolgevano all’interno del recinto.
I leoni si riunivano in gruppi.[…]
Ogni tanto scoppiava una rivoluzione, un gruppo veniva sopraffatto da un altro, oppure venivano uccise tutte le guardie e poi sostituite da altre.

In fin dei conti, il ricordo delle “rivoluzioni colorate” del decennio scorso, abilmente pilotate dalle forze occidentali, è ancora troppo vivido per poter cedere a facili entusiasmi nei confronti di questi nuovi moti.
Ma, come si diceva, questi movimenti nascono comunque da delle  rivendicazioni sentite e sincere, ed in molti casi il livello di disagio raggiunto dalle popolazioni è così elevato da rendere la protesta inevitabile.
Proprio questo fatto rende la situazione ancora più delicata: chiunque studi la storia sa con certezza che tutte le grandi rivoluzioni del passato si sono sviluppate in momenti in cui la sofferenza della popolazione aveva superato i limiti della sopportazione, ed in tutti i casi vi è sempre stato un gruppo organizzato di persone che ha saputo approfittare degli sconvolgimenti sociali per rovesciare i governanti del momento ed assumere il loro posto.

Si pensi ad esempio alla rivoluzione francese, in cui i ricchi borghesi hanno spodestato la casta dei nobili nullafacenti, oppure alla rivoluzione d’Ottobre russa, in cui i membri del partito comunista instaurarono una dittatura dopo aver eliminato la famiglia reale degli zar.
In entrambi i casi il popolo dei rivoltosi servì da carne da macello al servizio dei futuri padroni.
Nel corso della storia a noi nota non vi è mai stata alcuna rivoluzione che abbia portato al potere i “rivoltosi”, dal momento che il potere per definizione è elitario.
Ha senso quindi scendere in strada e protestare?

In linea generale, muoversi dalla propria apatia ed avere la forza di esprimere il proprio malcontento oppure il proprio desiderio per una realtà migliore è sempre un gesto degno del massimo rispetto.
Gridare ai governanti che sono dei ladri, esigere maggiore libertà per sé e per i propri simili, avere il coraggio di guardare negli occhi con atteggiamento di sfida l’autorità sono tutte azioni degne e meritevoli.

Ma, ancora una volta, occorre quando si scende a protestare portare sempre con sé anche il proprio buon senso.
Fare la cosa giusta quando è tempo di farlo è doveroso, ma quando si compie un’azione bisogna pensare anche alle conseguenze.
Cosa accadrà dopo?
E soprattutto, cosa realmente si desidera?
Perché, alla fine della fiera, la vera domanda che occorre porsi è la seguente: per cosa realmente si manifesta?
Un anno fa, commentando i moti di protesta che animavano la Grecia, ci si trovava di fronte alla medesima domanda, oggi più che mai attuale:

Presupposto per il successo di una qualsiasi lotta è il sapere il motivo per cui ci si sta battendo, così come il conoscere bene il nemico da sconfiggere.
L’ondata di proteste che ha travolto la Grecia non possiede nessuna di queste caratteristiche, e per questo motivo essa non potrà generare nulla di positivo.
[…]
Come un animale feroce ed affamato dentro una gabbia, il popolo greco, così come ogni popolo d’Europa, sbatte con violenza contro le sbarre, dimenticandosi il modo in cui dentro quella gabbia è stato condotto.
Perché non sono stati usati dei bastoni per condurre il gregge nel recinto, ma carote, una pioggia di carote.
E’ giusto e sacrosanto essere indignati nei confronti dei corrotti e dei ladri, è naturale provare rabbia dinanzi alle macchinazioni finanziarie dei giganti economici, ma per onestà bisognerebbe anche comprendere che questa è solo la conclusione di un processo, un processo che la maggioranza aveva accettato ed alimentato con entusiasmo.

Perché in pochi si erano chiesti come fosse possibile che da un giorno all’altro le strade del paese si fossero intasate di automobili comprate a rate, di come magicamente anche  un impiegato comunale potesse farsi una vacanza alle maldive (pagata a rate), di come le vie del centro si fossero riempite di negozi che vendevano abiti italiani firmati e all’ultima moda.
Tutto così semplice, tutto così in fretta.
[…]
Così come la maggioranza di coloro che oggi protestano lo fa in verità per riavere tutte queste carote, perché una volta che ci si abitua non si torna più indietro.
Ma se protesta ci deve essere, questa non deve avere come scopo la pretesa di quel falso benessere materiale, non compatibile con i propri mezzi: sarebbe una lotta assurda quella di chi scende in piazza per poter continuare a guardare i reality sul suo schermo piatto da 42 pollici (comprato a rate).
Non bisogna fare la fine delle bestie feroci che nella gabbia gridano e ruggiscono per poter avere una doppia razione di bistecche.

Perché la vera questione, il vero problema, è la gabbia stessa.
Una gabbia fatta di un benessere comprato a debito, condito con una ipnosi di massa fatta di pessima televisione e infimi spettacoli circensi messi in piedi a beneficio della plebe.
La vera protesta dovrebbe avere un’altra direzione.
Non sono le carote quelle che occorre rivendicare, non sono le ballerine del circo; qui occorre riprendesi l’anima, quell’anima che la gente ha venduto a rate.

Mi pare che il discorso che all’epoca si faceva per la Grecia si possa applicare alla perfezione anche ai movimenti di protesta che iniziano ad animare oggi le altre piazze europee.
Cosa si chiede, realmente?
Se queste manifestazioni fossero davvero un sincero moto di rifiuto nei confronti di un sistema economico marcio ed una protesta rivolta a dei governanti indegni, allora questi moti avrebbero dovuto nascere molti anni fa.
E’ facile infatti lamentarsi ora che il giochino si è rotto, mentre per decenni si è goduto in maniera spensierata di tutti i privilegi che questo sistema corrotto offriva.
L’impressione è che qui, ancora una volta, il popolo chieda indietro le sue carote, in attesa di qualche benefattore che,  giunto al momento opportuno,  gliene prometta a volontà.


6 Aprile 2011

Sorridi, è una foto economica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente scritto di Antonio Pani, una “istantanea” della situazione economico-sociale attuale che offre interessanti spunti di riflessione.


Di Antonio Pani.

Premessa.

Questo breve scritto vuole essere una semplice e modesta “istantanea” del momento economico, sociale e culturale che stiamo vivendo.
Bloccare tutto per un attimo, fermarsi per “prendere un po’ di fiato” e riflettere, può essere d’aiuto.
Non dimentichiamo che è nel presente che troviamo tracce importanti del nostro futuro.

I nuovi schiavi.

Il mondo è ricco di nuovi schiavi, che non sanno di esserlo, e si avvitano su se stessi mentre chiedono aiuto al loro carnefice.
Il concetto merita di essere approfondito.
Siamo oppressi dai debiti (1), generati da un vivere al di sopra delle nostre possibilità e agevolati da un’immane, quanto insana, concessione diffusa del credito al consumo.
Di fatto abbiamo perso la capacità di risparmiare, caricandoci sulle spalle il peso delle famigerate rate mensili, che ci strangolano e ci obbligano a lavorare, “costi quel che costi”.
Aggiungiamo l’inflazione, la crisi economica, la disoccupazione, un sistema bancario a riserva frazionaria “fuorilegge” e il cocktail è servito.

Le aziende chiudono, i cittadini sono alla canna del gas, mentre lo stato annaspa, continuando imperterrito a bruciare miliardi di euro, dei quali non rende conto a nessuno.
I nostri politici poggiano “la rinascita” dell’economia sul consumo ad ogni costo; lo predicano ad ogni angolo dei media.
Questa affermazione, tuttavia, si presta ad almeno una critica di rilievo.
Infatti, da che mondo e mondo, è risaputo che il consumo (soldi da spendere) si può avere solo dopo avere risparmiato.
Non spendo oggi, rinunciando a qualcosa, per avere un piccolo/grande gruzzolo da gestire domani.
Consumare ad ogni costo potrebbe non essere poi una grande idea.

L’economia di oggi.

Occorre aggiungere e precisare che buona parte del denaro utilizzato dallo Stato, al pari di quello delle banche, è denaro creato dal nulla, dalla Banca Centrale, che prende il nome di moneta FIAT.
Quest’ultima non è controvertibile/garantita da alcun altro bene reale e/o materia prima, come l’oro, il petrolio, un immobile etc…
Pertanto, si tratta solo di una scrittura contabile digitale, capace però di aumentare la massa monetaria disponibile e la liquidità; questo al pari del già citato sistema a riserva frazionaria che, per esigenze di semplicità e spazio, non spiegheremo qui.
Lo Stato, spendendo “a deficit” i soldi che non ha (quelli della Banca Centrale), immette sempre più moneta in circolazione, riducendo il valore di quel “risparmio-gruzzolo” di cui abbiamo parlato prima.

Trattasi della famosa inflazione (monetaria), che si concretizza grazie a questa semplice regola economica: se la quantità dei soldi disponibili aumenta, grazie a quelli “freschi di stampa”, i denari che circolano da più tempo, anche quelli risparmiati, diminuiscono di valore/potere d’acquisto.
L’inflazione ha anche un altro effetto devastante e maggiormente conosciuto: quello di generare l’aumento dei prezzi.
Non credo sia possibile trovare un governo che non voglia poter spendere e spandere senza freni.
Infatti, questa “magica” gestione economica “poggiata sul nulla”, cioè su Banche Centrali, moneta FIAT e riserva frazionaria, è accolta a braccia aperte dai governanti di tutto il pianeta.
Questi appena descritti sono i soggetti e lo sfondo della nostra “fotografia economica”, alla quale dobbiamo ancora dare il famoso “tocco artistico finale”.

Il socialismo e il “peso dello Stato”.

Di fatto, oggi, siamo assoggettati a un socialismo/statalismo neanche tanto velato.
Da un lato burocrazia, tasse e balzelli di ogni tipo, vessano e affossano i cittadini, i lavoratori dipendenti, gli imprenditori e l’intero mercato; quest’ultimo è “distorto e piegato” al volere dello stato, a causa della sua costante intromissione.
Dall’altro l’amministrazione centrale domina la scena, gestendo il denaro e le risorse che ha “prelevato”, presentandosi a tutti come l’unico salvatore in grado di muovere e gestire l’economia “malata”.
Notare che, vicini al governo, ci sono sempre gli amici e i privilegiati, che non esiteranno a ringraziare per le commesse ricevute (non di rado, infatti, si sente parlare di tangenti).
Ricordando la prima frase sugli schiavi inconsapevoli, torna in mente anche il concetto riguardante l’interventismo statale.

Più le cose vanno male, più ci si rivolge a qualcun altro per essere aiutati, in particolare allo stato (carnefice), affinché si adoperi immediatamente per “salvare tutto e tutti”.
Peccato che sia proprio grazie alla sua eccessiva presenza e intromissione economica e sociale che i cittadini sono praticamente bloccati in attesa di risposte, lavoro e denari.
Allo scopo si vedano anche le politiche riguardanti sovvenzioni e partecipazioni statali varie, incentivi auto, “quote latte” e via discorrendo.
In altre parole, oggi il libero mercato non esiste più.
La stessa libertà, nel senso più ampio del termine, è a rischio.
Tali concetti sono precursori di un’altra inquietante riflessione, a proposito del “peso dello stato” nella vita quotidiana.

Oggigiorno la comunità dipende da scelte e denaro pubblico in modo opprimente e disarmante, molto più di quanto non si possa immaginare.
Con un po’ di pazienza, calcolatrice alla mano, vi sono dati sufficienti affinchè chiunque possa facilmente verificarlo da sé.
E’ dipendente in senso letterale del termine, perché la maggior parte dei cittadini è “pagata dallo Stato”.
In pratica vige quello che in rete è stato definito un regime di “democratura”, una miscela fatta di democrazia e dittatura.
A questo punto, sembra materializzarsi un possibile problema.
In un’ottica statalista di tipo “oppressivo”, al limite della “militarizzazione delle strutture pubbliche”, prima di mangiare sarà necessario obbedire.
In pratica, ben oltre la metà dei cittadini italiani dovrà svolgere bene il proprio lavoro, se vuole che il governo gli paghi lo stipendio a fine mese.
Sussiste, inoltre, la possibilità di andare incontro a un mondo felice, dove tutti saranno “liberi di essere controllati”, anche da colui che gli sta accanto.
Occorre, altresì, tenere a mente che circa 500.000 dipendenti dello Stato (2) (Forze Armate e Polizia) sono armati e addestrati, e che questo numero, all’occorrenza, potrebbe salire in modo considerevole.

Le persone che vivono grazie alla macchina pubblica, in un regime di rigida democratura, potrebbero fare qualsiasi cosa pur di portare a casa un tozzo di pane.
Anche barattare la loro libertà, non prima di avere messo seriamente in discussione quella degli altri, in particolare di quelli “non stipendiati” dal Governo.
Il fatto che in questa moltitudine di cittadini siano compresi anche i bambini e i ragazzi che non lavorano, è un particolare di non poco conto.
In situazioni critiche come quelle prospettate, un genitore sarebbe disposto a fare o subire qualsiasi cosa pur di non far mancare niente ai propri figli.
Alla luce di queste considerazioni l’odierno vivere e confrontarsi in modo aggressivo, basato su convinzioni e punti di vista diametralmente opposti, trova una sua ragione d’essere e, inoltre, una nuova prospettiva.
Il noto scontro fra lavoratori pubblici (parassiti) e imprenditori, commercianti, artigiani (evasori) è un esempio“classico”.
Questi sono i meravigliosi effetti di quella che può essere definita “polarizzazione ad arte” della società.

Si tratta di un elemento portante di quella tragica e snervante “guerra fra poveri” che, giorno dopo giorno, accompagna buona parte della popolazione.
Lo scenario descritto qualche riga più su (rigida democratura) non è lontano né, tanto meno, impossibile.
Una forte imposizione statalista potrebbe, per esempio, verificarsi a seguito di una nuova e violenta crisi economica, in un futuro che incombe e freme di diventare “presente”.
A più disoccupazione, disperazione e fame, seguiranno maggiori richieste di aiuto allo Stato, condizioni ottimali per giustificare una politica maggiormente basata sull’”imposizione dall’alto”.
I pezzi del puzzle andrebbero tutti al loro posto, e il Governo assumerebbe il comando “stringente” a cui si accennava in precedenza.
A questo punto i cittadini “stipendiati” dall’amministrazione centrale, potrebbero anche essere invitati a diventare “controllori” del buon funzionamento della società.
Uno Stato che, anziché svuotare le tasche ai cittadini e inflazionare il denaro, perseguisse in modo effettivo ed efficace la tutela della libertà, nel senso più ampio del termine, avrebbe già risolto buona parte delle problematiche socio-economiche.
Ma un popolo libero non serve a nessuno, è difficile da governare, gli “schiavi” sono molto meglio.

Numeri e riflessioni.

A sostegno della teoria appena esposta vi sono dei numeri significativi.
Occorre premettere che le cifre sotto riportate sono calcolate in modo indicativo, per definire un quadro di massima della situazione Italia (e non solo).
Per quanto riguarda i dati complessivi “di partenza”, sono state utilizzate le fonti elencate a fine documento.
Per calcolare il numero di cittadini iscritti nel libro paga dello Stato è sufficiente prendere in considerazione due dati:

1)  – Il numero dei dipendenti pubblici, circa 4 milioni (3);
2)  – il numero dei pensionati, circa 17 milioni (4) e (6).

Si tratta di 21 milioni di cittadini, oltre 1/3 della popolazione censita (5); un numero che fa riflettere (ad esempio in “chiave elettorale”).
A queste cifre andranno aggiunti anche il numero dei coniugi dei pensionati senza entrate (7),(10), oltre al numero dei figli a carico dei lavoratori dipendenti pubblici. (5)
Dopo un paio di semplici e ragionevoli calcoli, si è potuto appurare che oltre la metà dei cittadini italiani vive direttamente con i “soldi statali”.
A consolidare e rafforzare le cifre appena indicate, relativamente al “peso dello Stato”, ben possono essere chiamati in causa anche i privati, sia dipendenti (8) che liberi professionisti (9) (complessivamente oltre 8,5 milioni di lavoratori).
Se si tiene conto di quanti “privati” lavorano grazie alle commesse pubbliche (davvero molti), si può facilmente intuire quanti siano i cittadini italiani che vivono “indirettamente” con i “soldi statali”.
Stiamo parlando, come già detto, di oltre il 50% della popolazione, una cifra al limite dello “spaventoso”.

A sostegno e corredo di questi numeri è possibile aggiungere che, nell’anno 2009, il costo sostenuto dal Ministero del Lavoro per la tutela degli invalidi e dei non autosufficienti supera i 45 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere le prestazioni locali. (6)
Riferendo il tutto alle odierne scelte dei liberi cittadini, non può non rilevarsi il “peso” dell’apparato pubblico.
Appare non privo di ragioni, quindi, sostenere che una struttura statalista di tipo “autoritario” avrebbe le carte in regola per pesare ancora di più.
Dare tempo al tempo sarà utile per definire, in dettaglio, il futuro che attende l’intera popolazione.
In ogni caso non bisogna disperare, perché le cose positive ci sono, si chiamano amore, conoscenza e impegno.

Suggerimenti per il futuro.

Buona parte degli italiani, spesso, pensa a qualcosa simile a: “ma io non ci posso fare nulla”.
Probabilmente commette uno sbaglio, in quanto ognuno di noi “può fare”.
E’ importante sapere che il senso dell’abbandono e la rassegnazione, che sono percepiti in modo diffuso, non sono dei fenomeni esattamente naturali.
Diversi, infatti, sono i fattori che influenzano la crescita e la formazione, anche psicologica, di un membro della società odierna.
Molto di ciò che noi siamo oggi, per esempio, ha origine dai tempi della scuola.
Si tratta di un luogo nel quale ci è stato insegnato come comportarci e, soprattutto, a comprendere bene quale è il nostro posto nella società.
Molti esperti, studiosi e docenti, si sono adoperati nel descrivere le attività che si svolgono negli istituti scolastici; la produzione di libri, manuali, saggi e approfondimenti è praticamente illimitata.

Fra i “frutti” di questo immenso lavoro, vi sono anche “Le sette lezioni” di John Taylor Gatto (11).
E’ la fotografia di ciò che viene realmente insegnato nelle scuole, e di quanto ciò sia rilevante per l’organizzazione sociale.

Nel novero degli elementi che incidono nello sviluppo del cittadino, non possono mancare “televisione e media”.
Come dimenticarsi del fatto che, ormai è da anni, la popolazione è immobile davanti a schermi e quotidiani, ad aspettare che le venga detto:
–    cosa succede;
–    cosa è vero, ma anche cosa non lo è; si tenga conto che, sovente, ciò accade “invertendo di posto le cose”, così da creare quella “sana e utile confusione” che non deve mai mancare;
–    cosa e come debba mangiare (vedi sopra per la confusione);
–    cosa fa bene e cosa no (idem);
–    quali siano gli argomenti interessanti e quali quelli da scartare; cosa questa che, peraltro, è stata già fatta al momento della compilazione del palinsesto o del programma (tv).

L’uomo è diventato spettatore della propria vita, lasciandola in mano agli altri, a quegli pseudo-esperti-competenti che, grazie ai mass-media, tutti i giorni e in tutti i modi riescono a “raggiungerlo e bombardarlo”.
Praticamente vivono con lui.
Notare che, questo meccanismo, fa si che la maggior parte della popolazione sia convinta di vivere in compagnia del mondo; pensi che sia “tutto intorno a te”, mentre in realtà spesso è più sola e più povera, soprattutto nello spirito.
Una buona domanda è chiedersi perché molte persone facciano fatica a rimanere concentrate, o ad avere una buona soglia d’attenzione.
A tal proposito, è possibile soffermarsi un attimo su videogiochi, cellulari, internet e/o “facebook”.
Si tratta, soprattutto per i più giovani, di un cocktail fatto di “puro smanettamento”, dove ogni mossa deve essere rapida, istintiva e, talvolta, cinica.
Peccato che si “bruci” il tutto troppo in fretta, mancando spazi, tempi, profumi e modi adeguati; per approfondire una conoscenza, una persona, un semplice argomento.
E’ un vivere “mordi e fuggi”, ecco perché è difficile concentrarsi e stare attenti.

Il futuro sarà gestito da questi bambini/ragazzi/giovani, nei quali tutti hanno una grande fiducia ma che, in maniera non esattamente riconoscibile, vengono in qualche modo “plasmati” già da adesso.
Una risposta “attiva” a questo stile di vita è insita nel rispolverare l’antica arte del fare, di un sano incontrarsi di persona, fatto di sguardi, aromi, condivisione reale e sorrisi genuini.
Ricominciare da noi, dalla nostra famiglia, dai nostri affetti, dai nostri cari e dalla nostra comunità, come disse anche Lino Bottaro, in un suo articolo sulla “globalizzazione”.
Investiamo in amore, disponibilità e solidarietà vera.

Conclusioni.

In un mondo che “vibra”, trasmettendo segnali fra i più svariati e indecifrabili che il genere umano abbia mai conosciuto, si percepisce, in modo netto, un disperato “bisogno di risposte”.
Le domande sono molteplici, almeno quanto le conoscenze utili al fine di “trovare “soddisfazione”.
Un significativo passo in avanti è quello di mettere in contatto diverse percezioni, diversi mondi e differenti conoscenze, così da tentare di aiutare tutti a capire meglio ciò che accade.
Quando arriverà la prossima crisi economica ci saranno non pochi problemi da affrontare.
Il “dopo” presenta un’infinità di scenari, che spaziano da un “tenero” rimboccarsi le maniche a un tragico “uccidere per un pezzo di pane”.
Nel mezzo, a mio modesto parere, c’è l’indispensabile necessità che ognuno di noi si dia da fare subito, per acquisire/testare conoscenze primarie, arti e mestieri, riappropriandosene.
Occorre aggiungere che senza una discreta infarinatura di questo tipo, si potrà fare troppo poco per non “subire in modo importante”.

Scelte associative, da valutare anche oggi, potrebbero essere d’aiuto in questo senso.
In forma “esattamente capovolta”, è possibile ritrovare il concetto delle conoscenze primarie nel libro “Cosa è il denaro”, di Gary North (12), in particolare nel passaggio in cui afferma che: “nella società moderna dipendiamo strettamente dalla specializzazione anche per nutrirci” (pag.97).
Nel mondo “post crisi”, dopo un disastro socio – economico, le specializzazioni saranno “azzerate”, da qui il bisogno di avere “nelle mani e nella testa” qualcosa in più, magari da trasformare in cibo.
Un caro saluto, e un sincero “in bocca al lupo”, a tutti coloro che “incroceranno” queste riflessioni.

Elenco delle fonti:
(1)    Circa 16.000 euro in media a famiglia, Fonte Cgia Mestre, dicembre 2009;
(2)    Elaborazione del Ministero della Funzione Pubblica, basata su ricerca OCSE-PUMA, anno 2002;
(3)    Elaborazioni OCSE-PUMA, anno 2002, integrate da Stefano Nespor – Federico Boezio nello studio: “Quanti sono gli impiegati pubblici?”, che tiene conto anche dei dipendenti delle Aziende Ex Municipalizzate, pubblicato sulla rivista RIP, Rivista Impiegati Pubblici, Sezione Contributi;
(4)    Istat, riferimento al 31/12/2007;
(5)    Wilkipedia+ dati censimento 2010, la percentuale di donne è pari al 51,4%, il numero medio di figli per ogni donna è pari a 1,40;
(6)    I.N.A.I.L., Contact Center Integrato SuperAbile di informazione e consulenza per la disabilità;
(7)    il 35% dei nuclei familiari di ultrasessantacinquenni è composto da una sola persona, “La crisi del 40° anno – Corriere della Sera”, 26 giugno 2010;
(8)    Il Sole 24 ore + Cgia di Mestre, “Un lavoratore su due non ha diritto agli ammortizzatori sociali”, 10 gennaio 2009;
(9)    A seguito di una breve ricerca personale su internet è stato possibile reperire da Articoli/approfondimenti su riviste specializzate e presso Albi, Elenchi vari e Ordini professionali, i seguenti dati significativi: Notai, 5.200, Ingegneri, 213.000, Architetti, 136.000, Geometri, 110.000, Giornalisti, 100.000, Avvocati, 190.000 circa (media), in quanto 230.000 (Avv. Guido Alpa all’inaugurazione Anno Giudiziario 2010) – 137.000 (Cassa Forense); altre fonti dicono: 3,4 ogni 1000 abitanti, quindi 204.000; Periti industriali+geologi+periti agrari, circa 150.000; biologi, farmacisti, commercialisti, chimici, medici chirurghi e odontoiatri etc…, circa 100.000.
(10)    Istat, rilevazione casalinghe disoccupate iscritte presso l’I.N.A.I.L. al 31/12/2009 (n. 2.025.900); n.b.: l’ISTAT stima che le casalinghe italiane siano, complessivamente, circa 8 milioni (iscritte INAIL e non);
(11)    John Taylor Gatto, nato il 15 dicembre 1935, è un insegnante di scuola americana in pensione, con 29 anni e 8 mesi di esperienza, autore di diversi libri in materia di istruzione.  Lui è un attivista critico della scuola dell’obbligo, del divario percepito tra l’adolescenza e l’età adulta, e di ciò che egli caratterizza come il carattere egemonico del discorso sull’istruzione alle professioni.
(12)    Gary Kilgore North (classe 1942), è uno storico economico ed editore che scrive prolifico su argomenti quali economia, storia e teologia cristiana; autore dell’imperdibile  libro “Che cosa è il denaro”, tradotto e pubblicato in Italia dalla “Associazione Culturale Usemlab, – Economia e Mercati”;

23 Maggio 2010

L'asino e l'alta finanza

Qualche tempo fa Billy comprò da un contadino un asino per 100 dollari.
Il contadino gli assicurò che gli avrebbe consegnato l’asino il giorno seguente.

Il giorno dopo il contadino si recò da Billy e gli disse: “Mi dispiace ma ho cattive notizie: l’asino è morto.”
Billy rispose:  “Allora dammi indietro i miei 100 dollari”
E il contadino:  “Non posso, li ho già spesi”.
A quel  punto Billy si fece pensieroso, poi disse al contadino:  “Va bene, allora dammi l’asino morto.”
– “E che te ne fai di un asino morto, Billy?”
– “Organizzo una lotteria e lo metto come premio”
Il contadino gli disse ironico: “Non puoi vendere biglietti con un asino morto in palio”.
Allorché Billy rispose: “Certo che posso, semplicemente non dirò a nessuno che è morto”.

Un mese dopo il contadino incontrò di nuovo Billy, così gli chiese: “Come è andata a finire con l’asino morto?”
– “L’ho messo come premio ad una lotteria, ho venduto 500 biglietti a due dollari l’uno e così ho guadagnato 998 dollari”
– “E non si è lamentato nessuno?”
– “Solo il tipo che ha vinto la lotteria, e per farlo smettere di lagnarsi gli ho restituito i suoi due dollari”

Billy attualmente lavora per la Goldman Sach.

10 Maggio 2010

Overdose di debito

La riunione straordinaria dei ministri dell’economia dell’Unione Europea a Bruxelles rappresenta la conferma della gravità della situazione economica attuale, una situazione precipitata nell’ultima settimana.
E’ oramai chiaro che ci troviamo dinnanzi alla conclusione di un lungo percorso, un processo distruttivo irreversibile che si tenta di far durare il più a lungo possibile.
Nei giorni appena trascorsi, osservando l’andamento dei mercati, abbiamo avuto conferma che dietro le quinte delle transazioni finanziarie si stanno affrontando guerre e battaglie di cui noi osservatori esterni poco riusciamo a comprendere, e le mosse dei governanti e dei governatori tradiscono chiaramente il panico che come una scura e bassa nube aleggia sopra le loro (e soprattutto le nostre) teste.

Seguendo quindi l’esempio americano, anche i vertici dell’Unione europea hanno deciso di rispondere all’aggravarsi di una crisi causata dall’eccesso di debito con l’immissione di ulteriore debito; pare che si stia preparando un piano da 600 miliardi di euro, da utilizzare a favore delle nazioni che rischieranno il collasso, come successo alla Grecia nelle settimane scorse.
Così, se una persona fa uso di eroina col passare del tempo sentirà il bisogno di assumere una quantità sempre maggiore della sostanza da cui è dipendente.
Mano a mano che accrescerà la quantità della dose assunta aumenterà anche le possibilità di andare incontro ad una morte precoce, circostanza a cui non potrà sfuggire.
L’eroinomane, quindi, ha solo due possibilità di scelta: può tentare di disintossicarsi, affrontando un percorso duro e doloroso, quasi insostenibile, fatto di lunghe sofferenze ed estenuanti crisi di astinenza, oppure può continuare a drogarsi aumentando costantemente le dosi, andando così incontro a morte certa.

I nostri governanti hanno scelto la seconda possibilità, ed hanno deciso di “curare” le sorti dell’economia debito-dipendente con iniezioni di ulteriore debito, in dosi ancora più massicce.
E l’economia, come il povero tossicomane, troverà le forze per rialzarsi ancora per un poco, forse, aspettando il giorno della dose letale.

si veda anche:
Questo è il picco della crisi,  Il Grande Bluff
Il più grande spettacolo della storia umana, Informazione Scorretta
Ordo ab Chao, Il Cigno Nero