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rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
20 Settembre 2009

Potere e delinquenza

A  chiunque cerca il comando , negateglielo.
Jafar al Sadiq

Nelle democrazie centraliste il governo è un mestiere e in genere esclude ogni altro genere di attività.
Per questo deve fare concorrenza ad altre professioni, di pari dignità e status, per reclutare il personale che le occorre.
La direzione di un partito politico moderno non offre incentivi economici e intellettuali superiori a quelli forniti dal settore tecnologico, dalle professioni o alte cariche della pubblica amministrazione: l’attrattiva che probabilmente presenta per un certo tipo di individui dipende soprattutto dal valore che questi individui attribuiscono al potere di modificare l’esistenza altrui.
[…]
Per questo nelle società centralizzate c’è la tendenza di trovare il personale adatto a queste attività sempre più tra coloro determinati a soddisfare il proprio desiderio di potere, di controllo, di egemonia sugli altri.
[…]
Nelle democrazie sociali, tra la persona che ambisce ad una funzione e la funzione stessa si interpone il meccanismo elettorale ed il sistema dei partiti, che implica la necessità di indurre vaste fette dell’elettorato, con capacità e sensibilità diverse, a far vincere quel candidato nelle urne.
In un meccanismo di questo tipo, onestà e altruismo possono essere uno svantaggio davanti alla furbizia e a una ambizione risoluta.
Per giunta, mentre l’altruismo e l’idealismo sociale possono trovare facili sbocchi in altri campi, come quelli della ricerca scientifica, della medicina, della religione, che comportano tutti un prestigio intellettuale e sociale ricco di soddisfazioni, la centralizzazione del potere attira inevitabilmente verso gli apparati amministrativi chi considera il potere un fine a sé.
[…]
Forse non è vero che il parlamento sia una cricca di individui cinici e privi di scrupoli che fanno solo i propri interessi e si danno da fare solamente per conservare la loro poltrona.
Me è d’altra parte vero che se si presume che le cose stiano esattamente in questo modo e che i singoli politici siano proprio così, si riuscirà a indovinare il loro comportamento nove volte su dieci.

Alex Comfort, Potere e delinquenza, Eleuthera, 1950. p 50-53

Potere e delinquenza di Alex Comfort rappresenta una delle più lucide disamine sui meccanismi della gestione del potere mai scritte.
Comfort analizza i comportamenti criminali all’interno della società, e osserva come essi si possano dividere in due categorie: quelli condannati dalla comunità e quelli socialmente accettati.
Questi ultimi sono quelli perpetuati da coloro che esercitano il potere: i governi possono ordinare omicidi, furti, prevaricazioni e farlo all’interno della “legalità”, e perfino comportamenti palesemente sociopatici possono rientrare nella “normale amministrazione” della gestione del potere stesso.
Nel corso del libro Comfort analizza quindi il rapporto esistente tra le democrazie moderne e la propensione alla delinquenza dei suoi rappresentanti:

I giudizi che contano e sui quali dobbiamo fondare le nostre valutazioni sullo Stato moderno riguardano piuttosto questi interrogativi:
– primo, se esso attragga gli psicopatici in modo selettivo;
– secondo, se l’impulso al potere sia in quanto tale la manifestazione di un’attitudine delinquente, in qualcuno o in tutti quelli in cui è riscontrabile;
– terzo e ultimo, se le forme istituzionali accrescano e favoriscano l’anormalità in coloro che detengono il potere.

Comfort tende a rispondere affermativamente a tutti e tre i quesiti.

Si veda anche:
Psicopatici e potere
Ponerologia, la scienza del male
Cos’è la giustizia

5 Settembre 2009

La crisi e i turchi sotto le mura


L’estate scorreva tranquilla e mi sono ritrovato spesso ad osservare le persone intorno a me che si godevano il sole e il mare.
Ogni tanto al kafenio si accennava alla “crisi”, ed immancabilmente c’era chi faceva notare che nonostante tutto le spiagge ed i locali erano sempre affollati.

Nel frattempo, un giornale locale abbandonato ad un tavolino a lato, lasciato aperto in una pagina a caso, raccontava dei negozi di souvenir di Patrasso che stavano registrando un calo delle vendite del 50% rispetto all’anno precedente.

Chi ne avesse sfogliato le pagine avrebbe ritrovato molte notizie simili.

Ma le spiagge in cui si faticava a trovare una sdraio erano una realtà tangibile, mentre le dichiarazioni dei commercianti e le varie statistiche economiche apparivano come voci giunte da mondi assai distanti, e noi tutti siamo come piccole formiche, col nostro sguardo che immancabilmente copre una piccola porzione del mondo circostante, e cerchiamo di interpretare l’insieme partendo dalla nostra limitata esperienza.
Succede poi nel corso della storia che enormi cambiamenti siano in qualche modo annunciati, a volte inevitabili, e nonostante tutto impieghino diversi decenni prima di compiersi; a volte diverse generazioni si susseguono mantenendo inalterato il proprio stile di vita e le proprie abitudini, mentre eventi destinati a cambiare le sorti del mondo procedono verso il loro compimento.

Mi capita spesso di cercare di immaginare, ad esempio, come poteva essere la vita a Costantinopoli nella seconda metà del XIV secolo, nei decenni che precedettero la definitiva caduta della Città del 1453.
La massima potenza della capitale era una questione che ormai apparteneva ai secoli passati, ed i turchi ottomani acquisivano anno dopo anno nuove porzioni del territorio di quello che rimaneva dello sterminato Impero d’Oriente.
Eppure, dentro le mura della Città, allora come da quasi un millennio, la vita continuava, le strade erano trafficate ed i mercanti ancora portavano avanti le loro attività, in qualche modo.
Con i turchi a pochi chilometri di distanza, una persona poteva nascere, vivere e morire dentro le mura della Città col pensiero che nulla sarebbe mai cambiato, che la vita a Costantinopoli sarebbe sempre stata la stessa, così come lo era da un millennio a quella parte. E mentre osservavo il mare e le persone che si rilassavano nelle loro vacanze, mi sembrava a volte di cogliere quella stessa spensieratezza degli abitanti della Città, convinti che nessun esercito nemico avrebbe mai potuto sovvertire un ordine che reggeva da secoli.
Oggi non ci sono invasori che premono contro le mura, e l’ordine attuale è minacciato da fattori ben diversi.
Ed oggi come allora la possibilità che da un giorno all’altro il corso delle proprie esistenze possa subire degli sconvolgimenti pare una eventualità lontana, voci di sventura a cui è bene non porre troppo ascolto.
Si poteva, nella seconda metà del XIV secolo, nascere, vivere e morire a Costantinopoli nella convinzione che le mura della Città avrebbero retto in eterno.

E si può oggi, nell’Occidente del XXI secolo, nascere e vivere con la sicurezza che il nostro modo di vita, il nostro sistema sociale ed economico possa sopravvivere nei secoli, nonostante qualche temporaneo intoppo.
E’ sufficiente non affacciarsi alle mura delle Città, ed ignorare l’accampamento dei turchi là fuori.

28 Luglio 2009

A presto

A dopo la pausa estiva.



24 Luglio 2009

Veline in parlamento

di Giorgio Mattiuzzo per Tra Cielo e Terra.

Negli ultimi mesi mi lascia basito tutto il vociare intorno alle dolcissime signorine che pare stiano affollando il Parlamento europeo. Non solo quelle italiane, c’è anche una rumena figlia di non so chi che si chiama chissà come, di cui però ricordo le fattezze in maniera molto precisa.
Quello che mi stupisce non sono loro, ma i coretti indignati di chi grida allo scandalo, alla corruzione morale del Paese e alla fine dei tempi imminente.

Ok, ora mi spiego, ma devo prenderla un po’ da lontano.

Allora, fino ad oggi il parlamentare modello era uno solo (destra, sinistra, centro poco importa) e lo si può riconoscere come tipo umano abbastanza precocemente.

Se andate ai tempi della scuola (parlo dei licei, credo che per gli istituti tecnici le cose fossero diverse, ma non ci metto la mano sul fuoco) e cercate di ricordare i vostri compagni, di sicuro rammenterete i diversi caratteri. In ogni classe c’erano un paio di semi-geni, un paio di belle ragazze, un paio di delinquenti, un paio di questo e un paio di quello. Ognuno con le sue qualità, ognuno coi suoi difetti. Se avevate bisogno della versione di latino, andavate da uno dei due geni. Se avevate bisogno di fumo, andavate dal delinquente. Se avevate bisogno di compagnia, sapevate da chi andare.

Tra tutti questi, ce n’era sempre uno che non serviva a niente. Non era intelligente, non era stupido, non andava bene, non andava male, non era simpatico, non era antipatico. Era il nulla, il vuoto, lo spazio intergalattico condensato due banchi più in là. Un uomo senza qualità, che però – come tutti noi – aveva bisogno di fare qualcosa, di dedicarsi ad uno scopo. Essendo incapace di fare alcunché, diventava rappresentante di classe.

Trovata la sua missione e rimanendo a contatto tutto il tempo con Cicerone e tromboni vari, già intorno ai 15 anni comincia ad assorbire l’idea che vero uomo è il cittadino che non lavora ma si dedica alla politica. Automatica scatta l’iscrizione al ramo giovanile di un partito istituzionale. Di qui la strada è segnata. Da rappresentate di classe può passare di grado e diventare rappresentate della Consulta provinciale (ed eventualmente fare carriera al suo interno e diventarne Presidente) oppure la strada maestra è quella del rappresentate d’Istituto.

Finito il liceo e raggiunta la maggiore età, egli si convince che la sua strada è la politica. Passa quindi al partito degli adulti ed inizia lentamente a strisciare verso l’alto lungo la tortuosa scala gerarchica. Nel 99% dei casi si iscrive all’università, ad una facoltà del tutto inutile che non insegna niente, in forza del sillogismo appreso al liceo secondo cui il vero cittadino non lavora ma si dedica alla politica, se non lavori vuol dire che stai facendo politica, quindi se studio per non lavorare mi sto mettendo al servizio della comunità.
Da qui in poi l’unica abilità richiestagli è quella di tacere e fare quello che gli viene detto. Finita l’università (in un tempo doppio rispetto al normale, perché lui studia per imparare), il poveretto capisce di non avere alcuna possibilità di mettere insieme il pranzo con la cena, a meno di non mettersi a completo servizio del partito (naturalmente incolperà di questo la globalizzazione, il capitale, i sindacati, i pensionati e Topo Gigio e giammai prenderà atto che nessuno lo vuole perché non sa far niente).

Ora, la maggior parte di questi personaggi si accontenta di poco: un lavoretto in Comune garantito dal partito, magari qualche breve esperienza da Consigliere comunale, un posto nel consiglio di amministrazione di qualche società posseduta dal Comune, consulenze per il sindaco del Comune a fianco. Niente di che, il giusto per arrivare a vivere con serenità senza lavorare.

Alcuni però puntano più in alto. Da consigliere comunale vedi quanto bene se la passano quelli provinciali. Una volta divenuto consigliere provinciale capisci che quelli regionali se la passano ancora meglio. Quando sei consigliere regionale, scopri cosa vuol dire uno stipendio da parlamentare e alla fine ce la fai e il partito ti mette lì, in quella posizione della lista che ti assicura il posto a Roma o a Brussel, se ti comporti bene fino alla fine.

Come si vede, arrivare fino al Parlamento (nazionale od europeo) non è una cosa facile. Richiede anni di sacrifici, centinaia di ore di assemblee e consigli, la conoscenza di migliaia di persone, la creazione di una rete di amicizie, la distribuzione di favori, l’elargizione di promesse.

E’ tuttavia evidente come questo processo sia del tutto irrazionale e incredibilmente poco efficace: sono necessari anni di formazione ed un elevato dispendio economico per addestrare una persona a premere un pulsante su ordine altrui. Razionalmente, siamo di fronte al lavoro meno qualificato presente nel mondo civilizzato. Qualsiasi primate, odontoceta o canide può essere addestrato alla medesima mansione, in molto meno tempo e con risorse economiche inferiori.
Era quindi prevedibile che qualcuno, di fronte ad uno stipendio altissimo e ad un lavoro alla portata di tutti, trovasse un modo più breve ed economico per diventare onorevole.

Il ragionamento è molto semplice: io segretario di partito ho bisogno di avere molti parlamentari dalla mia parte, in modo da poter realizzare il mio progetto politico. Devo pertanto candidare persone che possano ottenere molti voti, ma non posso contare su una base disciplinata e motivata come succede agli eredi dei vecchi partiti, forte di una rete di relazioni e clientele tale da garantire la massa critica di voti e non ho né il tempo né i soldi per crearmela.

Quindi, posto che per svolgere la mansione di parlamentare non è necessaria alcuna abilità o conoscenza, l’unico parametro che sceglierò è la possibilità di attirare elettori, tanti e subito. Come faccio? Candido una donna giovane e bella, possibilmente scelta tra personaggi di terz’ordine del sottobosco che gravita intorno al mondo dello spettacolo: porterà voti perché conosciuta (io le facce delle veline me le ricordo tutte dal 1988 ad oggi, quella del mio sindaco attuale no) e una volta eletta farà esattamente quello che le dico, perché non ha idea di quello che sta facendo, non ci capisce niente e fino al giorno prima probabilmente non sapeva nemmeno che esistesse un parlamento europeo.

(Inciso: non è un caso che sia stato un imprenditore ad aprire la strada: chi è abituato a valutare razionalmente il bilancio costi/benefici e ad ottimizzare tempo e risorse in ragione di un fine preciso sarà sempre due passi avanti a chi intraprende una professione come all’epoca pre-industriale.)

Che differenza c’è tra una di queste giovani donne e un parlamentare? Nessuna: entrambi non sanno fare niente, entrambi non hanno intenzione di lavorare ed entrambi vogliono intascare per quattro anni uno stipendio mensile che supera il reddito annuale di un operaio o di una segretaria.
L’unica differenza è che il parlamentare tradizionale viene da un mondo che lo ha educato a sperperare inutilmente tempo e risorse per diventare parlamentare; ha assorbito malamente gli insegnamenti del liceo e gli esami dell’università e così a 50 anni (di cui 35 di militanza) è arrivato a sedere in parlamento.

La giovane donna invece più probabilmente viene da una realtà “vera”, dove il padre si è spaccato la schiena in fabbrica e la madre fa la parrucchiera, e non ha nessuna intenzione di fare la stessa fine. Educata nel libero mercato e alle sue durezze, cosciente che il suo unico capitale risiede nel fisico e nel sorriso, non spreca certo 35 anni ad inseguire chimere: 20000 euro al mese e viaggi in giro per il mondo gratis per dover premere un pulsante quando ti viene chiesto sono la miglior cosa cui possa aspirare e nemmeno l’escort più di lusso potrebbe sperare di prendere tanto (e comunque anche se intascasse così tanto sarebbe in cambio di prestazioni lavorative logoranti e socialmente non accettate).

E’ naturale che ora tutti coloro che ruotano da anni attorno alla politica si accorgano che il terreno gli sta franando sotto i piedi. Se la lezione delle veline verrà accolta su larga scala, per queste persone sarà l’inizio della fine: parlamentari, giornalisti e intellettuali dovranno cercarsi di che vivere, scalzati da elementi freschi che lavorano per meno e con più entusiasmo (l’entusiasmo di chi sa che alla prossima legislazione potrebbe tornarsene da dove è venuto). E perdere il lavoro quando non si sa fare niente è un problema di ordine spicciolo, più ancora che politico.

Tuttavia non riesco a trovare lati particolarmente negativi. Cioè, non più di quelli che c’erano prima. A comandarci ci sarà una truppa di gente pagata per premere un gettone, solo che invece di essere dei grigi funzionari di partito sono delle avvenenti donne di spettacolo: alla fine dei conti, c’è un vantaggio netto in questo cambiamento.


Giorgio Mattiuzzo
22 Luglio 2009

L'ulivo, il Mediterraneo, la pace in fiamme in Palestina

In mattinata, un gruppo di coloni israeliani ha dato fuoco ad almeno 1500 ulivi, in Cisgiordania, appartenenti a contadini palestinesi. Le coltivazioni sono state distrutte come forma di rappresaglia contro lo sgombero di alcuni avamposti illegali dei coloni, effettuati dalle forze di polizia israeliane.
Peacereporter.net


Un antico mito narra di come la città di Atene venne fondata da Poseidone ed Atena, e di come in seguito le due divinità non riuscirono a trovare un accordo su chi dovesse dare il proprio nome e la propria protezione alla città.
Si decise allora di far scegliere direttamente agli ateniesi quale sarebbe stata la propria divinità protettrice.

Poseidone per ingraziarsi il favore dei cittadini fece loro dono di uno splendido cavallo bianco, ed assicurò il proprio appoggio incondizionato nelle battaglie che la città avrebbe affrontato.
Atena invece fece sorgere dalla terra un ulivo.
Poseidone offriva alla città la via della guerra e della conquista, mentre nell’ulivo di Atena erano rappresentate le virtù della saggezza e della prudenza, e soprattutto i benefici della pace.
Il popolo di Atene scelse di accettare il dono della dea, il cui nome fu dato alla città, e l’ulivo divenne uno dei suoi simboli.
Coloro che sono nati sulle rive del mediterraneo sanno che per quanto ci si sposti lungo le sue sponde, per quanto cambino le lingue e il colore della pelle delle persone che via via si incontreranno, l’uniformità del paesaggio saprà sempre infondere un senso di rassicurante familiarità, così come il ritrovare lungo tutte le coste la presenza dell’ulivo darà l’impressione di non essersi mai allontanati dalla propria casa.
Così come per secoli non vi fu alcuna identità europea nel nostro continente, ed i popoli che vi abitavano potevano essere divisi, allora come oggi, in due grandi famiglie: coloro che utilizzavano il burro ed il grasso per cucinare e coloro che invece avevano il privilegio di disporre dell’olio d’oliva.
La diffusione della pianta dell’ulivo nel mediterraneo


Dalle colline di lavanda della Provenza fino ai boschi del Libano, da Gibilterra alla foce del Nilo, da Misirlou a Miriam, dal paradiso in terra della Morea fino a Smirne che ancora brucia, vi è un’unica anima che percorre le terre che si affacciano sul nostro mare, un’anima a cui l’albero dell’ulivo ha saputo dare un corpo.
Dalle colonne d’Ercole fino in Palestina, vicino ai prati fioriti dove la giovane Europa venne rapita da Zeus, nella terra tre volte santa dove quella pace che l’ulivo da sempre simboleggia pare non essere mai di casa.
La Palestina, la terra dove pochi giorni fa un gruppo di coloni ebrei fondamentalisti, armati di torce, ha dato alle fiamme più di 1.500 alberi di ulivo, un gesto il cui tetro simbolismo gela il sangue.

Portatori di discordia, costruttori di colonie la cui presenza è dichiarata illegale anche dalle misere organizzazioni sovranazionali terrene: neppure la conclamata ipocrisia di queste ultime, infatti, è in grado di fornire una giustificazione ad un sopruso di tali dimensioni.
Hanno bruciato gli ulivi, l’unica fonte di sostentamento rimasta alle genti che abitano quelle terre da decine di generazioni.
Nel nome di un Dio il cui volere interpretano a loro piacimento, con l’unica giustificazione di un testo sacro che dal loro punto di vista affida quelle terre alla loro progenie, a coloro che condividono il loro stesso sangue incontaminato.
Una terra che hanno dimostrato di non amare, una terra che pretendono loro  ma che non esitano a violentare ed a bruciare, mandando in cenere le sue creature più nobili, dando alle fiamme la sua stessa anima.

Ulivi dati in fiamme dai coloni ebrei in Palestina