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rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
28 Febbraio 2010

Il Presidente degli europei


La decisione di nominare presidente permanente
della nuova Unione europea disegnata dal Trattato di Lisbona il premier belga Herman Van Rompuy – membro del partito dei Cristiani Democratici Fiamminghi e appassionato di poesia giapponese – è stata presa la sera del 12 novembre in una cena a porte chiuse nel Castello di Hertoginnedal, alle porte di Bruxelles.
A organizzare la cena, cui ha partecipato lo stesso Van Rompuy, il famoso Bilderberg Club: il più potente, riservato e discusso organo decisionale privato del mondo che dal 1954 riunisce i vertici politici, finanziari, industriali, militari e mediatici dei paesi occidentali.[…]
Van Rompuy, nonostante il suo apparente basso profilo, è da tempo un frequentatore sia del Bilderberg Club che della Commissione Trilaterale, altro potente organismo sovranazionale fondato e presieduto da David Rockefeller.Herman Van Rompuy è il primo Presidente del Consiglio Europeo con un mandato permanente, una carica prevista espressamente dal famigerato Trattato di Lisbona, entrato ufficialmente in vigore dal 1° Dicembre del 2009.
La triste farsa dell’Unione Europea non poteva avere presidente migliore, un signor nessuno da nessuno eletto, come democraticamente previsto dalla nuova costituzione che nessun cittadino europeo ha mai letto.
Non vi è molto di cui stupirsi, le titaniche entità sovranazionali che sempre più spazio guadagnano nel legiferare sugli aspetti del nostro vivere non tentano nemmeno di darsi una qualsivoglia apparenza “democratica”, qualunque significato si voglia attribuire a tale espressione.

In un teatrino più patetico che preoccupante, più grottesco che tragico, il parlamento europeo sa comunque ancora riservarci dei picchi di buonumore.
Nel filmato che segue, Nigel Farage, eurodeputato Britannico, pone a Van Rompuy la domanda che ogni europeo che ancora perde tempo ad interessarsi delle vicende di Bruxelles e Strasburgo si è posto: presidente, ma lei chi cavolo è? Chi la conosce?
Imperdibile il passaggio in cui Farage accusa Van Rompuy di possedere il carisma di uno straccio umido.
Piccole pillole di leggerezza, che perlomeno allietano la nostra esperienza di cittadini dell’unione.

22 Febbraio 2010

La recinzione



“Tutto giusto, analisi condivisibile: ma nel concreto, cosa si può fare?”
Si tratta di una domanda che puntualmente si ripropone, in luoghi come questo, ed è giusto che sia così.
L’analisi e lo studio di ciò che ci circonda sono passi indispensabili, ma tutta la comprensione possibile avrebbe poco senso se non si dovesse tradurre in una sorta di azione, in un certo momento.
Ma che tipo di azione?
Per quanto ci possa piacere o meno, la risposta a questa domanda non può che essere personale.
Ognuno interpreta in maniera diversa la realtà che lo circonda, ognuno ne è toccato in maniera differente.
C’è chi ha il sonno agitato pensando alle iniquità del mondo, chi soffre anche fisicamente osservando l’inganno in cui siamo immersi; e c’è chi in questo inganno tenta di sopravvivere al meglio.
Ognuno, a seconda della sua inclinazione, del suo coraggio, delle sue debolezze e dei suoi compromessi, decide il ruolo da intepretare in questo palcoscenico.
Qualcuno poi rimane indietro, e si sofferma più del dovuto ad osservare il velo.
Che fare, quindi?
La risposta, ancora una volta, sarà individuale.
Quello che segue fu uno dei primissimi brani che pubblicai in questo blog, più di tre anni fa, ormai.
Per chi ancora non lo conoscesse, ritengo si tratti di una lettura preziosa.

 C’era una volta un leone, che venne catturato e rinchiuso in una grande gabbia: con sua grande sorpresa, trovò dei leoni che vi erano rinchiusi da anni, alcuni persino da tutta la vita, essendo nati e cresciuti là dentro.
Presto imparò a conoscere le attività sociali che si svolgevano all’interno del recinto.
I leoni si riunivano in gruppi.Un gruppo, ad esempio, era costituito da leoni desiderosi più che altro di stare in compagnia; un altro gruppo si dava la pena di organizzare spettacoli; un altro ancora si occupava di attività culturali, avendo per scopo la conservazione dei costumi, delle tradizioni e della storia del tempo in cui i leoni erano liberi; altri gruppi erano religiosi, e usavano riunirsi prevalentemente per comporre e cantare canzoni commoventi, che parlavano di una futura giungla senza recinzioni; altri gruppi attiravano i leoni con velleità artistiche, o leoni letterati; altri ancora avevano intenti rivoluzionari, e si riunivano per complottare contro i carcerieri o contro altre associazioni di ribelli; v’erano poi gli adoratori della gabbia, ed altri, infine, che ne contestavano la stessa esistenza.
Ogni tanto scoppiava una rivoluzione, un gruppo veniva sopraffatto da un altro, oppure venivano uccise tutte le guardie e poi sostituite da altre.
Guardandosi attorno, il nuovo venuto osservò un leone che stava in disparte, assorto nei propri pensieri, e che non sembrava appartenere a nessun gruppo.
La sua presenza destava impressioni contrastanti, dall’ammirazione alla diffidenza.
Egli disse al nuovo arrivato: «Non unirti stabilmente a nessuno di questi gruppi.
Si danno da fare per molte cose, alcune anche buone, ma ne trascurano una ch’è davvero essenziale».
«E quale sarebbe?», domandò l’altro.
«Esaminare la natura della recinzione»

Segnalato dal Piccolo Zaccheo

18 Febbraio 2010

Le gated communities, i borghi fortificati del XXI secolo


Quando anni fa sentii parlare per la prima volta delle gated communities ebbi l’impressione di stare ascoltando il racconto di un romanzo distopico ambientato in un prossimo futuro.
In realtà, le gated communities non hanno nulla di fantascientifico, e rispondono ad una precisa esigenza sentita da sempre più cittadini.
Più che una anticipazione del futuro, inoltre, queste “comunità” rappresentano un curioso ritorno al passato.

Si tratta, essenzialmente, di zone residenziali private composte da diverse unità abitative, da poche decine a qualche centinaio, riservate principalmente a cittadini benestanti, facenti parte del ceto medio – alto della popolazione.
Queste zone residenziali speciali possono formare dei paesi isolati, oppure occupare un quartiere all’interno di una città più grande, e sono solitamente cintate da muri e cancelli – da cui il nome – ed ogni abitante deve identificarsi all’ingresso per potervi accedere.
La caratteristica principale di tali agglomerati urbani infatti è proprio questa: il transito al loro interno è interdetto agli estranei, che potranno al massimo accedervi dietro necessaria autorizzazione.
Se, ad esempio, un abitante della communityaspetta la visita di qualche conoscente che non abita nel quartiere, dovrà annunciarlo alle guardie giurate che controllano gli ingressi, comunicando l’orario dell’arrivo dell’amico, il suo nome, i dati di un documento di identificazione e il motivo della visita stessa.
La prima ragione dell’esistenza di tali comunità isolate è intuibile: il desiderio di sicurezza.
Dentro il quartiere infatti possono circolare solo gli abitanti, che col tempo si conoscono personalmente, e vi è inoltre un servizio di sicurezza offerto da guardie private pagato dai proprietari delle case.
Gli abitanti, inoltre, concorrono collettivamente per le spese urbanistiche, per la cura del decoro urbano e per  i vari servizi comuni di cui hanno bisogno, facendo in questo modo delle loro zone residenziali delle piccole entità giuridiche in parte indipendenti.
Le gated comunities più grandi vengono così dotate di centri ricreativi, scuole materne, piscine comuni, bar, ristoranti, negozi, come fossero delle comunità autosufficienti.Tale fenomeno urbanistico ebbe la sua origine negli Stati Uniti – dove si calcola che attualmente circa 10 milioni di persone vivano in una di queste comunità – e ben presto si è diffuso in altre nazioni, in particolar modo in stati in cui esiste una certa disparità tra le condizioni economiche dei più ricchi rispetto a quelle dei più poveri, come la Cina, il Brasile, L’Argentina, ed altri paesi del Sudamerica.

In Italia, esiste un progetto del 2007 che prevede la costruzione della prima gated community sul nostro suolo nazionale, all’interno del comune di Basiglio, a trenta minuti di Milano.


Nella presentazione dell’operazione comunicata dai media si descrive chiaramente l’idea dell’abitare a cui il progetto si ispira:

A Basiglio, a due passi da Milano 3, sta per nascere quella che potrebbe essere la prima gated community italiana, una città nella città in un ambiente superprotetto e immerso nel verde, senza auto e con tutti i servizi di un hotel cinque stelle che sarannno fornite da società esterne al quartiere.
L’idea funziona da anni negli Stati Uniti, soprattutto fra le famiglie del ceto medio-alto, per proteggersi dal crimine.
L’immobiliarista Danilo Doronzo, che guida la Milano Holding Goup, ha deciso di importare in Italia il modello che, secondo gli ideatori, rappresenta l’evoluzione d’iniziative come Milano 2, lanciate negli anni ‘70 da Silvio Berlusconi.
La sicurezza, però, è solo uno degli aspetti che lo interessano.
La differenza rispetto ad altri progetti simili sarà data dalla qualità dei servizi. «Sarà il regno del silenzio – spiega Doronzo – uno spazio dove i bambini potranno circolare liberamente senza che nessuno possa entrare in assenza di autorizzazione e dove una società di gestione esaudirà tutte le richieste dei proprietari, dai servizi di baby sitting alla consegna della spesa, fino all’innaffiamento dei fiori 24 ore su 24».

I lavori di Cascina Vione partiranno a febbraio e dureranno tre anni. Si tratta di un progetto da 80 milioni di euro finanziato per 53 milioni da Bpm su un’area di 100mila metri quadri, di cui solo 25mila saranno costruiti.
«Rispetteremo le metrature esitenti», precisa Doronzo.
L’obiettivo infatti è creare un ambiente esclusivo per circa 150 famiglie che avranno modo di veder rifiorire un complesso che risale al Milleduecento.
All’interno di questo spazio si circolerà rigorosamente a piedi: «Anche le biciclette – precisa Doronzo – resteranno fuori mentre per le auto ci saranno i parcheggi sotterranei».

Da un certo punto di vista, il fatto che un gruppo di cittadini decida di abitare in una zona residenziale comune isolata dall’esterno può considerarsi del tutto legittima, secondo gli standard attuali della proprietà privata.
In fondo, l’operazione in sé non ha nulla di diverso rispetto al cingere con cancellate e muri il lotto della propria abitazione privata.
Si tratta semplicemente di un passaggio di scala, dal momento che all’interno dei muri rientrano diverse proprietà, e non una sola, creando un piccolo agglomerato urbano.

Nondimeno, l’idea che all’interno di una città esistano zone più o meno ampie dotate di strade a cui un normale cittadino non possa accedere stride con la nostra stessa abitudine di “utilizzatori di città”.
Risulta infatti normale e scontato incontrare terreni recintati, parchi privati ed in generale edifici non pubblici a cui non è possibile accedere, ma diviene più difficile concepire delle strade e dei quartieri interamente privati, con tanto di cancelli di ingresso e guardie armate che vigilano e controllano affinché nessuno non autorizzato possa varcarne la soglia (come si diceva all’inizio dell’articolo, tale situazione ricorda molto i borghi fortificati dei secoli passati, con le sentinelle del signore attente a non far entrare potenziali nemici entro le mura; alle gated communities manca solamente il ponte levatoio).

Inoltre, specialmente nei paesi con maggior disparità sociali, non può non stridere il contrasto tra l’ordine e l’agiatezza delle zone residenziali private e la povertà e la miseria che iniziano subito all’esterno delle cancellate.

Da un punto di vista urbanistico – sociale, le gated communities denunciano in qualche modo anche il fallimento della metropoli contemporanea, con la sua pretesa di multiculturalità e commistione tra i diversi strati sociali della popolazione.
Queste entità residenziali, d’altra parte, non fanno altro che ricreare i vecchi villaggi che caratterizzavano fino a pochi secoli fa il mondo pre-moderno, dove un numero ristretto di famiglie che condividevano le stesse condizioni economiche e sociali vivevano all’interno di un piccolo nucleo urbano; in tali comunità era assente la figura dell’estraneo, dal momento che tutti si conoscevano a vicenda, e da questo derivava un certo senso di sicurezza.
Gli esseri umani, infatti, sono esseri sociali, ma una loro innata predisposizione, risalente all’alba dei tempi, li porta a dividere le persone che li circondano in due categorie, conoscenti ed estranei, ed una sorta di istinto primordiale porta naturalmente ogni uomo ad essere diffidente nei confronti dei secondi.
Nelle piccole comunità, l’essere circondati da conoscenti, da persone di cui è noto il nome, la storia e il carattere, dà all’individuo un naturale senso di sicurezza, mentre nei grandi conglomerati, dove tutti sono estranei, le reazioni sono assai diverse: si va da una lieve diffidenza ad un vero e proprio sentimento di costante insicurezza.

Le gated communities ricostruiscono, forse in maniera inconsapevole, quell’antico modo di abitare, un mondo chiuso fatto di volti noti e persone simili e di conseguenza rassicuranti.
Ma se da questo punto di vista si crea una unità tra i membri di queste piccole comunità, dall’altra si accentuano ancora di più le differenze tra coloro che hanno una certa disponibilità economica e la grande massa che ne rimane fuori, facendo in modo che le diseguaglianze della società si accentuino ancora di più.

16 Febbraio 2010

Cristina Aguilera e il pentacolo


Cristina Aguilera, una delle cantanti di maggior successo negli anni duemila, iniziò la sua carriera come bimba prodigio nell’emittente statunitense Disney Channel, dove per alcuni anni intrattenne le bambine e i bambini suoi coetanei con uno spettacolo fatto di canzoncine e balletti.
Celebre fin dalla giovanissima età, la sua carriera ha avuto diversi punti di contatto con quella di un’altra bimba prodigio della Disney di fine anni 90, l’idolo delle teen agers Britney Sprears.
Entrambe le cantanti dopo un’infanzia trascorsa negli show della Disney hanno infatti esordito nel mondo dell’industria discografica con brani leggeri e commerciali, presentando una immagine da adolescenti spensierate, senza però far mancare ammiccamenti ed allusioni sessuali che stridevano con la loro presenza simil-innocente (un percorso a cui pare avviata anche l’ultimissima star Disney, la diciassettenne Miley Cyrus).

In seguito, sia Britney che Cristina hanno impresso una svolta alla loro immagine, optando per una sensualità ostentata, e completando così la loro trasformazione da idoli delle bambine a sexy dive affermate.
Ma mentre Britney Spears ha incontrato notevoli difficoltà nel corso degli anni, con tanto di esaurimenti nervosi e depressioni di una certa rilevanza, la Aguilera ha saputo proseguire la sua carriera in modo lucido, pianificando ogni mossa senza mai perdere il controllo della situazione, passando da un successo all’altro.
Dimostrando, in questo modo, di possedere piena cognizione di causa del funzionamento del mondo del music business, una sicurezza che la giovane cantante mostra nel modo in cui presenta al pubblico.
Una sicurezza ed una consapevolezza alimentate forse da una ispirazione poco rassicurante.

Nell’immagine sopra riprodotta, tratta da un recente servizio fotografico, la Aguilera si presenta adagiata in una vecchia poltrona che domina uno spazio alquanto particolare.
L’intera ambientazione evoca infatti un’atmosfera decisamente sinistra, e diversi elementi inseriti nel contesto concorrono nel dare all’insieme un aspetto ancora più inquietante.
Una candela nera, ancora accesa, la cui cera colata ha raggiunto il pavimento, testimonia di una sorta di “rituale” che ha avuto luogo in precedenza; il gatto nero, seduto vicino alla Aguilera, in un contesto simile non può che evocare la figura di Satana, nella forma in cui veniva raffigurato dall’iconografia medioevale nelle ricostruzioni dei sabba delle streghe.
Più in basso, una serie di barattoli presentano inoltre un contenuto per nulla rassicurante.
Particolare ancora più inquietante, sul pavimento giacciono due bambole sporche e malridotte, una addirittura mutilata: sulla prima cammina un enorme ragno nero, altro simbolo demoniaco, mentre sulla seconda, che ha gli occhi chiusi, Cristina Aguilera appoggia un piede, in un gesto che indica sopraffazione e dominio.

La figura della bambola simboleggia l’anima, nello stesso modo in cui nell’ambito del condizionamento mentale le figure antropomorfe rappresentano le diverse personalità possedute da un individuo controllato.
L’idea che emerge dall’immagine è quella di una Cristina Aguilera consapevole di aver “sacrificato” una parte del suo essere, forse proprio quella infantile – spensierata degli esordi, in cambio dei favori di cui ora gode nel suo status di cantante di successo.
La sua posizione nella sedia – trono rafforza questa immagine, così come il colore dei vestiti che indossa, il rosso e il nero, corrispondenti ai due primi processi della trasformazione alchemica, la nigredo e la rubedo, ovvero gli stadi in cui la materia viene putrefatta e poi ricomposta alla ricerca delle sue qualità intrinseche, in vista di una nuova riorganizzazione.
A togliere ogni dubbio sul senso dell’ambientazione, in un secondo scatto compare di sfuggita un pentacolo rovesciato inscritto in un cerchio disegnato sul pavimento.

Si tratta con tutta evidenza di un altro elemento appartenente all’immaginario collettivo dei riti satanici, ad ulteriore conferma del carattere oscuro dell’intera ambientazione.
Ancora una volta, quindi, è possibile osservare come tematiche occulte vadano a braccetto con l’immagine degli esponenti più popolari dell’industria discografica moderna, cantanti affermati presi a modello dalle giovani generazioni, veicoli forse consapevoli, o forse no, di messaggi nefasti.

15 Febbraio 2010

Afghanistan, le forze della civiltà all'opera


Due razzi sparati in Afghanistan da militari della Coalizione internazionale nella provincia meridionale di Helmand
hanno ucciso per errore 12 civili. Lo rende noto a Kabul la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf).

I due razzi, si precisa in un comunicato, erano diretti contro postazioni di talebani che sparavano sulle forze militari congiunte afghane ed internazionali, ma “hanno raggiunto il suolo a 300 metri dall’obiettivo prefissato”. Per questo, si dice infine, “sono stati uccisi 12 civili nel distretto di Nad Ali”. Il comandante dell’Isaf in persona, generale Stanley McChrystal, ha presentato le condoglianze al presidente della repubblica Hamid Karzai.

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I vertici militari della Nato in Afghanistan sono ‘molto soddisfatti’ del primo giorno di operazioni per sgominare i talebani dalla roccaforte di Marjah nella provincia meridionale di Helmand. Finora tra le truppe Nato si contano 6 vittime, cinque Usa e un britannico, mentre sono stati uccisi 20 talebani e ne sono stati catturati 11. Nell’Operazione Moshtarak (‘Insieme’ in lingua Dari) partecipano circa 15.000 militari tra forze afghane e della Nato .

Dodici civili uccisi per errore, ma i vertici militari NATO sono comunque molto soddisfatti del primo giorno della grande offensiva militare atta a sgominare la roccaforte dei talebani
Non si fa nemmeno finta di dolersi per la morte di dodici innocenti. Rapide condoglianze e via.
In fondo non erano esseri umani, erano solo afghani.
Potevano anche trovarsi un altro posto in cui stare.
Già vivere in afghanistan oggi significa andarsela un po’ a cercare, obbiettivamente.

(Si provi ad immaginare, per assurdo, un gruppo di ipotetici miliziani talebani che avesse assediato una base NATO in Europa ed avesse ucciso negli scontri 12 civili, poniamo italiani.
Si provino ad immaginare le reazioni del “mondo civile” dinanzi a tanta “barbarie”)