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¿te quedarás, mi pesadilla
rondándome al oscurecer?


-o- Too late to die young -o-
24 Dicembre 2012

Buon Natale

Ancora una volta le tenebre devono cedere il passo alla Luce, come è stato e come sempre sarà.
Felice Natale a tutti.

18 Dicembre 2012

Il 21 Dicembre e la fine di un mondo

E’ ormai cosa nota, a tutti coloro che hanno approfondito un minimo la questione, che i Maya non predissero alcuna fine del mondo, per come comunemente viene intesa.
E, ad esclusione di alcuni irriducibili survivalisti che da anni accumulano provviste e conoscenze per affrontare la fine dei tempi, rimane ormai ben poca curiosità a proposito della fatidica data del 21 Dicembre del 2012.
L’argomento “fine del mondo” ha avuto il suo momento d’oro negli anni passati, ma l’entusiasmo è andato via via scemando man mano che la scadenza si faceva più vicina: in fin dei conti, vi sono questioni più importanti, e più concrete, di cui preoccuparsi, di questi tempi.
A questo si aggiunga che in una situazione simile si guadagna ben poco nell’atteggiarsi a veggenti: se nulla dovesse accadere, infatti, si rischia una pesante derisione, mentre se si dovesse, malauguratamente, avere ragione, allora non ci sarà più nessuno con cui vantarsi della propria lungimiranza.
E’ un gioco in cui si perde sempre.
Ed è per questo motivo che se proprio non si resiste alla tentazione di immedesimarsi in profeti di sventura, allora occorre sempre seguire la prima regola delle predizioni, ovvero individuare il momento della sventura in una data assai lontana nel tempo.
Nostradamus docet.

Così, a qualche giorno dall’una volta tanto atteso 21 Dicembre, sono rimasti davvero in pochi a riservare qualche aspettativa riguardo tale data, anche tra coloro che nei mesi passati si erano lasciati suggestionare dall’onda emotiva.
L’aspetto curioso dell’intera faccenda, casomai, sta nel modo in cui a livello collettivo, e periodicamente, le profezie riguardanti una prossima fine del mondo siano sempre in grado di generare un vivace interesse.
La fine del mondo fa infatti parte di quell’universo archetipale che ogni essere umano si ritrova nel proprio bagaglio interiore, e i profeti di sventura di ogni tempo, dai millenaristi medievali agli interpreti dei Maya attuali, passando per i contattisti e coloro che attendono la liberazione da parte di razze aliene, non fanno altro che agire su quel tasto, stimolando immagini e scenari già presenti nell’inconscio di ognuno di noi.
Tali profezie, inoltre, attecchiscono preferibilmente in alcuni determinati periodi storici, piuttosto che in altri.
Ed anche questo fatto riserva un certo interesse.

La verità è che il mondo non finirà, per ora, mentre finiscono “i mondi”, più e più volte, ed ogni volta che questo accade le collettività percepiscono i cambiamenti radicali intorno a loro e li traspongono, per immagini, in scenari di distruzione completa.
La storia umana infatti non procede seguendo una linea retta e regolare, ma passando per sbalzi, accelerazioni, rallentamenti, in un percorso a spirale fatto di cicli sempre simili a mai eguali a se stessi.
Ed ogni volta che un ciclo sta per giungere a termine, qualcosa a livello inconscio traspare, e diviene percepibile in maniera confusa.
In questo, il calendario Maya è da considerarsi alquanto preciso.
La loro concezione del tempo, infatti, era ciclica, così come quella di tutti i popoli dell’antichità, e il giorno che hanno segnato nel loro celebre calendario non fa altro che individuare una data in cui un grande ciclo avrà termine.
Questo non implica catastrofi, né distruzioni, e nemmeno presuppone segni celesti che scandiscano il passaggio in maniera eclatante: la fine di un era è un processo lungo, vago, e le date servono solo come simbolici spartiacque.
Perché un’era sta realmente finendo, e noi siamo testimoni viventi di uno dei periodi con più grandi cambiamenti sociali che l’umanità abbia sperimentato.
Stiamo vivendo la fine di un modello economico che ha caratterizzato l’occidente e il mondo intero negli ultimi secoli, stiamo assistendo all’emergere impetuoso di una nuova religione, con i suoi simboli, i suoi riti e i suoi sacerdoti, e per la prima volta nella storia abbiamo edificato una metafisica alternativa fatta di bit ed impulsi elettrici, abbiamo costruito un universo alternativo e virtuale e vi stiamo rapidamente trasferendo le nostre vite.
Mai come oggi i segnali di un repentino cambiamento di era sono stati più evidenti, e solo il tempo saprà dire il carattere dello spirito che attraverserà il nuovo ciclo in arrivo.




13 Dicembre 2012

Shapeless Oceans II

 

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11 Dicembre 2012

Autodafè


Chi si vanta si vanti nel signore.
(2Cor 10,12-11,6)

Potrebbe sembrare ingiusto.
Ed infatti lo è.
Chi si vanta, si vanti nel signore, disse l’apostolo Paolo dinanzi ai corinzi accorsi ad ascoltare le sue parole, le parole di un uomo da quello stesso Signore illuminato.
Nessun uomo, per quanto sia intelligente, per quanto sia coraggioso, forte, onesto, nessun uomo deve mai dimenticarsi che tutto quello che possiede, tutto quello che è, viene da Dio.
Non vi è motivo di vantarsi, motivo alcuno, dal momento che l’uomo è una creatura di Dio, e tutto ciò che abbiamo da Lui ci è stato dato.
Così parlava l’apostolo Paolo.

Guai però al peccatore, guai a chi smarrisce la via, e disprezzo ancora maggiore verrà riservato a coloro che quella via non la cercano nemmeno.
Perchè i pregi vengono dal Signore, ma le colpe sono tutte degli uomini.
Potrebbe sembrare ingiusto, e difatti lo è.

Eppure, verrebbe da chiedersi, non è forse quello stesso Dio che ha dotato gli uomini della capacità di sbagliare, e non è forse anche la stessa predisposizione umana all’errore un dono di Dio?
Quel Dio onniscente che nel momento in cui intinse le mani nel fango per plasmare il primo uomo sapeva già che la sua creatura l’avrebbe tradito, gli avrebbe disobbedito alla prima occasione.
E lo creò in quel modo lo stesso, per poi punirlo della sua debolezza, una debolezza che Lui sapeva già che avrebbe manifestato.
Non vi è apparente senso in questo.

Il primo mistero del cristianesimo, così come di ogni altra religione, gira da sempre attorno al tentativo di dare soluzione a questo irrisolvibile paradosso: come può un essere creato da un Creatore onniscente essere in grado di fare delle scelte?
Viene insegnato che nell’atto di creazione, questa capacità di scelta, questo libero arbitrio, viene dal Creatore stesso instillato nella sua creatura, e da quel momento in poi è questa creatura, e lei sola, l’artefice della propria sorte, del proprio destino.
Gli sbagli che commetterà, la sua mancanza di fede, la sua debolezza, la sua viltà, saranno una sua scelta, e di tutto questo lei, la creatura, e solo lei, sarà l’unica colpevole.
Se la creaturà sarà virtuosa, invece, sarà grazie al Signore, come insegna l’Apostolo.
Potrebbe sembrare ingiusto…

Il paradosso è evidente, tanto palese da non essere mai stato affrontato fino in fondo.
Ed anche se la stessa capacità di scelta fosse una realtà, e probabilmente, in qualche modo, lo è, quale senso vi è nel mettere al mondo un essere con tale capacità, per poi fargliene una colpa nel momento in cui la usa male?
Ma il concetto di colpa non è solo prerogativa di una mentalità religiosa: tutti gli uomini, religiosi o meno, tutto il mondo emette giudizi sui singoli uomini.
Tutte le azioni degli uomini, le loro debolezze, le loro mancanze, passanno dinanzi al vaglio di un perenne e continuo giudizio universale.
E, nei casi peggiori, il giudice più implacabile di ogni uomo è egli stesso.
Che si abbia familiarità o meno col pensiero religioso, il concetto di colpa è da sempre insito nel genere umano, ed ogni mancanza del prossimo viene scrutata, giudicata.
Viene dato per scontato che il mancante, lui e lui solo, è il responsabile dei propri errori: vi era una possibilità di scelta, chi commette un errore non può imputarlo ad altri che a se stesso.
Eppure, nessuno si sognerebbe di stigmatizzare un suo simile per il solo fatto di essere bello oppure brutto, alto oppure basso, nessun uomo ragionevole arriverebbe al punto di attribuire una colpa ad una persona che nasce con un difetto fisico.
Perchè nessuno sceglie l’aspetto con cui venire al mondo, ma ognuno può decidere che persona diventare.

Questa la giustificazione logica di un tale atteggiamento.
Una giustificazione che di logico, in realtà, non ha proprio nulla.
Perchè si da per scontato che un bel viso o delle gambe lunghe siano un dono, oppure degli arti mancanti una sfortuna, ma un’anima bella e valorosa, oppure un’indole vile o accidiosa,  sono considerate delle “scelte”.
La verità è che nessuno sceglie di venire al mondo biondo o bruno, e allo stesso modo nessuno decide se essere dotato di un animo forte e caparbio, oppure debole e remissimo.
Perchè c’è una via in noi che conduce direttamente a Dio, ma non tutti vengono al mondo con la capacità di percorrerla.
Non vi è scelta in questo, ed anche se ci fosse, significherebbe solo che alcuni sono stati dotati della capacità di scegliere correttamente, ed altri no.
Anche la capacità di scegliere ci è stata data, infatti, come ogni altra cosa che abbiamo, dal momento che questo siamo: esseri creati.
Fu per questo motivo che il Creatore dotò le sue creature di un’altra, irrinunciabile qualità: l’incapacità di rendersi conto di cosa implichi l’essere “creati”.
Una consapevolezza di cui solo pochi rimasero esclusi, ed in qualche modo anche questa mancanza divenne una colpa, forse la peggiore di tutte.


6 Dicembre 2012

Mammiferi addomesticati


Una delle principali circostanze storiche che ha permesso ai popoli europei del passato di progredire dal punto di vista tecnologico è stata la possibilità di addomesticare con successo un grande numero di specie animali in precedenza selvatiche.
Gli animali domestici hanno infatti nei secoli offerto agli uomini aiuto in diversi campi del vivere quotidiano, dall’approvvigionamento del cibo, all’utilizzo in campo agricolo quale forza lavoro, ad un decisivo contributo nelle arti belliche.
Il continente euro-asiatico presentava a tal scopo una grande varietà di mammiferi potenzialmente addomesticabili, il cui ruolo è stato determinante nello sviluppo della nostra attuale civlità, per come oggi la conosciamo.
Ma cosa rende un animale addomesticabile?
Perchè con alcune specie si ha successo, mentre con altre ogni tentativo risulta vano?
Perchè ad esempio si è potuto addomesticare i cavalli e gli asini, mentre non è stato possibile ottenere lo stesso risultato con le zebre, loro parenti prossimi?
Ancora una volta a venirci in aiuto è il biologo statunitense Jared Diamond, il quale nel suo libro Armi, acciaio e malattie dedica un capitolo per esporre la sua teoria a proposito.

Innanzitutto, occorre tenere presente la differenza tra addomesticare, domare ed addestrare.

Per quale motivo le tigri non tirano gli aratri o non alleviamo rinoceronti come fonte di cibo e forza lavoro? E come mai i ghepardi non fanno la guardia alle nostre case? Occorre infatti distinguere tra la possibilità di ammaestrare (un orso), di domare (un leone), d’addomesticare (una mucca, una gallina, un cane).
Le prime due sono forme di rapporto in cui l’uomo insegna all’animale a fare qualcosa che a questo non è congeniale attraverso un insegnamento del tipo premio-punizione che attiva i suoi riflessi condizionati.
L’animale acquista così delle capacità, non ereditabili, che tende a ripetere a un dato segnale.
Nel terzo caso, l’addomesticamento, alcuni individui, appartenenti a specie animali e vegetali scelte dall’uomo per caratteristiche a lui favorevoli e da questi presentati nella versione più adatta, sono sottoposti a selezione artificiale e, nel tempo, si selezionano – fino a formare nuove specie – individui con caratteri ereditabili quali aspetti anatomici, fisiologici, comportamentali, genetici, molto diversi da quelli degli antenati selvatici.

Diamond individua sei condizioni, tutte necessarie, affinchè una specie possa essere addomesticata:

Le abitudini alimentari

Solo alcuni tra gli erbivori e gli onnivori sono adatti a essere addomesticati, poiché i carnivori richiederebbero per sfamarsi altri animali che a loro volta debbono mangiare.
Se per avere una mucca da 500 chilogrammi dobbiamo utilizzare 5 tonnellate di mais, per ottenere un carnivoro dello stesso peso avremmo bisogno di 50 tonnellate.
Inoltre gli animali addomesticabili non devono avere una dieta specializzata, ma adattarsi a consumare diversi tipi di foraggio e di cibi.

Il tasso di crescita.

Solo animali a rapida crescita possono essere utili, specialmente nelle prime fasi del processo. Diamond prende ad esempio l’elefante: è un mammifero grande e robusto, dall’alimentazione molto varia, ma per ottenere un individuo adulto ci vogliono ben 15 anni. Per questo, laddove sono usati, gli elefanti sono catturati già grandi e poi ammaestrati, mai allevati.

La riproduzione in cattività

Alcuni animali proprio non riescono a riprodursi avendo uomini intorno, anche se questi provvedono impeccabilmente alle loro necessità e li mantengono in perfetta salute. Ne sanno qualcosa coloro che cercano di far riprodurre il Panda Gigante Ailuropoda melanoleuca  per motivi di conservazione. Tra i vari tentativi di indurre gli animali all’accoppiamento, si è arrivati anche a proiettare filmati  “a luci rosse”.

Il brutto carattere

La causa più ovvia, verrebbe da dire. Quale pazzo cercherebbe di addomesticare un grizzly (Ursus arctos horribilis). E che dire delle zebre? Veloci, forti, erbivore. Purtroppo sono più indomabili del più imbizzarrito dei cavalli. Sono addirittura mordaci, e anche solo prenderle al lazo è un’impresa. Molti animali quindi, sia pure strettamente imparentati con specie addomesticate, nonostante gli sforzi non si sono mai piegati all’uomo. 

La tendenza al panico

Il successo di una specie deriva anche da come reagisce al pericolo. Alcune si danno alla più disperata delle fughe, altre si trovano a vivere in branchi piuttosto coesi che, nei momenti di pericolo, si addensano come un esercito di soldati a formare una  testuggine romana. Nel primo caso, non c’è alcuna speranza. L’istinto della fuga è così radicato che l’animale arriverà a farsi del male impigliandosi nelle recinzioni pur di non obbedire a un comando dell’uomo che vuole addomesticarlo, alle volte fino alla morte.

La struttura sociale

Perché l’uomo possa procedere con la domesticazione, bisogna che la socialità della specie sia tale da permetterle di accettare in qualche modo le leggi del branco. Questo esclude per definizione non solo tutti gli animali solitari, ma anche quelli troppo territoriali. Ora, se anche trovassimo una specie che soddisfa tutti i criteri finora elencati, potrebbe non diventare domestica se non possiede l’ultimo, il più ovvio di tutti. Alcuni animali non si sottomettono: non si riconoscono infatti in nessun “leader” né della loro specie, né di un’altra.

L’ultima condizione risulta particolarmente interessante.
Tutte le specie di grandi mammiferi addomesticate infatti rispondono a tale criterio: vivono in branchi, grandi o piccoli, sottostanno ad una struttura gerarchica, hanno un leader riconosciuto e non sono territoriali.
L’uomo quindi non deve fare altro che prendere il posto del leader, del capobranco, e potrà essere obbedito dal resto dei componenti del gruppo.
L’esempio più comune a cui pensare è quello della domesticazione dei cani, che nei loro padroni individuano quello che per i loro antenati lupi era il maschio alfa, l’esemplare dominante, a cui riservavano totale dedizione.
Lo stesso accade per i cavalli, che nello stato selvaggio vivono in piccoli branchi rigidamente gerarchici facenti capo alla femmina più anziana, o con le pecore, laddove il pastore diviene guida indiscussa.
Una specie i cui esemplari non costituiscano un branco con un leader riconosciuto non potrà mai essere domesticata, per quanti tentativi si facciano.

Andando oltre le considerazioni di Diamond, potremmo riflettere sulle sue deduzioni applicandole anche a noi stessi.
Anche gli esseri umani, in fondo, sono dei grandi mammiferi.
Ma di quale gruppo fanno parte?
Non sono forse anche gli esseri umani potenzialmente “addomesticabili” ?
Forse qualche esemplare del genere umano ha compreso tutto questo molto tempo addietro, ed ha trovato il modo per attuare una pratica antichissima sui suoi stessi simili.