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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
17 Aprile 2011

15 Maggio convegno a Milano

Domenica 15 Maggio parteciperò a Milano ad un convegno organizzato dai ragazzi del Icke Italia Meetup.
Sono stato invitato a tenere un intervento sul neospiritualismo e sull’importanza che tale “fenomeno” ha assunto nei nostri tempi.
Non ho ancora messo a punto il mio intervento in modo definitivo, ma grosso modo si parlerà di Tradizione, esoterismo e occultismo, da Guénon fino a Lady Gaga.
Per coloro che fossero interessati, e che abitassero a Milano o nelle vicinanze, questo convegno potrebbe anche rappresentare una buona occasione per incontrarci da vicino.

15 Aprile 2011

Vittorio Arrigoni


Quando una persona più o meno celebre muore, o quando la sua morte raggiunge, per un motivo o per l’altro, i canali dell’informazione di massa, si scatena solitamente una lunga onda di retorica, uno scorrere di parole impostate e di triti luoghi comuni il cui sapore preconfenzionato e artefatto difficilmente non può essere colto.

Quando poi viene a mancare una persona le cui qualità in vita meriterebbero davvero di essere ricordate e sottolineate, ecco che le parole vengono a mancare.
Vittorio Arrigoni era una persona giusta, una di quelle che agiscono seguendo il senso di giustizia che hanno dentro.
Faceva quel che credeva andasse fatto.
Sotto le bombe israeliane aveva deciso di condividere la sorte degli abitanti di Gaza, per poter descrivere in prima persona il massacro disumano che là si stava svolgendo, sotto lo sguardo distratto dell’occidente.
Lo faceva perchè riteneva che fosse giusto, senza mai considerarsi un eroe, e senza mai perdere fiducia nell’umanità.
In questo momento vi è poco da aggiungere: è morto un uomo giusto.

12 Aprile 2011

Il flusso del potere - parte III


Il concetto più vago con cui come esseri umani abbiamo a che fare è indubbiamente quello di libertà.
La libertà, quale assoluto, è una entità non sperimentabile, inconoscibile, per ognuno di noi.
Esistono, al massimo, le libertà, al plurale.
Si può essere liberi da, e liberi di, ma mai liberi in tutto e per tutto, in senso totale.
E basta davvero poco per comprendere tale realtà, magari una mattinata nebbiosa di novembre, quando la sveglia suona alle sette e nel caldo del proprio letto ci si chiede per quale motivo il mondo sia tanto malvagio da costringerci a lasciare il nostro tiepido rifugio per affrontare il freddo la pioggia e il traffico.
Un essere totalmente “libero” potrebbe scegliere, in teoria, di compiere l’azione che più gli è congeniale in qualsiasi momento, senza avere l’obbligo di andare contro la propria volontà.
Si potrebbe obiettare che anche l’avere un lavoro in fondo costituisca una libera scelta, ma questo si può affermare anche a proposito del servo della gleba medioevale, “libero” di andarsene dal suo pezzo di terra in qualsiasi momento, a suo rischio e pericolo: il solo fatto di dover sopravvivere, e di conseguenza il doversi procurare il necessario per farlo, erode inevitabilmente l’ampiezza delle libertà umane.
Andando più nello specifico, si sperimentano ulteriori, e ben maggiori, limitazioni alla nostra libertà ogni qual volta siamo chiamati ad identificarci, a registrarci, ad avere delle carte d’identità, a pagare delle tasse.
Esistono persone che possono obbligarci a compiere queste azioni, e che detengono di conseguenza un certo grado di controllo sulle nostre vite.
Ma se queste sono imposizioni ben evidenti, vi sono d’altra parte limitazioni alla nostra libertà molto più difficili da cogliere: si tratta dei condizionamenti sociali.

Ogni epoca è caratterizzata da diversi usi e convenzioni, e questo non è un mistero: quello che invece rimane più difficile da comprendere è il motivo per cui il senso morale possa cambiare nel tempo e soprattutto il modo in cui questo avviene.
Tendenzialmente, ogni società umana si è fondata su due principi fondamentali: il divieto di omicidio all’interno del proprio gruppo sociale ed il divieto di incesto (con alcune notevoli eccezioni).
Ma oltre questi punti fermi, il concetto di moralità e le regole di convivenza civile sono variate di molto.
Ancora oggi, a cominciare dal momento in cui indossiamo degli abiti ribadiamo la nostra adesione alle impostazioni sociali della nostra epoca, senza sentire la necessità di riflettere sui motivi che ci portano a presentarci in un modo piuttosto che in un altro, così come per una ragazza cretese del 2.000 avanti Cristo era normale aggirarsi tra le mura di Cnosso con il seno al vento mentre una sua lontana discendente del 1900 dopo Cristo avrebbe giudicato scandaloso mostrare in pubblico le proprie caviglie.
E la moda rappresenta solo l’aspetto più eclatante del condizionamento a cui gli esseri umani facilmente sottostanno, ed in maniera ancora maggiore evidenzia la facilità con cui un numero limitato di persone possa decidere il modo in cui miliardi di loro simili presenteranno se stessi.
Si tratta, in questo caso, di uno dei modi in cui la presunta libertà del singolo viene aggirata senza che questi nemmeno se ne accorga.
Questi condizionamenti, queste piccole o grandi limitazioni delle libertà decisionali delle persone seguono solitamente degli schemi ben precisi di diffusione: immaginando l’umanità strutturata sotto forma di piramide, gli input seguiranno sempre un percorso che va dall’alto verso il basso.

In questo processo, il ruolo chiave per la diffusione delle regole sociali risiede nelle mani dei diffusori di opinioni, quelli che vennero chiamati “intellettuali”, e più nello specifico gli artisti, gli stilisti, i cantanti, i poeti degli antichi, i pubblicitari dei giorni nostri.
Sovente semplici pedine inconsapevoli nelle mani di persone influenti che ne indirizzano l’operato, i creatori di opinione sono in grado di plasmare nell’arco di una generazione il sentire comune che di volta in volta può essere utile al potere costituito.
Possono creare un movimento culturale che esalti l’auto sacrificio e l‘amor di patria come fecero gli intellettuali romantici di fine ottocento, trasformando così una intera generazione di giovani imbevuti di tali miti nella perfetta carne da macello per la grande guerra di inizio novecento; oppure possono diffondere per mezzo di film e serie tv un modello di uomo totalmente incentrato nella ricerca dell’accumulo dei beni materiali ed identificarlo con il concetto del “successo”, come avvenne nel secondo dopoguerra.
E’ interessante notare come un lavoro di condizionamento di questo tipo necessita di attenta organizzazione solo in un primo momento, poiché in seguito saranno i ricettori stessi a diffondere il nuovo sentire, per mezzo della reciproca influenza.
Questo secondo meccanismo è ben descritto nella storiella delle cinque scimmie:

Se mettiamo 5 scimmie in una gabbia, aggiungiamo una scala all’interno e vi mettiamo sopra una bella banana subito esse saliranno la scala per prendere la banana.
Se però ripetiamo lo stesso scenario e ogni volta che una scimmia prova a salire la scala inondiamo la gabbia con un forte getto d’acqua diretto su di lei e su tutte le altre, ben presto queste scimmie smetteranno di provare a salire la scala, consapevoli di quello che le aspetta in caso tentassero…
A questo punto possiamo togliere una scimmia dalla gabbia e aggiungerne una nuova: la nuova arrivata proverà subito a salire sulla scala ma le altre scimmie subito la fermeranno per paura del getto d’acqua, che sanno arriva ogni volta che una di loro sale la scala: ben presto dopo alcuni tentativi falliti la nuova scimmia desisterà.
A questo punto possiamo togliere un’altra scimmia e metterne un’altra nuova, la scena di prima si ripeterà, e ora anche la scimmia inserita poco prima aggredirà la nuova arrivata,  in quanto ha potuto imparare a sue spese che sulla scala non ci si può andare…
Possiamo continuare in questo modo sostituendo fino all’ultima scimmia, a questo punto avremo una gabbia con una scala al suo interno con sopra una banana, 5 scimmie dentro e nessuna di queste scimmie si azzarderà a salire la scala, ma nessuna di queste scimmie saprà il perchè non si possa salire questa scala, semplicemente saprà che non si può, che si è sempre fatto così…
La memoria del perchè non si potesse salire la scala è andata perduta e ora non è più importante rimanere vicino alla gabbia con il tubo dell’acqua pronto, per essere sicuri che le scimmie non mangeranno la banana: ora le scimmie si autocontrolleranno fra di loro, nessuna salirà sulla scala perchè sarebbe fermata dalle altre, e solo perchè si è sempre fatto così, è sbagliato salire punto e basta…

Nel caso di questa storiella, il condizionamento iniziale è di tipo negativo (la scimmietta che sale la scala subisce un forte getto d’acqua); nelle culture più progredite, al contrario, il condizionamento iniziale è di tipo positivo: un certo tipo di comportamento viene presentato quale vincente, e di lì in poi si diffonde tramite imitazione.

Finché verrà riconosciuto come “normale”, e non ci si chiederà nemmeno più se esistano delle alternative.

Il flusso del potere – Prologo
Il flusso del potere – parte I
Il flusso del potere – flash back
Il flusso del potere – parte II
Il flusso del potere – parte III
Il flusso del potere – secondo intermezzo: popolo e conformismo
Il flusso del potere – parte IV
Il flusso del potere – Epilogo

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6 Aprile 2011

Sorridi, è una foto economica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente scritto di Antonio Pani, una “istantanea” della situazione economico-sociale attuale che offre interessanti spunti di riflessione.


Di Antonio Pani.

Premessa.

Questo breve scritto vuole essere una semplice e modesta “istantanea” del momento economico, sociale e culturale che stiamo vivendo.
Bloccare tutto per un attimo, fermarsi per “prendere un po’ di fiato” e riflettere, può essere d’aiuto.
Non dimentichiamo che è nel presente che troviamo tracce importanti del nostro futuro.

I nuovi schiavi.

Il mondo è ricco di nuovi schiavi, che non sanno di esserlo, e si avvitano su se stessi mentre chiedono aiuto al loro carnefice.
Il concetto merita di essere approfondito.
Siamo oppressi dai debiti (1), generati da un vivere al di sopra delle nostre possibilità e agevolati da un’immane, quanto insana, concessione diffusa del credito al consumo.
Di fatto abbiamo perso la capacità di risparmiare, caricandoci sulle spalle il peso delle famigerate rate mensili, che ci strangolano e ci obbligano a lavorare, “costi quel che costi”.
Aggiungiamo l’inflazione, la crisi economica, la disoccupazione, un sistema bancario a riserva frazionaria “fuorilegge” e il cocktail è servito.

Le aziende chiudono, i cittadini sono alla canna del gas, mentre lo stato annaspa, continuando imperterrito a bruciare miliardi di euro, dei quali non rende conto a nessuno.
I nostri politici poggiano “la rinascita” dell’economia sul consumo ad ogni costo; lo predicano ad ogni angolo dei media.
Questa affermazione, tuttavia, si presta ad almeno una critica di rilievo.
Infatti, da che mondo e mondo, è risaputo che il consumo (soldi da spendere) si può avere solo dopo avere risparmiato.
Non spendo oggi, rinunciando a qualcosa, per avere un piccolo/grande gruzzolo da gestire domani.
Consumare ad ogni costo potrebbe non essere poi una grande idea.

L’economia di oggi.

Occorre aggiungere e precisare che buona parte del denaro utilizzato dallo Stato, al pari di quello delle banche, è denaro creato dal nulla, dalla Banca Centrale, che prende il nome di moneta FIAT.
Quest’ultima non è controvertibile/garantita da alcun altro bene reale e/o materia prima, come l’oro, il petrolio, un immobile etc…
Pertanto, si tratta solo di una scrittura contabile digitale, capace però di aumentare la massa monetaria disponibile e la liquidità; questo al pari del già citato sistema a riserva frazionaria che, per esigenze di semplicità e spazio, non spiegheremo qui.
Lo Stato, spendendo “a deficit” i soldi che non ha (quelli della Banca Centrale), immette sempre più moneta in circolazione, riducendo il valore di quel “risparmio-gruzzolo” di cui abbiamo parlato prima.

Trattasi della famosa inflazione (monetaria), che si concretizza grazie a questa semplice regola economica: se la quantità dei soldi disponibili aumenta, grazie a quelli “freschi di stampa”, i denari che circolano da più tempo, anche quelli risparmiati, diminuiscono di valore/potere d’acquisto.
L’inflazione ha anche un altro effetto devastante e maggiormente conosciuto: quello di generare l’aumento dei prezzi.
Non credo sia possibile trovare un governo che non voglia poter spendere e spandere senza freni.
Infatti, questa “magica” gestione economica “poggiata sul nulla”, cioè su Banche Centrali, moneta FIAT e riserva frazionaria, è accolta a braccia aperte dai governanti di tutto il pianeta.
Questi appena descritti sono i soggetti e lo sfondo della nostra “fotografia economica”, alla quale dobbiamo ancora dare il famoso “tocco artistico finale”.

Il socialismo e il “peso dello Stato”.

Di fatto, oggi, siamo assoggettati a un socialismo/statalismo neanche tanto velato.
Da un lato burocrazia, tasse e balzelli di ogni tipo, vessano e affossano i cittadini, i lavoratori dipendenti, gli imprenditori e l’intero mercato; quest’ultimo è “distorto e piegato” al volere dello stato, a causa della sua costante intromissione.
Dall’altro l’amministrazione centrale domina la scena, gestendo il denaro e le risorse che ha “prelevato”, presentandosi a tutti come l’unico salvatore in grado di muovere e gestire l’economia “malata”.
Notare che, vicini al governo, ci sono sempre gli amici e i privilegiati, che non esiteranno a ringraziare per le commesse ricevute (non di rado, infatti, si sente parlare di tangenti).
Ricordando la prima frase sugli schiavi inconsapevoli, torna in mente anche il concetto riguardante l’interventismo statale.

Più le cose vanno male, più ci si rivolge a qualcun altro per essere aiutati, in particolare allo stato (carnefice), affinché si adoperi immediatamente per “salvare tutto e tutti”.
Peccato che sia proprio grazie alla sua eccessiva presenza e intromissione economica e sociale che i cittadini sono praticamente bloccati in attesa di risposte, lavoro e denari.
Allo scopo si vedano anche le politiche riguardanti sovvenzioni e partecipazioni statali varie, incentivi auto, “quote latte” e via discorrendo.
In altre parole, oggi il libero mercato non esiste più.
La stessa libertà, nel senso più ampio del termine, è a rischio.
Tali concetti sono precursori di un’altra inquietante riflessione, a proposito del “peso dello stato” nella vita quotidiana.

Oggigiorno la comunità dipende da scelte e denaro pubblico in modo opprimente e disarmante, molto più di quanto non si possa immaginare.
Con un po’ di pazienza, calcolatrice alla mano, vi sono dati sufficienti affinchè chiunque possa facilmente verificarlo da sé.
E’ dipendente in senso letterale del termine, perché la maggior parte dei cittadini è “pagata dallo Stato”.
In pratica vige quello che in rete è stato definito un regime di “democratura”, una miscela fatta di democrazia e dittatura.
A questo punto, sembra materializzarsi un possibile problema.
In un’ottica statalista di tipo “oppressivo”, al limite della “militarizzazione delle strutture pubbliche”, prima di mangiare sarà necessario obbedire.
In pratica, ben oltre la metà dei cittadini italiani dovrà svolgere bene il proprio lavoro, se vuole che il governo gli paghi lo stipendio a fine mese.
Sussiste, inoltre, la possibilità di andare incontro a un mondo felice, dove tutti saranno “liberi di essere controllati”, anche da colui che gli sta accanto.
Occorre, altresì, tenere a mente che circa 500.000 dipendenti dello Stato (2) (Forze Armate e Polizia) sono armati e addestrati, e che questo numero, all’occorrenza, potrebbe salire in modo considerevole.

Le persone che vivono grazie alla macchina pubblica, in un regime di rigida democratura, potrebbero fare qualsiasi cosa pur di portare a casa un tozzo di pane.
Anche barattare la loro libertà, non prima di avere messo seriamente in discussione quella degli altri, in particolare di quelli “non stipendiati” dal Governo.
Il fatto che in questa moltitudine di cittadini siano compresi anche i bambini e i ragazzi che non lavorano, è un particolare di non poco conto.
In situazioni critiche come quelle prospettate, un genitore sarebbe disposto a fare o subire qualsiasi cosa pur di non far mancare niente ai propri figli.
Alla luce di queste considerazioni l’odierno vivere e confrontarsi in modo aggressivo, basato su convinzioni e punti di vista diametralmente opposti, trova una sua ragione d’essere e, inoltre, una nuova prospettiva.
Il noto scontro fra lavoratori pubblici (parassiti) e imprenditori, commercianti, artigiani (evasori) è un esempio“classico”.
Questi sono i meravigliosi effetti di quella che può essere definita “polarizzazione ad arte” della società.

Si tratta di un elemento portante di quella tragica e snervante “guerra fra poveri” che, giorno dopo giorno, accompagna buona parte della popolazione.
Lo scenario descritto qualche riga più su (rigida democratura) non è lontano né, tanto meno, impossibile.
Una forte imposizione statalista potrebbe, per esempio, verificarsi a seguito di una nuova e violenta crisi economica, in un futuro che incombe e freme di diventare “presente”.
A più disoccupazione, disperazione e fame, seguiranno maggiori richieste di aiuto allo Stato, condizioni ottimali per giustificare una politica maggiormente basata sull’”imposizione dall’alto”.
I pezzi del puzzle andrebbero tutti al loro posto, e il Governo assumerebbe il comando “stringente” a cui si accennava in precedenza.
A questo punto i cittadini “stipendiati” dall’amministrazione centrale, potrebbero anche essere invitati a diventare “controllori” del buon funzionamento della società.
Uno Stato che, anziché svuotare le tasche ai cittadini e inflazionare il denaro, perseguisse in modo effettivo ed efficace la tutela della libertà, nel senso più ampio del termine, avrebbe già risolto buona parte delle problematiche socio-economiche.
Ma un popolo libero non serve a nessuno, è difficile da governare, gli “schiavi” sono molto meglio.

Numeri e riflessioni.

A sostegno della teoria appena esposta vi sono dei numeri significativi.
Occorre premettere che le cifre sotto riportate sono calcolate in modo indicativo, per definire un quadro di massima della situazione Italia (e non solo).
Per quanto riguarda i dati complessivi “di partenza”, sono state utilizzate le fonti elencate a fine documento.
Per calcolare il numero di cittadini iscritti nel libro paga dello Stato è sufficiente prendere in considerazione due dati:

1)  – Il numero dei dipendenti pubblici, circa 4 milioni (3);
2)  – il numero dei pensionati, circa 17 milioni (4) e (6).

Si tratta di 21 milioni di cittadini, oltre 1/3 della popolazione censita (5); un numero che fa riflettere (ad esempio in “chiave elettorale”).
A queste cifre andranno aggiunti anche il numero dei coniugi dei pensionati senza entrate (7),(10), oltre al numero dei figli a carico dei lavoratori dipendenti pubblici. (5)
Dopo un paio di semplici e ragionevoli calcoli, si è potuto appurare che oltre la metà dei cittadini italiani vive direttamente con i “soldi statali”.
A consolidare e rafforzare le cifre appena indicate, relativamente al “peso dello Stato”, ben possono essere chiamati in causa anche i privati, sia dipendenti (8) che liberi professionisti (9) (complessivamente oltre 8,5 milioni di lavoratori).
Se si tiene conto di quanti “privati” lavorano grazie alle commesse pubbliche (davvero molti), si può facilmente intuire quanti siano i cittadini italiani che vivono “indirettamente” con i “soldi statali”.
Stiamo parlando, come già detto, di oltre il 50% della popolazione, una cifra al limite dello “spaventoso”.

A sostegno e corredo di questi numeri è possibile aggiungere che, nell’anno 2009, il costo sostenuto dal Ministero del Lavoro per la tutela degli invalidi e dei non autosufficienti supera i 45 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere le prestazioni locali. (6)
Riferendo il tutto alle odierne scelte dei liberi cittadini, non può non rilevarsi il “peso” dell’apparato pubblico.
Appare non privo di ragioni, quindi, sostenere che una struttura statalista di tipo “autoritario” avrebbe le carte in regola per pesare ancora di più.
Dare tempo al tempo sarà utile per definire, in dettaglio, il futuro che attende l’intera popolazione.
In ogni caso non bisogna disperare, perché le cose positive ci sono, si chiamano amore, conoscenza e impegno.

Suggerimenti per il futuro.

Buona parte degli italiani, spesso, pensa a qualcosa simile a: “ma io non ci posso fare nulla”.
Probabilmente commette uno sbaglio, in quanto ognuno di noi “può fare”.
E’ importante sapere che il senso dell’abbandono e la rassegnazione, che sono percepiti in modo diffuso, non sono dei fenomeni esattamente naturali.
Diversi, infatti, sono i fattori che influenzano la crescita e la formazione, anche psicologica, di un membro della società odierna.
Molto di ciò che noi siamo oggi, per esempio, ha origine dai tempi della scuola.
Si tratta di un luogo nel quale ci è stato insegnato come comportarci e, soprattutto, a comprendere bene quale è il nostro posto nella società.
Molti esperti, studiosi e docenti, si sono adoperati nel descrivere le attività che si svolgono negli istituti scolastici; la produzione di libri, manuali, saggi e approfondimenti è praticamente illimitata.

Fra i “frutti” di questo immenso lavoro, vi sono anche “Le sette lezioni” di John Taylor Gatto (11).
E’ la fotografia di ciò che viene realmente insegnato nelle scuole, e di quanto ciò sia rilevante per l’organizzazione sociale.

Nel novero degli elementi che incidono nello sviluppo del cittadino, non possono mancare “televisione e media”.
Come dimenticarsi del fatto che, ormai è da anni, la popolazione è immobile davanti a schermi e quotidiani, ad aspettare che le venga detto:
–    cosa succede;
–    cosa è vero, ma anche cosa non lo è; si tenga conto che, sovente, ciò accade “invertendo di posto le cose”, così da creare quella “sana e utile confusione” che non deve mai mancare;
–    cosa e come debba mangiare (vedi sopra per la confusione);
–    cosa fa bene e cosa no (idem);
–    quali siano gli argomenti interessanti e quali quelli da scartare; cosa questa che, peraltro, è stata già fatta al momento della compilazione del palinsesto o del programma (tv).

L’uomo è diventato spettatore della propria vita, lasciandola in mano agli altri, a quegli pseudo-esperti-competenti che, grazie ai mass-media, tutti i giorni e in tutti i modi riescono a “raggiungerlo e bombardarlo”.
Praticamente vivono con lui.
Notare che, questo meccanismo, fa si che la maggior parte della popolazione sia convinta di vivere in compagnia del mondo; pensi che sia “tutto intorno a te”, mentre in realtà spesso è più sola e più povera, soprattutto nello spirito.
Una buona domanda è chiedersi perché molte persone facciano fatica a rimanere concentrate, o ad avere una buona soglia d’attenzione.
A tal proposito, è possibile soffermarsi un attimo su videogiochi, cellulari, internet e/o “facebook”.
Si tratta, soprattutto per i più giovani, di un cocktail fatto di “puro smanettamento”, dove ogni mossa deve essere rapida, istintiva e, talvolta, cinica.
Peccato che si “bruci” il tutto troppo in fretta, mancando spazi, tempi, profumi e modi adeguati; per approfondire una conoscenza, una persona, un semplice argomento.
E’ un vivere “mordi e fuggi”, ecco perché è difficile concentrarsi e stare attenti.

Il futuro sarà gestito da questi bambini/ragazzi/giovani, nei quali tutti hanno una grande fiducia ma che, in maniera non esattamente riconoscibile, vengono in qualche modo “plasmati” già da adesso.
Una risposta “attiva” a questo stile di vita è insita nel rispolverare l’antica arte del fare, di un sano incontrarsi di persona, fatto di sguardi, aromi, condivisione reale e sorrisi genuini.
Ricominciare da noi, dalla nostra famiglia, dai nostri affetti, dai nostri cari e dalla nostra comunità, come disse anche Lino Bottaro, in un suo articolo sulla “globalizzazione”.
Investiamo in amore, disponibilità e solidarietà vera.

Conclusioni.

In un mondo che “vibra”, trasmettendo segnali fra i più svariati e indecifrabili che il genere umano abbia mai conosciuto, si percepisce, in modo netto, un disperato “bisogno di risposte”.
Le domande sono molteplici, almeno quanto le conoscenze utili al fine di “trovare “soddisfazione”.
Un significativo passo in avanti è quello di mettere in contatto diverse percezioni, diversi mondi e differenti conoscenze, così da tentare di aiutare tutti a capire meglio ciò che accade.
Quando arriverà la prossima crisi economica ci saranno non pochi problemi da affrontare.
Il “dopo” presenta un’infinità di scenari, che spaziano da un “tenero” rimboccarsi le maniche a un tragico “uccidere per un pezzo di pane”.
Nel mezzo, a mio modesto parere, c’è l’indispensabile necessità che ognuno di noi si dia da fare subito, per acquisire/testare conoscenze primarie, arti e mestieri, riappropriandosene.
Occorre aggiungere che senza una discreta infarinatura di questo tipo, si potrà fare troppo poco per non “subire in modo importante”.

Scelte associative, da valutare anche oggi, potrebbero essere d’aiuto in questo senso.
In forma “esattamente capovolta”, è possibile ritrovare il concetto delle conoscenze primarie nel libro “Cosa è il denaro”, di Gary North (12), in particolare nel passaggio in cui afferma che: “nella società moderna dipendiamo strettamente dalla specializzazione anche per nutrirci” (pag.97).
Nel mondo “post crisi”, dopo un disastro socio – economico, le specializzazioni saranno “azzerate”, da qui il bisogno di avere “nelle mani e nella testa” qualcosa in più, magari da trasformare in cibo.
Un caro saluto, e un sincero “in bocca al lupo”, a tutti coloro che “incroceranno” queste riflessioni.

Elenco delle fonti:
(1)    Circa 16.000 euro in media a famiglia, Fonte Cgia Mestre, dicembre 2009;
(2)    Elaborazione del Ministero della Funzione Pubblica, basata su ricerca OCSE-PUMA, anno 2002;
(3)    Elaborazioni OCSE-PUMA, anno 2002, integrate da Stefano Nespor – Federico Boezio nello studio: “Quanti sono gli impiegati pubblici?”, che tiene conto anche dei dipendenti delle Aziende Ex Municipalizzate, pubblicato sulla rivista RIP, Rivista Impiegati Pubblici, Sezione Contributi;
(4)    Istat, riferimento al 31/12/2007;
(5)    Wilkipedia+ dati censimento 2010, la percentuale di donne è pari al 51,4%, il numero medio di figli per ogni donna è pari a 1,40;
(6)    I.N.A.I.L., Contact Center Integrato SuperAbile di informazione e consulenza per la disabilità;
(7)    il 35% dei nuclei familiari di ultrasessantacinquenni è composto da una sola persona, “La crisi del 40° anno – Corriere della Sera”, 26 giugno 2010;
(8)    Il Sole 24 ore + Cgia di Mestre, “Un lavoratore su due non ha diritto agli ammortizzatori sociali”, 10 gennaio 2009;
(9)    A seguito di una breve ricerca personale su internet è stato possibile reperire da Articoli/approfondimenti su riviste specializzate e presso Albi, Elenchi vari e Ordini professionali, i seguenti dati significativi: Notai, 5.200, Ingegneri, 213.000, Architetti, 136.000, Geometri, 110.000, Giornalisti, 100.000, Avvocati, 190.000 circa (media), in quanto 230.000 (Avv. Guido Alpa all’inaugurazione Anno Giudiziario 2010) – 137.000 (Cassa Forense); altre fonti dicono: 3,4 ogni 1000 abitanti, quindi 204.000; Periti industriali+geologi+periti agrari, circa 150.000; biologi, farmacisti, commercialisti, chimici, medici chirurghi e odontoiatri etc…, circa 100.000.
(10)    Istat, rilevazione casalinghe disoccupate iscritte presso l’I.N.A.I.L. al 31/12/2009 (n. 2.025.900); n.b.: l’ISTAT stima che le casalinghe italiane siano, complessivamente, circa 8 milioni (iscritte INAIL e non);
(11)    John Taylor Gatto, nato il 15 dicembre 1935, è un insegnante di scuola americana in pensione, con 29 anni e 8 mesi di esperienza, autore di diversi libri in materia di istruzione.  Lui è un attivista critico della scuola dell’obbligo, del divario percepito tra l’adolescenza e l’età adulta, e di ciò che egli caratterizza come il carattere egemonico del discorso sull’istruzione alle professioni.
(12)    Gary Kilgore North (classe 1942), è uno storico economico ed editore che scrive prolifico su argomenti quali economia, storia e teologia cristiana; autore dell’imperdibile  libro “Che cosa è il denaro”, tradotto e pubblicato in Italia dalla “Associazione Culturale Usemlab, – Economia e Mercati”;

1 Aprile 2011

Le Charite

 

La Charite, William-Adolphe Bouguereau, 1878

Come ebbi modo di spiegare in passato, in queste pagine evito il più possibile di trattare della politica nostrana, e lo faccio principalmente per una questione di estetica.
Le rare volte in cui questi incidenti capitano, e l’occhio cade nei meandri delle gesta e dei volti farseschi dei bassi rappresentanti del genere umano, diviene opportuno controbilanciare l’imo spettacolo con della chiara bellezza.